Non è cosa molto usuale cominciare un’introduzione sull’ONU in Italia, perché di ONU non si parla abbastanza o, se non altro, non se ne parla abbastanza bene in questo paese. C’è appena stato il cinquantenario della fondazione dell’organizzazione e il dibattito, sia sulla stampa che nell’opinione pubblica è stato alquanto insufficiente. Cerco quindi di fare un’introduzione, il più generale possibile, in cui inserire qualche nozione fondamentale. Quello che mi preme è sottolineare un paradosso centrale da cui sono attanagliate in questo momento le nazioni unite: mentre da un lato la fine della guerra fredda ha aperto nuove possibilità per le nazioni unite, dall’altro l’ONU sembra quasi impotente di fronte ad alcune instabilità regionali che si sono verificate. Questo dilemma è alla base del ruolo dell’ONU all’interno del sistema internazionale e ha portato a un pericoloso pendolo, che va da un eccessivo entusiasmo a un’eccessiva delusione. Subito dopo la guerra fredda c’è stata la guerra del golfo, in cui le nazioni unite, pur con difficoltà, hanno imposto la pace in una regione molto importante, strategica per gli equilibri internazionali; questo è stato salutato come l’inizio di una nuova era, in cui l’ordine e il diritto internazionale sarebbero stati per sempre imposti e fatti rispettare dalla comunità delle nazioni. A questo è seguita poi una serie di problemi, che hanno portato ad una grandissima espansione del ruolo dell’ONU: sono state compiute più di tredici operazioni di mantenimento della pace, che sono più di quante ne siano state fatte dal momento della fondazione fino alla guerra fredda. Questo ha coinvolto decine di migliaia di soldati in operazioni dei caschi blu. Ma le prime difficoltà hanno provocato uno spostamento del pendolo nella direzione opposta, quella della delusione. In un certo senso, mentre prima si avevano troppe aspettative nei confronti dell’ONU, ora ce ne sono troppo poche. Nella mia modesta opinione di apprendista politologo questo dilemma è fuori posto, perché non coglie il centro del problema: l’ONU non è stata disegnata per poter fare quello che queste aspettative eccessive o troppo ridotte le attribuiscono, non è un’organizzazione di polizia internazionale per il mantenimento e l’imposizione della pace. Questa, per persone che studiano diritto internazionale, è cosa abbastanza comune. Ma per l’opinione pubblica è importante sottolineare il fatto che l’ONU non è la costituzione in fieri di un governo mondiale, bensì un’organizzazione di collaborazione tra gli stati; non ha dei meccanismi autonomi di implementazione delle proprie decisioni, quindi non può avere neanche il potere autonomo di imporre la pace. Molte volte, quando c’è un problema nel mondo, tutti i giornali, le associazioni, etc., chiedono all’ONU di intervenire, o chiedono ai governi di intervenire sull’ONU, la quale è impotente senza che i governi stessi facciano qualche cosa. Quindi la costituzione, fin dalla partenza non era di tipo governativo del mondo; in più la carta dell’ONU non è stata realizzata come era originariamente costituita. In particolare c’erano dei meccanismi di implementazione delle decisioni comuni, che dovevano passare per la creazione di un comitato militare dell’ONU che si occupasse dell’incremento, cosa che non è stata realizzata. Le sanzioni non possono quindi essere automatiche, ed è molto difficile che siano anche specificatamente introdotte, come è dimostrato dalla difficoltà dell’ONU ad agire tempestivamente. Gli stati non sono infatti disponibili facilmente, in base a una risoluzione di una organizzazione internazionale, a mandare delle truppe e a mettere a repentaglio la vita dei propri soldati. Quindi, mentre l’ONU è rimasta ferma durante tutta la guerra fredda perché gli stati, divisi, non potevano occuparsi delle questioni del governo mondiale, il sistema internazionale era immobilizzato dallo scontro tra i due blocchi. Concluso questo, gli stati potrebbero ora farlo, ma non ne hanno l’intenzione, perché in questo modo non hanno minacce immediate a cui rispondere e in qualche modo rimangono disincentivati a fare quello che potrebbero. Non è una sorpresa che l’ONU trovi delle difficoltà, essendo un’organizzazione che non deve sostituire l’azione dei governi, ma facilitarla. Non direi che le nazioni unite hanno fallito; per me sono fuori luogo sia l’eccessivo entusiasmo sia la delusione, rispetto al periodo del dopo guerra fredda, perché i suoi compiti non sono quelli di imporre la pace. L’ONU è un foro, un cenacolo in cui si ritrovano gli stati. Uno stato come l’Italia certo non sente questo come di vitale importanza, perché ha tradizionali relazioni con gli altri paesi da secoli; ma per tutti i paesi, che si sono formati negli ultimi anni, con la decolonizzazione, è fondamentale avere un luogo in cui la loro legittimità è riconosciuta, dove hanno un seggio insieme agli Stati Uniti e all’Unione Sovietica. Non dobbiamo pensare all’ONU come ad un parlamento che approvi a colpi di maggioranza delle risoluzioni che pongano in pace una regione perché trovano un giusto equilibrio, ma come ad un veicolo per far incontrare gli stati e spingerli al compromesso. Questa arte della politica dell’ONU, secondo me, è sottolineata dal fatto che i maggiori successi dell’organizzazione non sono attribuibili al capitolo VII, che nella carta delle nazioni unite è quello dell’imposizione della pace, dell’implementazione fisica militare delle risorse, ma al capitolo VI, che invece si rifà alla tradizione diplomatica del diritto pubblico europeo, al concerto degli stati che si trovano e discutono dei loro problemi apertamente, cercando in buona fede una soluzione pacifica. Quindi le risoluzioni dei conflitti più difficili, come in Sud Africa il problema dell’apartheid, in Cambogia la guerra civile che ha devastato il paese ed ha ucciso più di un terzo della popolazione, in America centrale la soluzione del problema del Salvador, in Medio Oriente, non sono state ottenute a colpi di maggioranza, e neanche imponendo la pace con i caschi blu; è stato fatto costringendo a stare nella stessa stanza gli stati, convertendoli alla pace. Mi sembra che il problema della guerra sia risolvibile proprio attraverso una obsolescenza progressiva della guerra, un po’ come per l’istituzione del duello, vietato per centinaia di anni ma popolare nelle società del ‘700, dell’800, che progressivamente è uscito dalla mentalità, ha perso il contatto con la società a cui apparteneva. Allora, da politologo ho fatto una esaltazione dell’arte della politica e della utilità dell’ONU come foro per raccogliere le istanze degli stati e spingerli in qualche modo alla conversione, alla collaborazione. Ciononostante, non nego che il diritto internazionale ha un ruolo assolutamente fondamentale in questo; non il diritto interno degli stati, con l’imposizione di alcune regole, ma un diritto che in assenza di un governo mondiale possa costringere gli stati alla pace. Gli stati, per accordarsi fra loro, hanno bisogno di un punto verso cui convergere, uno standard di comportamento. In assenza di questo, due stati che sono in difficoltà tra di loro non saprebbero trovare una soluzione, perché non avrebbero nessuno che li possa guidare. In quest’ottica, appunto, io vedo un’importanza inedita del diritto, ed è appunto l’importanza del diritto internazionale come guida del comportamento degli stati, più che come risolutore ultimo e razionale dei problemi.
Il compito delle nazioni unite appare sicuramente fondamentale per la nascita, la crescita e lo sviluppo di organizzazioni come Amnesty International. Il punto di partenza è il 10 dicembre 1948, la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, emanata dalle nazioni unite. Che cos’ha questa dichiarazione di originale? Non il contenuto, perché molti dei pensieri ivi presenti erano già stati espressi in passato da filosofi, o in altre convenzioni, o in costituzioni di qualche stato. La cosa fondamentale oltre all’adesione di tutte le nazioni del mondo a questa carta, è che viene messa per iscritto. Questa carta aveva comunque un limite: era solo una petizione di principio, buoni propositi che gli stati facevano propri ma che se violati non comportavano una punizione. Appare subito chiaro che in questa dichiarazione universale, molto interessante, manca però un po’ di spessore. Proprio sulla scia dei problemi che potevano sorgere, le nazioni unite nel loro lavoro di tutela dei diritti dell’uomo hanno successivamente emanato dei trattati internazionali: uno sui diritti civili e politici e uno sui diritti economici, sociali e culturali. In Italia sono entrati in vigore nel 1977. Ci sono poi state delle convenzioni regionali, cioè accordi resi tra stati che sono in aree geopolitiche omogenee, per esempio la carta africana o la convenzione inter americana dei diritti dell’uomo, oltre a numerose convenzioni minori. In che cosa si differenziano queste convenzioni dalla dichiarazione universale? Alla base c’è sempre la tutela dei diritti dell’uomo e, questa è la differenza, gli stati che sottoscrivono e fanno proprie queste convenzioni sono vincolati al rispetto di queste carte. Queste convenzioni, per esempio, istituiscono un obbligo di rendicontazione periodica da parte dello stato. Uno stato che aderisce a questa convenzione può anche denunciare un altro stato che vi aderisce ma non la rispetta. Inoltre un singolo cittadino, può denunciare il proprio stato di fronte a queste organizzazioni soprannazionali. Questa rivoluzione copernicana parte dalla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo: noi non siamo più cittadini ma persone. Il cittadino trae la fonte dei propri diritti da un atto che un tempo era del re o dell’imperatore, e che adesso è dello stato, un’entità superiore. Una persona nasce e contemporaneamente ha diritti; non gli arrivano più da qualcuno o qualcosa, nascono con lui. Il singolo diviene interlocutore nei confronti dello stato e lo può denunciare alle organizzazioni sovrannazionali. Le nazioni unite sono necessarie per Amnesty International, perché per la tutela dei diritti dell’uomo Amnesty si fonda sia sulla convenzione dei diritti dell’uomo sia su tutte quelle altre convenzioni che stabiliscono espressamente questi diritti. Così che Amnesty International può sfruttare le convenzioni contro gli stati che non le rispettano, anche denunciandoli. L’attività di Amnesty è rendere in primo luogo coscienti e consapevoli tutte le persone del fatto che godono di questi diritti e che hanno la possibilità di denunciare le nazioni che li violano. Ma c’è una fase successiva nella tutela dei diritti dell’uomo. Finora abbiamo parlato di leggi, di norme soprannazionali. La fase successiva è quella dell’applicazione di queste leggi, e perché vengano applicate occorrono dei giudici. A parte il famoso processo di Norimberga, ultimamente sono stati fatti passi importanti. Per esempio l’alto commissariato per i diritti umani, i tribunali per i crimini di guerra nella ex Jugoslavia, da cui è poi derivato il tribunale per i crimini commessi nel Ruanda. Tutto questo promana dalle nazioni unite. E’ vero che questi tribunali hanno ancora difficoltà ad entrare in funzione a pieno regime; ma il fatto che di fronte a situazioni criminali di questo tipo in questi anni siano nati dei tribunali, è un segno importantissimo della volontà delle nazioni unite di tutelare i diritti dell’uomo. Cosa forse sconosciuta ai più, il primo gennaio 1995 è iniziato il decennio dell’educazione ai diritti umani, proclamato dall’assemblea generale delle nazioni unite. Tuttavia Amnesty e l’ONU hanno un altro vincolo di necessità: Amnesty lavora anche all’interno delle nazioni unite. Ha un proprio rappresentante a New York, uno a Ginevra, e uno anche all’interno della comunità europea; Amnesty è rappresentata, sentita e consultata all’interno di queste organizzazioni sopranazionali. Essere all’interno significa che per statuto, le nazioni unite e le sue agenzie hanno l’obbligo di ascoltare le organizzazioni non governative. Amnesty è un’organizzazione internazionale che ha soci in tutto il mondo; è, quindi, una “multinazionale” dei diritti dell’uomo, che gode dello status consultivo all’interno delle nazioni unite e all’interno dell’ECOSOC, il consiglio economico e sociale, il quale è stato istituito dalla carta dell’ONU per coordinare le attività economiche e sociali dell’organizzazione e delle sue agenzie specializzate. Amnesty non è certo l’unica organizzazione che gode di questo status consultivo: sono ben 831. Tuttavia Amnesty fa parte, delle 3 categorie in cui sono divise le organizzazioni, della seconda, fra cui vi sono quelle che vengono consultate per la loro competenza specifica in determinati campi di attività. Amnesty fa anche parte di altre agenzie delle nazioni unite, come l’organizzazione internazionale del lavoro, nonché dell’UNESCO, in cui vi è l’obbligo di consultazione del membro di Amnesty quando vengono decise nuove normative o progetti da emanare. Per cui possiamo vedere che all’interno della struttura delle nazioni unite vi è una duplice necessità dell’ONU per Amnesty. Da un lato Amnesty utilizza le normative emanate dalle nazioni unite a supporto della propria azione, e dall’altro svolge una funzione propulsiva e consultiva, in cui invita le nazioni unite a emanare norme in una direzione piuttosto che nell’altra. L’ultima fase del lavoro di Amnesty è la corte penale internazionale permanente. Come abbiamo detto, sono stati già in passato istituiti dei tribunali speciali: quello di Norimberga, quello per il Ruanda, quello per la ex Jugoslavia. Tuttavia questi tribunali, creati per rendere giustizia, hanno un’ingiustizia di fondo: sono stati istituiti appositamente per giudicare certi fatti, mentre il vero tribunale neutro, secondo i diritti di principio, è quello che viene creato prima che venga commesso un fatto. Ebbene la nuova frontiera delle nazioni unite a cui Amnesty sta vivamente collaborando, affinché entro il 1996 entri in vigore, è questa corte penale internazionale, permanente, che dovrebbe prendere il posto di quelli che in passato furono i tribunali di Norimberga, attualmente sono il tribunale speciale per il Ruanda e la ex Jugoslavia. Con la creazione di questo tribunale internazionale permanente si sarà completato il quadro per la tutela dei diritti dell’uomo nell’ambito delle Nazioni Unite.
Testo, non rivisto dell’Autore, dell’incontro tenuto il 10.11.1995 a Brescia su iniziativa della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura.