Chi è Sophie Scholl

Una martire? Un’eroina romantica senza macchia e senza paura? Un prototipo della gioventù antifascista

“La figura di Sophie Scholl”, scrive Paolo Ghezzi, “si presta a nobili interpretazioni e a glorificazioni idealizzanti”. Ma a prescindere dalle etichette semplificatrici, chi è la protagonista del film che verrà proiettato questa sera?

Più di 80 istituti scolastici in Germania portano oggi il suo nome. Nel 2000 un referendum popolare la proclama “donna tedesca del XX secolo”. Nel 2003, con la collocazione del suo busto nella Walhalla bavarese presso Regensburg, Sophie Scholl entra definitivamente nella storia e fra i miti della Germania.

Oggi, all’uscita del film che porta il suo nome, Sophie avrebbe 84 anni, oggi probabilmente Sophie sarebbe ancora fra noi se, come la maggior parte dei suoi coetanei, avesse finto di non vedere le ingiustizie e gli orrori perpetrati dal regime di Hitler e di non sentire le menzogne, le formule vuote della propaganda nazionalsocialista, col suo disprezzo per l’individuo, il suo militarismo fanatico, la sua volontà di annientamento.

Ma Sophie non ha finto di non vedere, anzi ha guardato bene in profondità la realtà del suo tempo e, insieme al fratello Hans e agli altri membri della Rosa Bianca, ha scelto in che modo attraversarla quella realtà così difficile e dolorosa, così piena di contraddizioni. Ha scelto la via scomoda, minoritaria del dissenso, della resistenza non violenta, dell’opposizione prima interiore e poi sempre più esplicita e manifesta fino all’accettazione ultima, responsabile e cosciente, di un destino che ci appare ancora più tragico e crudele proprio perché paradossale e ingiusto.

Il film di Marc Rothemund, pluripremiato al festival di Berlino, candidato all’Oscar come miglior film straniero e presentato proprio ieri dallo stesso regista alla Sapienza di Roma in un’aula magna straripante di studenti, è basato su una ricostruzione fedele dei fatti a partire da documenti inediti, come i protocolli degli interrogatori, e dalle lettere e il diario di Sophie e ci restituisce la sequenza drammatica degli ultimi giorni della breve vita di Sophie Scholl: attraverso i suoi occhi riviviamo i momenti concitati della stampa clandestina del sesto e ultimo volantino contro Hitler, la sua distribuzione nell’androne dell’università il giorno fatale della denuncia e dell’arresto, l’estenuante interrogatorio faccia a faccia con la cortese durezza del funzionario della Gestapo Robert Mohr, il tentativo iniziale di scagionarsi e di tener fuori gli amici, il rifiuto di una via d’uscita offerta in extremis dallo stesso Mohr, le confidenze e il testamento spirituale lasciato a Else Gebel nelle lunghe ore trascorse in cella, il processo lampo celebrato dal giudice boia del Tribunale del Popolo, il famigerato Roland Freisler, processo farsa con una difesa venduta e inesistente, con un verdetto ideologico già fissato prima ancora del dibattimento in aula, di fronte a un giudice carico di odio e fanatismo che con fervore conduce la sua battaglia in nome dell’amato Führer, il commiato dai genitori , l’ultima sigaretta con Hans e Christoph, la strada verso la ghigliottina, l’esecuzione.

Una sceneggiatura scarna, essenziale, quasi teatrale, quella del film, fatta di dialoghi di grande tensione emotiva, ma anche di silenzi, di sguardi, di gesti che ci proiettano nell’interiorità di Sophie e ci lasciano intravedere le ragioni della sua scelta, il senso del suo sacrificio. A Julia Jentsch, la giovane attrice di teatro che interpreta Sophie, va sicuramente il merito di aver saputo rendere con grande forza espressiva lo spirito duro e il cuore tenero di Sophie Scholl: l’autocontrollo emotivo e la ferma risolutezza con cui accoglie la sentenza, ma anche la sua dolcezza e sensibilità, la straordinaria umanità e normalità di una giovane donna che vive pienamente la sua giovinezza, con tutte le contraddizioni e le emozioni che la caratterizzano. Una ragazza di 21 anni che suona il pianoforte, ama la natura, l’arte, la letteratura, le gioie semplici dell’amicizia e degli affetti più cari, ma che soprattutto si sforza di pensare con la propria testa, di pensare diversamente in quella Germania acritica, indifferente, appiattita sulla visione nazionalsocialista del mondo. Qui sta la provocazione, il fascino e l’attualità sconcertante della sua testimonianza, della sua lezione di vita. E’ nella semplicità dei gesti quotidiani che inizia la sua sfida alla dittatura (durante una vacanza nel Nord della Germania, inebriata dalla sensazione della libertà in quel clima di censura di ogni forma di libera espressione scrive: “abbiamo tirato fuori la chitarra e semplicemente cantato e ce ne siamo proprio fregati della facce stupide della gente sconcertata lì intorno”). Nel contatto assiduo, attraverso la lettura, con quella tradizione filosofica e culturale tedesca negata e messa a tacere dal nazismo (il suo romanzo preferito è La montagna incantata di Thomas Mann), Sophie matura un po’ alla volta le proprie convinzioni e gradualmente, nella propria coscienza libera, nella fede in Dio trova la forza e il coraggio di lottare per i propri ideali, per dire no alla dittatura e un sì forte, deciso alle ragioni morali della resistenza al male. Nonostante il tragico epilogo, peraltro già preannunciato, il film ci tiene col fiato sospeso fino all’ultimo istante; c’è un filo di speranza che attraversa gli ultimi giorni di Sophie, la speranza che splende sul volto di Sophie e Hans nell’ora della morte. La fiducia di Sophie che il loro sacrificio non sarà vano, che la loro idea trionferà e continuerà a vivere nonostante tutti gli ostacoli, proprio come il bambino in fasce sognato la notte prima di morire. “Die Sonne scheint noch. Il sole splende ancora”, è l’ultima frase che Sophie pronuncia nel film fissando lo sguardo sul fratello, quasi a volerlo trattenere per sempre.

Il messaggio del film è quindi un messaggio di speranza. E’ una lezione di coraggio civile, che vale oggi come ieri, non solo per il popolo tedesco.

Chi è dunque la Sophie Scholl ritratta da Marc Rothemund?

E’ una giovane come tante, una figura tangibile, concreta, vicina e quindi credibile che senza tante scorciatoie e falsi moralismi, si assume la responsabilità di enunciare con chiarezza il proprio dissenso, di rivendicare il diritto a un pensiero critico e a una coscienza libera e che per questo paga il prezzo più alto.

E’ Freiheit/Libertà la parola che Sophie lascia scritta nella sua bella grafia sul retro dell’atto di imputazione prima di percorrere gli ultimi lenti ma ormai risoluti passi verso la ghigliottina.

In coda al film il regista ha scelto di lasciar scorrere alcune immagini che hanno un profondo valore simbolico: un aereo degli alleati che all’indomani della caduta di Hitler lascia cadere sulla Germania devastata centinaia di migliaia di copie dei volantini della Rosa Bianca. Una carrellata dei volti di tutti membri del gruppo col verdetto emesso a loro carico. Come a dire che quella narrata nel film è la cronaca di un’esperienza corale, di un’azione in difesa dei diritti fondamentali che nella sua straordinarietà è alla portata di tutti. Anche di noi qui presenti stasera così numerosi a testimoniare che davvero, l’idea di Sophie, di Hans, di Willy, di Christel, di Alex e del professor Huber non è finita sotto la lama di quella ghigliottina, ma vive ancora e continua a interrogare le coscienze di noi tutti.


[1] Intervento tenuto in occasione della prima visione per Brescia del film “La Rosa Bianca. Sophie Scholl” in data 27.10.20015 su inziativa della CCDC.