Carissimo Padre Giulio
molteplici sono le ragioni che rendono gioioso il nostro incontrarci questa sera. In primo luogo il sentimento di viva gratitudine che l’intera città sente di dover esprimere alla Sua straordinaria e feconda presenza: un rinnovato, corale, ringraziamento per l’impegno ecclesiale profuso negli oltre cinquanta anni del Suo sacerdozio in Brescia, per quanto Le deve la comunità civile dentro la quale ha riverberato la forza e la persuasione del Suo nobile magistero spirituale e religioso, un’esperienza contrassegnata da una cifra distintiva riconducibile alla secolare tradizione lombarda, del sacerdote come buon pastore, come pastore di anime.
Un ringraziamento, assolutamente sincero e non formale, da coloro che L’hanno incontrata nell’operosità dei Suoi giorni, per come abbiamo potuto personalmente conoscerLa, per il Suo tratto di uomo e di sacerdote, la Sua cultura, la Sua biografia religiosa, la Sua personale sensibilità, la Sua mai esibita – ma sempre resa disponibile con umiltà e generosità – ricchezza di carismi personali, dotati di singolari talenti.
La Sua biografia del resto costituisce una suggestiva testimonianza, di vita e di pensiero, degli anni resistenziali, della difficile ricostruzione morale e materiale della città, della stagione conciliare e postconciliare, da Lei vissuta con un’ispirazione ecumenica tanto preziosa, quanto – per i tempi – rara.
E se i Suoi natali sono da assegnare alla magnifica, fiera città di Trento, esattamente 80 anni or sono, la Sua brescianità, lasciatamelo dire con una punta dì orgoglio, ha sempre contraddistinto il Suo operato, rendendo palesi le caratteristiche di una certa intelligenza bresciana, quale sa esprimersi ai livelli più alti della ricerca e della conoscenza: gelosa riservatezza di vita e inflessibile disciplina di studio, da un lato; dall’altro, vigile attenzione alle vicissitudini di ogni giorno, a tutti i richiami che vengono dalle inquietudini e dai bisogni profondi, dalle speranze e dalle attese della umana condizione.
La Sua presenza presso l’Oratorio filippino della Pace data infatti sin dai primi anni della Sua giovinezza, nell’ispirazione alla sequela dell’insegnamento di padre Bevilacqua e padre Manziana, ad alimentarsi di una spiritualità senza compromessi e cedimenti: entrato nel 1942 nel gruppo F.U.C.I., la scelta antifascista diviene per Lei, Padre Giulio, tanto necessaria quanto naturale, sin dalla data del 25 luglio 1943, con la militanza nella formazione delle Fiamme Verdi.
Lei, Reverendo Padre, è stato dunque partigiano prima che sacerdote, obbedendo alla propria coscienza di uomo di fede e di cittadino: lasciata la città, entra a far parte della 76° Brigata Garibaldi in Valle D’Aosta, vivendo lunghi giorni di fatica, di trepidazione e di sgomento, di gelo e di speranza: con questa formazione farà ingresso nella liberata città di Ivrea il giorno 3 maggio 1945.
Il ritorno a Brescia coincide dopo qualche anno con la Sua ordinazione sacerdotale – è il 1950 – naturalmente presso l’amato Oratorio della Pace: una quotidianità spesa nella formazione della gioventù bresciana che non Le impedisce di continuare nei Suoi prediletti studi, sino a raggiungere il traguardo di dottore in teologia nel 1960, con una tesi dedicata alla figura del filosofo Armando Carlini.
Educatore e docente, apprezzato insegnante presso diversi istituti scolastici cittadini, dalla Foscolo al Gambara, sino all’Arnaldo, ove Lei ha insegnato per ben 17 anni. E non posso non ricordare come proprio da qui originano la personale conoscenza, stima ed affetto che mi legano a Lei, da questa comune esperienza di insegnamento presso il Liceo Arnaldo all’inizio degli anni Settanta.
La comunità bresciana deve a Lei – come ai padri filippini tutti – profonda gratitudine per una radicata, storica presenza che ha sempre saputo coniugare – secondo lo spirito dei tempi – vita ecclesiale, attività di formazione ed educazione, proposta culturale, esempio civile, attitudine comunitaria, anche fuori dal mondo della scuola. L’attenzione alla persona, dunque, alla sua valenza teologica, che rinvia evidentemente al mistero dell’incarnazione, rappresenta richiamo forte e persuasivo ad una profonda passione per le sorti dell’uomo nella completezza e nell’integrità della sua dimensione, mondana, terrestre e spirituale insieme.
Difficile rammentare in questa sede l’intero arco del Suo impegno pluridecennale, come Assistente spirituale degli scout, direttore dell’Oratorio giovanile della Pace, di stretto collaboratore di Padre Ottorino Marcolini soprattutto nelle indimenticate BIM, le Bande Irregolari Marcoliniane. E, ancora, di Assistente della F.U.C.I. e del MEIC, il Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale, dell’Istituto Pro Famiglia, di membro della Commissione Diocesana per l’Ecumenismo, di comunanza e collaborazione con la Cooperativa cattolico democratica di cultura, fondata -unitamente ad un nutrito gruppo di giovani ansiosi di testimonianza cristiana- dal prof. Matteo Perrini, di assistente presso il centro che riunisce le esperienze delle Cooperative “La Famiglia”.
Una presenza infaticabile, umile, di un’umiltà che – mi permetta caro Padre di utilizzare una frase della Sua ultima opera dedicata proprio all’umiltà – ha saputo tenerci “ancorati alla terra proprio mentre ci fa alzare gli occhi verso il cielo, ci consente di essere contemporaneamente fedeli all’uomo e a Dio”. Una presenza che ha dato luogo altresì ad una sollecitudine mai dismessa per valori comuni, per una disposizione di reciproco ascolto, a garanzia di progresso, di una crescita all’insegna di esperienze positive per la nostra gioventù.
Mi piace leggere oggi la Sua cifra più autentica dunque, nella capacità di rapportarsi ai giovani, soprattutto a quelli incontrati sui banchi di scuola, appassionatamente coinvolti nella vita dell’Oratorio: ad essi, non a caso, ha voluto di recente dedicare nel 1996 le meditazioni raccolte nel libro Invitati a sperare, un testo anche per me occasione di nutrimento ed intima provocazione.
Mi piace, inoltre, leggere nella speranza cristiana, ad un tempo storica e trascendente, la cifra più autentica della Sua testimonianza teologica e pastorale. E non solamente nella Sua guida d’anime e di spiriti per circa un trentennio, quale Preposito della Pace, o nelle Sue affollate, preziose conferenze, ma pure con le pagine, sempre ispirate, vergate per le riviste “Humanitas” o “Vita familiare”, e nelle splendide opere, sempre lucide, aperte al dialogo, alla riconciliazione ed alla speranza, edite per i tipi della Morcelliana: nel 1985, “Credo Risorgerò”; nel 1987 “Elevato da Terra”, cui sono seguite più recentemente “Invitati a sperare” del 1996, “La tenda e i paletti. Annotazioni e ipotesi sul tempo” nell’anno 2000.
Ricordo di aver immediatamente meditato con grande interesse ed attenzione quell’opera – da Lei donatami – edita in occasione dei suo cinquant’anni di sacerdozio, opera che racchiude i temi e le interrogazioni che attendono il nostro futuro di credenti in un mondo in rapido sommovimento, in cui i cristiani, come Lei ci insegna, possono e debbono costituire l’anima della società, condividendo appieno la necessità di elargire spazio alla memoria ed al senso del futuro, riflettendo intorno a quello che Lei opportunamente definisce “il profilo inquieto della fede cristiana”.
Così come ho a lungo meditato intorno alle pagine di questa ultima fatica, “Sull’umiltà” – l’umiltà francescanamente humile et preziosa – ai suoi richiami a ripensare l’umiltà di Cristo, contro l’esibizione, la ricerca ostentata di protagonismo, il vacuo apparire, umiltà vera che Lei ci insegna, “è tutt’altro che debolezza , passività, inconsistenza. E’ una virtù che ha una forza nascosta ma reale, che si evidenzia, ad esempio, quando contribuisce a liberare la suprema virtù dell’amore-carità dai timori che ne frenano l’azione, timori di non riuscire, di fallire e di esporsi”.
Accade pure nel brano di Luca in cui si narra della scelta dei primi posti nei banchetti, severo monito a scegliere gli ultimi scranni come rivoluzionaria, “scandalosa”, pubblica presa di posizione, contro la smania ossessiva dell’autoaffermazione e del carrierismo, nella frequentazione gioiosa – come suggeriva San Filippo Neri – della virtù dell’umiltà. Pagine che Lei, caro Padre, ci offre per consentire il ravvivarsi del nostro orgoglio virtuoso, per ripensare alla profondità e dall’altezza della paradossale gloria crucis, della gioia di una virtù che ci è soccorrevole e ci sostiene nel nostro slancio e nei nostri propositi; la letizia di una virtù che, come l’ultima pagina dell’opera ci rammenta nel compendiare felicemente il significato dell’umiltà, “è già premio a se stessa”.
Oggi la città festeggia i Suoi primi, straordinari ottant’anni: sono certo che Lei, Reverendo Padre, gradirà le mie felicitazioni più vive, quelle del Signor Vice Sindaco, dell’Amministrazione municipale e dell’intera cittadinanza, per il ragguardevole traguardo raggiunto, felicitazioni non disgiunte dall’auspicio che le sue qualità – umane e sacerdotali, pastorali e culturali – continueranno a fecondare di linfa preziosa ancora per molti anni la vita della Chiesa della Pace e del suo Oratorio, nonché quella dell’intera comunità cittadina, continuando a ricercare l’obiettivo condiviso e insieme perseguito, il bene comune.
Caro padre e caro pastore, voglia gradire, dunque, un saluto insieme affettuoso e riconoscente, un saluto che intende esplicitare la profondità di un sentimento che appartiene parimenti a tutti gli uomini e a tutte le donne di buona volontà del popolo bresciano.
Auguri e ad multos annos!
NOTA: Testo rivisto dall’Autore, della conferenza tenuta a Brescia il 5.2.2004 su invito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura.