Lo scrittore Sergio Quinzio ha parlato il 7 dicembre 1993 presso il Convento dell’Annunciata a Rovato sul tema: “La crisi dei valori nella civiltà contemporanea” su invito della Sezione di Franciacorta della Ccdc.
QUINZIO, Sergio. – Nacque ad Alassio (Savona) il 5 maggio 1927, secondogenito di una famiglia di origine piemontese. Il padre, Tito Vezio, ex maresciallo dei carabinieri, era il capo dei locali vigili urbani; uomo pragmatico, non era cattolico praticante. La religiosità della madre, Giovanna Ariolfo, era animata da un cattolicesimo tradizionale, accompagnato da un forte senso del dovere connesso al proprio ruolo di sposa e madre. Né l’una, né l’altra figura eserciteranno un influsso diretto sull’elaborazione del suo pensiero religioso. Più percepibile sarà l’incidenza del fratello maggiore, Patrizio Flavio, nato nel 1921. Il clima familiare era modesto, ma sereno. Gli spazi della Riviera di Ponente e soprattutto il mare lasceranno tracce permanenti nel suo animo. Il percorso scolastico si svolse per la massima parte nell’ambito dell’istituto Don Bosco dei salesiani di Alassio, frequentato tra il 1935 e il 1945. L’angusta educazione religiosa e culturale ricevuta restò un paradossale punto di confronto per misurare i successivi mutamenti avvenuti nella sua visione della fede. La svolta decisiva di quegli anni è collegata alla fase finale della seconda guerra mondiale. Nel 1944, adolescente, fu precettato dai tedeschi per lavorare all’obitorio e per recuperare i cadaveri delle vittime dei bombardamenti. Nell’esperienza di quelle morti si trova, per molti versi, l’origine della sua tragica visione della vita. Nel 1945 il padre, giudicato compromesso con il regime fascista, venne incarcerato senza processo per quattro mesi; il fatto indusse la famiglia a trasferirsi in quello stesso anno a Roma. Il padre trovò lavoro come portiere di un palazzo. Quinzio si iscrisse dapprima alla facoltà di ingegneria poi a quella di filosofia, senza comunque terminare gli studi. Anche a causa dei problemi economici familiari, entrò nel 1949 nell’Accademia della Guardia di finanza. Restò in servizio fino al 1967. Nel 1952 ebbe la prima nomina a Gaeta, dove rimase circa un anno. Da lì scrisse molte lettere al fratello, anche lui militare. Patrizio Flavio le conservò e qualche anno dopo gliele restituì, assieme ad altre, invitandolo a trarne spunto per una pubblicazione. Nacque così il primo libro, Diario profetico (Milano 1958) – l’adozione in quella sede dello pseudonimo Quinzio è dovuta al fatto che, in quanto ufficiale, poteva usare il suo cognome solo con il consenso dei superiori. Nella raccolta trova espressione una visione radicalmente escatologica della fede cristiana, accompagnata da una lettura apocalittica della storia. L’attesa delle «cose ultime» nacque in lui dal confronto tra la Bibbia e le sue personali esperienze di vita e di morte; l’unico influsso dichiarato di uno studioso conosciuto di persona è legato al nome di Fernando Tartaglia, un sacerdote scomunicato, poeta e teologo animato da un’inesausta tensione verso la novità assoluta. Negli anni Cinquanta iniziò brevi collaborazioni con alcune riviste, tra cui L’Ultima; più significativa e duratura, dal 1960 al 1968, fu la presenza su Tempo presente di Ignazio Silone e Nicola Chiaromonte. Si deve soprattutto a questi articoli l’interesse manifestato nei suoi confronti da parte di Roberto Bazlen, fatto posto all’inizio della stabile collaborazione di Quinzio con Adelphi. La prima pubblicazione uscita da questa casa editrice fu il Cristianesimo dell’inizio e della fine (1967); il volume è incentrato in un commento di taglio escatologico al Vangelo di Marco (citato in latino). Nel 1968, prendendo le mosse proprio da questo libro, iniziò uno scambio epistolare, durato per tutto il resto della sua vita, con Guido Ceronetti (G. Ceronetti – S. Quinzio, Un tentativo di colmare l’abisso. Lettere 1968-1996, Milano 2014). Sul piano personale gli anni Sessanta sono contraddistinti in maniera determinante dall’amore ricambiato con Stefania Barbareschi (nata nel 1939 e figlia dell’uomo politico socialista Gaetano Barbareschi). Si sposarono nel 1963; poco dopo le nozze, a tre giorni di distanza l’uno dall’altro, morirono i rispettivi padri. Nel 1966 nacque la loro unica figlia, Pia. Dopo aver prestato servizio in varie sedi, l’ultima delle quali Torino, nel 1966 Quinzio ottenne il trasferimento a Roma, seguito, nel 1967, dal pensionamento anticipato. Stefania si ammalò di un tumore che la portò alla morte, trentenne, nel febbraio del 1970. Quell’amore e quella morte furono vissuti all’insegna di una fede tragica e assoluta proiettata verso la fine della storia, l’avvento del regno di Dio e la resurrezione dei morti. La vicenda fu ripercorsa nel libro L’incoronazione pubblicato in forma privata nel 1971 (ristampa, L’incoronazione. Lettera a Stefania, Roma 1981). La violenta interruzione avvenuta nella sua esistenza lo sospinse a scrivere un’opera giudicata, accanto all’Incoronazione, come una specie di suggello tanto della propria esistenza quanto dell’intera storia della salvezza. Si trattava di proporre un commento all’intera Bibbia. Nella sua intenzione il testo doveva essere steso il più in fretta possibile. L’allungarsi dei tempi di scrittura e il moltiplicarsi delle pagine furono vissuti dall’autore come una sorta di simbolo della continua dilazione della salvezza promessa da Dio. Un commento alla Bibbia uscì in quattro volumi tra il 1972 e il 1976. La sua stesura avvenne, per la maggior parte, nel piccolo comune marchigiano di Isola del Piano (Pesaro e Urbino) dove era sindaco il giovane Gino Girolomoni, che gli era stato presentato dal fratello Patrizio Flavio. Quinzio si era trasferito, assieme alla figlia e alle anziane madre e zia, a Isola nel 1973. A quegli stessi anni risalgono sia l’esperienza del ristretto gruppo di giovani animato da Girolomoni, costituitosi attorno all’ex monastero di Montebello (cfr. Lettere dal Monastero di Montebello. S. Pasqua 1973, 1973, con P. Stefani, G. Girolomoni, P. Quinzio), sia la conoscenza di Anna Giannatiempo, allora assistente di padre Cornelio Fabro all’Università di Perugia. La casuale lettura dell’Incoronazione aveva indotto Giannatiempo a iniziare un intenso scambio epistolare con Quinzio. I successivi incontri personali portarono alla decisione di sposarsi. Le nozze furono celebrate a Roma nel 1976; la coppia si sarebbe stabilmente trasferita a Roma solo nel 1987. Iniziò così l’ultima e più conosciuta fase dell’attività pubblica di Quinzio. Sul piano soggettivo fu contraddistinta dal bisogno interiore di continuare a scrivere anche dopo aver portato a termine il Commento alla Bibbia, libro definitivo per il suo autore ma, per molti versi, anche poco compreso dai destinatari. La sua produzione saggistica godette di una crescente attenzione. In proposito basti pensare ai testi più noti: La fede sepolta (Milano 1978), Dalla gola del leone (Milano 1980), La croce e il nulla (Milano 1984), Radici ebraiche del moderno (Milano 1990). Il pensiero quinziano cominciò ad attirare l’interesse di vari intellettuali, specie filosofi; al riguardo si possono fare i nomi di Massimo Cacciari, Gianni Vattimo, Sergio Givone e Salvatore Natoli. Il confronto tra le rispettive posizioni culmina nei modi di intendere l’idea filosofica di nichilismo e quella teologica di kènosis (‘svuotamento’). La prospettiva che addita nel fallimento storico della Chiesa un passaggio necessario al sopraggiungere di una salvezza, connotata in maniera povera e debole, trovò la propria espressione più nota in due libri, La sconfitta di Dio (Milano 1993) e Mysterium iniquitatis (Milano 1995); quest’ultimo testo comprende anche una parte narrativa collegata alla figura del papa Pietro II. L’elaborazione di un pensiero divenuto sempre più stringente nelle sue abissali conseguenze, si accompagnò a una vivace presenza di Quinzio nel mondo dei media. Di particolare rilievo la collaborazione con vari quotidiani (specie La Stampa, il Giornale, Il Corriere della Sera); nei suoi contributi manifestò una capacità di leggere gli avvenimenti alla luce della fede molto distante dal consueto approccio giornalistico imperniato su questioni ecclesiastiche e vaticane. Da tempo sofferente di disturbi cardiaci, morì a Roma il 22 marzo 1996. I suoi funerali furono celebrati dal cardinale Achille Silvestrini; il prelato, nell’omelia, attestò la profonda autenticità della sua fede.
Fonti e Bibl.: La bibliografia più completa è raccolta in A. Giannatiempo Quinzio – N. Baldoni – C. Rizzo, Bibliografia di S. Q., in Bailamme, XX (1996), pp. 275-301, riproposto in S. Q.: apocalittica e modernità, a cura di G. Trotta, Melzo 1998, pp. 217-248; per l’aspetto biografico, «Mi ostino a credere». Autobiografia in forma di dialogo, a cura di G. Caramore – M. Ciampa, Brescia 2006. Mistura, La resurrezione dei morti: omaggio a S. Q., Piacenza 1999; S. Q.: le domande della fede, in Humanitas, 1 (1999), pp. 10-88; S. Q.: profezie di un’esistenza, a cura di M. Iiritano, Soveria Mannelli 2000; L. Grecchi, La verità umana nel pensiero religioso di S. Q., Pistoia 2004; Il messia povero. Nichilismo e salvezza in S. Q., a cura di D. Garota – M. Iiritano, Soveria Mannelli, 2004; M. Iirtiano, Teologia dell’ora nona. Il pensiero di S. Q. tra fede e filosofia, Troina 2006; A. Scottini, S. Q.: un profeta deluso, Milano 2006; R. Fulco, Il tempo della fine. L’apocalittica messianica di S. Q., Reggio Emilia 2007; L’attesa di Dio. Il cristianesimo drammatico di S. Q. a dieci anni dalla morte, in Il Margine, I (2007), pp. 3-121; M. Borgognoni, La fede ferita. Un confronto con il pensiero apocalittico di S. Q., Assisi 2009; S. Natoli, L’apocalisse di S. Q.: alla fine della cristianità, in Id., Il crollo del mondo, Brescia 2009, pp. 59-93; S. Mistura et al., Dalla gola profetica, Piacenza 2010; L. Sandonà, S. Q., Roma 2014; P. Stefani, Tra dolore e consolazione. Giobbe e Cantico dei Cantici nell’opera di Q., in Mi metto la mano sulla bocca. Echi sapienziali nella letteratura italiana contemporanea, a cura di M. Naro, Roma 2014, pp. 193-203. (treccani.it – 2019)