Alcuni anni or sono la CCDC presentava un libro dal titolo suggestivo Da Leopardi a Montale, che raccoglieva il frutto di incontri culturali di grande interesse e che testimoniava in modo significativo della vitalità culturale del mondo bresciano. Il libro, che riuniva i testi di conversazioni tenute in sedi diverse, organizzate anche dal Liceo Classico Arnaldo in collaborazione con la Fondazione Folonari, ebbe grande successo e presto furono esaurite le copie stampate, cosicché a seguito di molte richieste e con il concreto e pronto aiuto della Fondazione Folonari si è provveduto alla ristampa dello stesso. Nell’occasione della presentazione di questo primo volume, visto il grande interesse del pubblico, è nata l’idea di continuare l’iniziativa, che ritenemmo utile ai docenti e agli studenti bresciani e a chiunque avesse sensibilità spirituale e interesse per i valori della poesia. Allora la raccolta era piuttosto diversa nei contenuti e nelle tematiche, sebbene tutte le conversazioni trovassero la loro unità nel solito, eterno protagonista della storia terrena, l’uomo, pellegrino inarrestabile in cerca di se stesso e delle ragioni del suo esistere, così come esso appare attraverso le voci più alte e più intense della nostra storia letteraria dell’Ottocento e del Novecento.
Il ciclo che è nato in quella occasione e il cui risultato viene ora presentato al pubblico ha invece il carattere dell’unità tematica poiché tutte le conversazioni sviluppano e illustrano quello che è il titolo del ciclo stesso: “Testi esemplari della lirica italiana”.
Pertanto dallo Stil Novo al Novecento tutte le conversazioni contenute in questo libro sono rivolte ad un esame preciso e ad uno studio critico di uno o di pochi testi lirici dei più significativi poeti italiani. Qui è oggetto di ricerca soltanto la poesia, la grande poesia, che se è tale, al di là delle componenti e risultanze formali, non è mai falsificazione letteraria, non è mai estranea alla vita, ma è la più genuina interprete della vita e delle ragioni dell’umanità, la testimone più attenta del grande dramma della storia. Qui grandi italianisti forniscono al lettore una lezione di come ci si può e ci si deve accostare ad un testo poetico, per scoprirne tutti i segreti che nasconde: anche l’analisi filologica delle varianti che le diverse stesure di un testo presentano, può fornire la chiave per risalire ad un più acuto e completo giudizio estetico, ad una più sicura interpretazione del travaglio di un poeta. Altre relazioni ci danno un esempio di come un’analisi puntuale del testo, inserito nel reticolo dei rapporti culturali, dei riferimenti allusivi del linguaggio, dei fitti rinvii che emergono da espressioni che paiono oscure, ma tali non sono per chi sa leggere ciò che veramente il poeta vuol dire, consenta di cogliere i rapporti che legano o differenziano poeti e movimenti tra di loro: è il caso della relazione di Pietro Gibellini che, partendo un sonetto di Bonagiunta Orbicciani, riesce a sciogliere il “nodo” che segna il passaggio dalla vecchia maniera della lirica amorosa siculo-toscana alla nuova, quella che Dante definisce nel Purgatorio “dolce stil novo”, ispirato, più che alla tradizione cortese, al repertorio della tradizione innografica cristiana.
Il punto più alto di questa nuova scuola poetica si ha con Dante e appunto al nostro maggior poeta Bortolo Martinelli dedica la dottissima e puntuale analisi di una canzone della Vita Nova “Donna pietosa e di novella etate”. In questa canzone Dante sembra chiaramente aver voluto pagare il tributo ad una lunga tradizione di natura agiografica, poetica e cristiana, per cui il destino di Beatrice, di cui Dante ha qui per così dire un presagio di morte, si rivela modellato sulla vita perfetta di Maria e di Cristo e ancora una volta l’esperienza amorosa di Dante e la vita di Beatrice acquistano un valore esemplare e salvifico.
Dello studioso bresciano Pietro Gibellini un’altra relazione è dedicata ai Sonetti di Foscolo, il poeta che ha saputo non solo ridare vita ad un genere che nei poeti del Dolce Stil Novo e in Petrarca aveva raggiunto le sue più alte vette, ma anzi ci ha dato con i suoi sonetti d’amore, di rimpianto, di malinconia alcune tra le più belle poesie di tutta la nostra letteratura. Gibellini esaminando questi sonetti anche attraverso le varianti tra l’edizione pisana e quella milanese, mette in evidenza il tragitto percorso dal poeta, dai modelli di Petrarca e di Alfieri, per raggiungere un suo originalissimo risultato poetico, dove non c’era solo il ripiegamento sul proprio io come tentativo di fronteggiare la desolazione del “nulla eterno”, una poesia insomma come oblio terapeutico, ma c’era anche la ricerca di “una poesia dell’intelligenza”, una poesia che già additava una uscita verso la Musa dei Sepolcri, verso “le Muse del mortale pensiero animatrici”.
Particolarmente interessanti sono le due relazioni di Roberto Fedi, che nella prima esamina il sonetto proemiale del Canzoniere di Petrarca, ricavando proprio da questi pochi versi il senso di tutto il Canzoniere, che sta appunto nel cercare, agostinianamente di raccogliere quelle sparse vicende, di dare un senso a quella esperienza frammentaria e di riscattare nell’unità la molteplicità e di avvertire tutta la forza della memoria. Nella seconda relazione Fedi tratta un aspetto insolito della tradizione lirica italiana, la poesia al femminile quale appare da due testi, uno del Cinquecento e uno del Settecento, che vogliono essere una risposta, appunto da parte di una donna, alle poesie del Canzoniere petrarchesco: una forma estrema di imitazione che, specialmente nel testo del Settecento sfocia nella parodia.
Vorrei ora richiamare due relazioni particolarmente importanti, una di Dante Isella su Parini e una di Giorgio Varanini su Il Cinque Maggio di Manzoni: sono due lezioni da cui emergono in tutta la loro grandezza sia i due poeti sia i due critici. Parini risulta veramente il primo poeta della nuova letteratura, colui che per primo dopo secoli non sa concepire l’arte come bella forma esteriore, ma come qualcosa che ha alla sua radice l’umanità, la famiglia, l’amore, l’amicizia, la natura. Dalla lezione di Giorgio Varanini (già ammalato quando venne a Brescia e morto pochi mesi dopo) emerge l’immagine di un Manzoni che con la sua poesia svolge un alto magistero morale e civile, proprio in anni che furono decisivi e cruciali per la indipendenza e della libertà della patria.
E’ noto che Leopardi tornò insistentemente sul tema del suicidio: lo Zibaldone è pieno di pensieri sul suicidio; è un tema che richiamò costantemente la sua attenzione, anzi si direbbe che in particolari e pietose circostanze lo attrasse: è il caso appunto del Bruto minore e dell’Ultimo canto di Saffo, due miti e allegorie dell’infelicità umana e della vanità delle grandi illusioni; qui c’è la scoperta dello squallido vero, del solido nulla, che nell’Ultimo canto di Saffo si esprime con parole semplici, umane, accorate. Qui la disperazione nasce dal contrasto con la natura, quasi un sentimento di innamorato respinto, di esclusione dalla bellezza della natura, in tutti i suoi aspetti più leggiadri. C’è la consapevolezza di un peccato originale, che per Leopardi si identifica col montaliano “male di vivere”, sicché Saffo – Leopardi può chiedersi: “In che peccai, bambina?”. Ma la terapia del male di vivere si trova per Leopardi in un atto radicale di negazione “Non v’è altro bene che il non esistere”. E’ dunque una materia quella che ispira questa canzone, intimamente e delicatamente personale, che Leopardi esprime attraverso la mediazione di Saffo, una creatura che acquista intensità poetica proprio perché immersa in un’atmosfera di nobile e remota antichità.
Questo e molto altro si ritrova nella raffinata conversazione di Gilberto Lonardi.
E’ stato detto che nella poesia di Pascoli ci sono due tendenze contrapposte: la tendenza al vago, all’indeterminato e il bisogno quasi verista di precisione, di concretezza di immagini. Ebbene la poesia Nebbia sembra proprio emblematicamente riunire questi due aspetti. Per Nadia Ebani, che ne fa un’analisi molto suggestiva, la nebbia diventa oggetto di poesia non perché nasconde ogni cosa, ma perché recide le cose lontane ed in forza di questa distinzione il tema tocca le corde sentimentali del poeta con tale intensità di pathos che egli si rivolge all’immagine non solo con un discorso diretto, ma con un’apostrofe, resa più enfatica dalla duplicazione: “Tu nebbia…tu fumo…”. Nadia Ebani però va oltre e nella sua conversazione ci svela sensi nascosti, scova rapporti che la poesia ha con altri testi del medesimo autore, ma anche con passi di Dante e di Leopardi. Ma la nebbia, impedimento alla visione del reale come la siepe dell’Infinito, a differenza di quella non produce né finzione né dolcezza di naufragio, ma diventa la rappresentazione di una condizione esistenziale segnata dall’accidia, dall’incapacità o dalla non volontà di agire di fronte ad una realtà personale e storica di rovina e di dolore.
Accenno appena, non perché siano meno importanti, ma solo per ragioni di tempo e per non tediarvi, alla relazione di Maria Strada sul testo carducciano Dinanzi alle terme di Caracalla e a quella di Giovanni Tesio sulle rime di Alfieri. Ricordo infine la bella relazione di Arnaldo Di Benedetto, che partendo dall’analisi della lirica dannunziana Meriggio allarga il discorso ad altri testi dannunziani sul medesimo tema e poi al tema del meriggio nella poesia dell’Ottocento e nella prima parte del Novecento e in particolare in Montale.
Con il primo volume Da Leopardi a Montale ed ora con questo Da Dante a Pascoli la CCDC ha realizzato un’opera di grande utilità sia ai fini didattici, poiché i due volumi potrebbero benissimo accompagnare i manuali scolastici come strumenti di approfondimento, ma anche di una utilità che si estende al di fuori della scuola, perché, come scrive nell’introduzione Paola Paganuzzi, i poeti sono come dei compagni di viaggio, che penetrano nelle stanze del nostro animo per leggervi quelle domande inespresse che ci accomunano tutti.
NOTA: testo, non rivisto dall’Autore, della conferenza tenuta a Brescia il 25.11.1994 su invito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura.