Galileo è ritenuto l’inventore del metodo scientifico. Questo metodo consiste in tre momenti, di cui il primo è costituito dall’osservazione dei fenomeni. Non si parte da libri, né dall’immaginazione, ma dall’osservazione. Sulla base dell’ osservazione si elabora un’ipotesi che spiega quello che succede (secondo momento). Quest’ultima è un’affermazione della quale non siamo ben sicuri; bisogna quindi effettuare un controllo che garantisca la bontà dell’ipotesi, un controllo di tipo empirico, che ci consente una misurazione (terzo momento). Questa sintesi offre di Galileo una visone che è assolutamente banale. Dove sta il genio? In realtà, questi tre momenti sono estremamente complessi. Il lavoro del metodo galileiano è difficile e complicato.
La prima fase dunque riguarda l’osservazione. Popper, quando voleva trattare questo tema, diceva: “Vi prego di osservare”, e poi stava zitto. La gente osservava, ma nessuno sapeva cosa si dovesse osservare. Qualcuno chiedeva quale fosse l’oggetto dell’osservazione e Popper diceva che per osservare bisogna prima avere in mente un pensiero che ci individua quali sono poi problemi che vogliamo esplorare. Per osservare, prima si deve pensare. Galileo va anche oltre. Dice che, in realtà, ciò che osserviamo, non è la cosa che ci interessa osservare. L’esperienza che ci trasmettono i nostri sensi è qualcosa di molto ingannevole, per cui bisogna distinguere tra qualità oggettive e qualità soggettive. Odori, colori, suoni, per Galileo sono solo il prodotto dei nostri organi di senso. In qualche misura sono quindi una creatura del soggetto, dell’uomo. Queste sono le qualità secondarie.
Le qualità primarie sono quelle reali del mondo, che esistono a prescindere dal soggetto, sono entità di tipo meccanico. La meccanica è un insieme di fenomeni di spostamento di tipo locale e lo studio degli spostamenti è la filosofia della natura. Riusciamo a cogliere le qualità primarie del corpo in movimento. La meccanica diventa in questo modo una scienza regina, perché ci mette a contatto con la realtà profonda delle cose.
Nel ‘600 questa concezione comporta un rovesciamento nella visione della cultura. Per la cultura antica i fenomeni meccanici erano i più banali, tutta la cultura antica tendeva a privilegiare gli aspetti non meccanici del mondo. La meccanica, che era la “cenerentola” delle scienze, diventa ora la chiave di volta per capire le altre discipline. Ci vuole un grande sforzo di pensiero, ci sono infatti cose molto più affascinanti della meccanica. Per Galileo invece, proprio perché l’esperienza è ingannevole, per cui dobbiamo concentrarci sulla meccanica.
Le difficoltà, però, non sono ancora finite. Galileo confronta il lavoro dello scienziato che studia i fenomeni meccanici al lavoro del commerciante quando riceve della merce. Un fruttivendolo deve fare dei conti. Nel quintale di mele non ci sono solo le mele. Deve fare il conto e “defalcare” come dice Galileo, tutti gli impedimenti. Affrontando lo studio dei fenomeni meccanici del mondo, lo scienziato deve stare attento perché questo mondo è complicato, contiene troppi fattori. Bisogna togliere i fattori che sono elementi di disturbo. Lo si può fare solo con la forza del pensiero. Per esempio, l’attrito è un elemento che disturba, rende impuri i fenomeni meccanici, ma non lo si può togliere, se non con un’attività del pensiero. Si deve astrarre. Gli oggetti su cui si ragiona diventano oggetti mentali che non si ritrovano nel mondo reale. Lo scienziato lavora su oggetti di pensiero a cui gli oggetti reali vengono approssimati. Il principio d’inerzia ci dice che un corpo non soggetto a forze mantiene il proprio stato. Questo principio non lo si può sperare di trovare nel mondo reale, dove gli oggetti tendono a rallentare. Il principio non si conferma con l’osservazione.
La scienza di Galileo è una scienza del pensiero. Aristotele pensava si potesse fare scienza osservando, pertanto il suo mondo non ammetteva il principio d’inerzia. Tra la cultura di Galileo e la cultura antica, chi sta più vicino all’empirismo è senza dubbio Aristotele; Galileo costruisce un mondo inventato. Il principio d’inerzia è il pilastro su cui pesa uno dei libri più scandalosi di Galilei, Il dialogo sopra i massimi sistemi, in cui questo principio è usato in favore di Copernico. L’antichità aveva trovato prove ritenute inconfutabili del fatto che la terra non poteva girare su sé stessa. Se la terra girasse noi dovremmo essere gettati in aria. Per Galileo, tutto si muove insieme sulla terra ed è come se non si muovesse nulla, mettendo gli oggetti in rapporto. Galileo dice di avere una grande ammirazione di Copernico, non solo per la sua grande tecnica astronomica, ma perché aveva avuto l’ardire e l’intelligenza di proporre una teoria che va contro il senso comune. Per Galileo le teorie valide, come quella di Copernico, vanno contro l’osservazione, e questo sembra negare il suo primo punto del metodo scientifico.
Bisogna prima astrarre dal mondo e poi lo si può capire. Questo gioco ha poi come scopo quello di tornare al mondo per comprenderlo. Ci immaginiamo dei mondi folli, Copernico ha infatti spesso paura del ridicolo, ma poi si pone come obiettivo quello di tornare sulla terra. Le ipotesi che elaboriamo sono ipotesi astratte, sono qualcosa che non si riscontra normalmente nella realtà. La scienza galileiana introduce il linguaggio della matematica: le leggi della natura divengono esprimibili attraverso formule matematiche. Le formule matematiche non fanno parte dell’esperienza, si trovano nella testa, nei quaderni o nei libri.
Come si controlla un’ipotesi costituita da una formula? Galileo inventa una formula che è la legge della caduta dei gravi, che ci dice come varia la velocità di caduta di un corpo: la velocità cresce proporzionalmente al tempo di caduta, un moto uniformemente accelerato. Ci spiega quale sarà la velocità in un qualsiasi degli stati successivi del corpo. Ci parla di una grandezza istantanea.
Sorge un problema enorme che è comune a tutta la scienza moderna, che si esprime anch’essa attraverso questo istantaneismo. Si parla di grandezze che hanno un senso in un istante determinato. Queste però non sono grandezze controllabili dal punto di vista scientifico, non sono empiriche. La velocità è il rapporto tra la velocità con la quale si è percorso uno spazio e il tempo impiegato per percorrerlo. Se si vuole calcolare la velocità mantenuta tra Milano e Bologna, devo dividere 200 chilometri per 2 ore, la velocità sarà 100 km/h. Questa è la velocità media. Qual era la velocità in un istante particolare? La procedura è diversa. Si prendono due amici, uno nel punto previsto per la misurazione, x, uno cento metri avanti, y, entrambi muniti di orologio: quando passo davanti al punto x, il primo amico segna l’ora, quando passo davanti a y, il secondo amico segna l’ora. Dalla differenza ricavo il tempo impiegato per fare questi cento metri. Trovo la velocità abbastanza vicina alla velocità istantanea. In quei cento metri, posso fare di tutto, non è detto che io tenga la stessa velocità. Possono essere accadute tante cose che hanno alterato il mio procedere, quindi quella è semplicemente la velocità media tenuta in quei cento metri. Per avere un dato più preciso, posso ripetere il trucco avvicinando l’amico sempre di più, ma per quando lo avvicini, l’intervallo sarà tendente a zero, ma non sarà mai tale da poter parlare effettivamente di velocità istantanea. A livello empirico, non posso mettere i due amici nello stesso punto, perché non ci sarà il tempo di reazione necessario per far partire e far fermare i cronometri. Possiamo fare delle misure solo su degli intervalli finiti. La velocità istantanea è il limite del rapporto spazio tempo quando l’intervallo di tempo tende a zero. Ma non posso misurare qualcosa che svanisce. Dunque, il concetto di velocità istantanea non è inesorabilmente un concetto empirico. È teorico. Non possiamo quindi controllare le ipotesi in un istante, è questo è un problema per la nostra verifica. Che fare allora?
Galileo ne analizza delle conseguenze, facendo un controllo indiretto. Se l’ipotesi è quella buona, ne consegue un’altra, però non più riguardante grandezze istantanee. Quella che segue, è che dato un certo tempo di caduta totale, lo spazio totale percorso è proporzionale al tempo elevato al quadrato. Dall’ipotesi sulla velocità che è assolutamente teorica ed incontrollabile, ne discende per via di deduzione, una legge che ci parla di grandezze non istantanee, ma finite. Galileo fa delle misure sulla seconda legge e trova che effettivamente le misure la confermano. Siamo alla fine. È vera anche l’ipotesi da cui siamo partiti.
Le cose in realtà non filano lisce neanche in questo modo. In un corso di logica si impara che se si parte da una premessa dalla quale deduciamo una conseguenza e se questa conseguenza è vera, non è affatto detto che debba essere vera anche la premessa. La premessa potrebbe essere falsa, ma si può dedurre per caso la verità. Si può dedurre da una premessa falsa una conseguenza vera. Questo è il punto debole che rende affascinante tutta la filosofia della scienza. Qualunque conferma empirica non ci garantisce mai la verità delle premesse da cui siamo partiti. Galileo per molti anni ha creduto ad un’altra legge che legava la velocità non al tempo, ma allo spazio percorso. Per molti anni, fino al 1604, Galileo rimase fedele all’idea per cui la velocità era proporzionale allo spazio. Da questa, credeva di aver dedotto la legge che pone in relazione lo spazio totale con il quadrato del tempo totale. Partendo da una premessa che poi riterrà falsa, deduceva una conseguenza che l’esperienza gli confermava come vera. Per caso da una premessa falsa si può arrivare ad una vera.
Abbiamo detto che Galileo fa molti esperimenti, tra cui quello famoso del piano inclinato, per verificare le sue ipotesi. Egli costruisce un apparato di misura per controllare; quindi qualcosa di artificiale. Tutti gli strumenti che usa l’uomo, non sono oggetti che si trovano in natura. Si usano degli artefatti. E qui nasce un ulteriore problema: i risultati che noi otteniamo usando questi strumenti vengono necessariamente a dipendere dallo strumento stesso. Chi costruisce lo strumento deve aver in mente qualche idea valida, non si posso avere sospetti su chi ha costruito l’oggetto. È importante prima di tutto la qualità dello strumento di misurazione. Non si mette a volte nemmeno a discussione l’osservazione, ma si discute a volte il metodo di misurazione. Se colui che ha costruito un metodo di misurazione ha usato teorie sbagliate? Chi costruisce una bilancia deve essere a conoscenza di una gran moltitudine di teorie che coinvolgono molte branche della scienza. Il responso della bilancia è valido o no a secondo del grado di fiducia che tendiamo a dare al costruttore. Qualsiasi strumento dipende da una teoria.
Nel caso di Galileo, il suo cannocchiale sicuramente non era paragonabile ad un telescopio attuale. Vide le macchie ed i mari lunari, le macchie sul sole, le costellazioni e i satelliti di Giove. Queste teorie smontarono l’idea di perfezione dell’Universo. Furono osservazioni di importanza epocale. In fondo, coloro che non si fidavano delle osservazioni di Galileo, non avevano tutti i torti. Cesare Cremonini, un grande filosofo, è passato alla storia per aver detto che non voleva guardare nel telescopio di Galileo perché gli “Imbalordiva la vista”. Cremonini era un fior di rivoluzionario, ma da questa osservazione sembra un vecchio che rifiuta la novità. Egli si fece scrivere sulla tomba, “Qui giace Cesare Cremonini, tutto”. L’anima secondo lui non c’era. E per il periodo, era un’affermazione clamorosa.
Un uomo del ‘600 che si vede mettere nelle mani un tubo con il quale vede cose straordinarie che a occhio nudo non vede, ha una reazione di stupore e si chiede come funziona. Si chiede se l’immagine è fedele. I cannocchiali di Galileo erano fortemente imperfetti e creavano colorazioni inesistenti. Gli ottici del tempo, aberravano quei tipi di costrutti, ritenendoli poco più che giocattoli. Keplero, che aveva inventato l’ottica puntiforme, per oltre un anno non crede alle osservazioni di Galileo. Giovan Battista dalla Porta, che era l’altro grande ottico del periodo, viene interpellato e da buon partenopeo dice che il cannocchiale di Galileo è una gran “coglioneria”.
Cosa avrebbe dovuto fare Galileo per zittire gli avversari che criticavano i suoi mezzi tecnici? Avrebbe dovuto dare una teoria dello strumento. Non ne era in grado. In assenza di una teoria, è un atteggiamento di ragionevole prudenza quello di non fidarsi e di aspettare. C’era una prova pratica che poteva superare tutte queste paure: essa era quella di puntare il cannocchiale su un oggetto conosciuto. Egli punta il cannocchiale sul campanile di San Marco. Egli vide più o meno la stessa cosa con il cannocchiale di quello che si vede a occhio nudo. Nella sua cantina, costruisce centinaia di cannocchiali, totalmente a caso, non possiede una teoria. Con essi non vede cose interessanti che invece vede con pochi esemplari. Le macchie sul Sole le vede con uno solo. Per la cultura di derivazione Aristotelica, esisteva una separazione netta tra gli oggetti che si trovano al di sotto della luna, che costituiscono un mondo a sé stante e gli oggetti che stanno oltre la luna. Per Aristotele, vale un tipo di fisica diversa oltre la luna. Se noi usiamo il cannocchiale in terra per vedere il campanile di San Marco, esso funziona; nulla ci assicura che se puntato verso gli oggetti celesti, esso continui a funzionare poiché le leggi della fisica cambiano.
Con molta fatica, siamo arrivati a poter definire la velocità proporzionale al tempo. Abbiamo costruito una teoria della caduta dei corpi. È una spiegazione? Cosa si intende per spiegazione? In genere, quando riconduciamo qualcosa che non capiamo, che sta all’infuori delle nostre abitudini, e cerchiamo di capirlo, lo riportiamo a dei principi di spiegazione familiari. Spiegare qualcosa significa partire da qualcosa che ci è meglio noto per arrivare a spiegare qualcosa di meno noto. Se si addotta questo criterio, la nostra teoria sulla velocità è una spiegazione? Questa è una legge che non riusciamo a provare sperimentalmente, l’abbiamo costruita con il pensiero. Ha richiesto il genio di Galileo per essere creata, non era evidentemente molto familiare. La fisica galileiana parte da principi che si costruiscono faticosamente e non sono per nulla familiari. Per esempio la legge di gravità di Newton è astratta e difficile. Il tipo di spiegazione presente in Galileo è particolare e parte da principi che non sono familiari, come il principio d’inerzia. Nell’esperienza si falsificano. Anche se noi facciamo tante leggi meccaniche, se scopriamo la legge di gravità, abbiamo spiegato in termini assai problematici un pezzo dell’esperienza. Ammesso un principio ne discende una conseguenza; ma il primo principio di Galileo per la caduta dei gravi, chi ce lo spiega? Chi ci può spiegare la legge di gravitazione di Newton? E via così.
Quella che si inaugura con Galileo è un tipo di spiegazione che ha poco a che fare con la natura, non risale ai principi universali. Per Aristotele, una spiegazione non poteva essere limitata ad un pezzettino del mondo, doveva essere ricondotta a principi più generali, quelli primi espressi nella metafisica. Per Aristotele o spieghiamo tutto, o spieghiamo niente. Galileo tratta di dettagli della natura, di piccole cose. E per lui questo è il modo nuovo di studiare il mondo. Dobbiamo rinunciare ad una scienza che spiega tutto partendo da pochi principi ed accontentarci di avere a che fare con piccole cose.
Galileo usa la distinzione tra conoscenze estensive e conoscenze intensive. Le seconde sono quelle del dettaglio, le prime generali. Studiando il dettaglio molto bene, approfonditamente, raggiungeremo una conoscenza del dettaglio che è perfetta. Galileo è convinto che se studiamo bene i dettagli possiamo raggiungere l’esaurimento della conoscenza della natura. Cominciamo a farci dei pezzettini piccoli e poi si crescerà aggiungendo piccoli mattoni. Questo è l’elemento cardine della nuova scienza: la rinuncia all’enciclopedia, a differenza dell’idea di Aristotele. Galileo è forse più modesto, il suo è il trionfo dello specialismo. Forse oggi noi non lo apprezziamo perché riteniamo che precluda la conoscenza di tutto il resto, che viene trascurato. La svolta di Galileo, è importante anche nella rinuncia a gareggiare con Dio per quel che riguarda l’estensione del sapere.
NOTA: testo, non rivisto dell’Autore, della conferenza tenuta il 13.2.2003 a Brescia su iniziativa della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura.