Il servizio della Chiesa italiana alla società civile nel XX anniversario del Concilio Vaticano II

L’incontrarmi con tutti voi, carissimi amici di Brescia, mi fa ricordare una bellissima giornata trascorsa insieme a voi: l’incontro col Papa. Alla luce di questo incontro con il santo Padre rivivono non più ricordi, ma memorie di grandi tradizioni che sono risuonate in questa chiesa della Pace; ricordo il cardinale Bevilacqua e la dolce e amabile figura di Paolo VI, che hanno preparato testimoni più recenti.

Mi sento in mezzo a voi come di fronte a testimoni visibili ed allo stesso tempo mi sento avvolto da una nube di grandi testimoni della fede invisibili: a loro chiedo l’intercessione presso Dio perché ci aiutino ad avere verso il nostro presente un po’ di quella luce di fede, di intelligenza e di amore che essi ci hanno insegnato: mi aiutino ad averla per il tema così impegnativo che mi è stato proposto dalla CCDC: “Il servizio della chiesa italiana alla società civile nel ventennio del concilio”. Un tema veramente troppo grande per me, dato che è recente la mia nomina a pastore della chiesa milanese (non ancora tre anni).

Mi sono occupato della Parola di Dio, ma sempre intesa in un contesto di attenzione alla Parola in se stessa, senza affrontare le relazioni della Parola nella società. Invece da tre anni a questa parte mi trovo stimolato a quel servizio meraviglioso della Parola, che è lo stesso della Madonna: essa confrontava e affrontava i singoli eventi di cui era testimone, cercandone il senso. Questo è l’esercizio al quale l’obbedienza ci conduce.

Un modo per trattare questo tema potrebbe essere quello molto semplice di commentare un documento recente dell’episcopato italiano, quale “La chiesa italiana e le prospettive del paese”      (23 ottobre 1981) o altri. Ma preferisco svolgere il tema nella prospettiva del concilio dopo vent’anni dalla sua celebrazione. Dividerò la mia esposizione in due parti, che daranno risposta a due domande: 1) che cosa ha significato per la chiesa italiana il concilio (quali gli elementi caratteristici)? 2) Che cosa deriva da questa immagine nuova che la chiesa ha elaborato di sé per il suo servizio alla società civile? La chiesa mistero, in ascolto, formata dall’Eucarestia, come serve oggi la società?

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Riprendo la prima domanda: il significato del concilio per la chiesa è ciò su cui si vanno interrogando in questi mesi le comunità cristiane e non cristiane. Gli organi di stampa laica se ne sono interessati ampiamente e spesso alla rievocazione del concilio viene associata la valutazione del postconcilio, contrapponendo la freschezza degli anni conciliari all’affanno un po’ inquieto degli anni successivi e denunciando lo scarto tra le promesse profetiche del concilio e il loro adempimento.

Occorre certo tenere conto della diversità tra il clima che ha accompagnato la proposta conciliare e quello che ha caratterizzato poi la sua attuazione. Ma per capire il postconcilio e la nostra situazione presente occorre ritornare al concilio stesso, rileggere il suo messaggio fondamentale: comprenderemo così come la coscienza di chiesa ne sia stata formata e che cosa esso suggerisca per il servizio della chiesa nel presente. Per comprendere il messaggio del Vaticano II possiamo partire da un fatto piuttosto strano: al centro del dibattito conciliare c’è stato il rapporto della chiesa con l’uomo contemporaneo, quasi essi fossero due fuochi di un’ellisse: la chiesa da una parte, l’uomo moderno dall’altra. Un’analisi però più profonda e una rilettura integrale del concilio nella sua organicità ci obbliga ad affermare che né l’uomo, né la chiesa sono stati il centro del messaggio conciliare: il concilio non è stato né antropocentrico, né ecclesiocentrico. Al suo centro c’è stata la riflessione sul progetto di Dio in Gesù Cristo e la considerazione sull’uomo non ha catturato né esaurito in se stessa la fede della chiesa, ma l’ha sollecitata a diventare una fede sempre più pura e rigorosa in Colui che è la Verità, la Speranza, la Salvezza dell’uomo: Gesù Cristo.

La chiesa del Vaticano II è una chiesa che ha sempre compreso la propria comunione con Cristo e la missione che Cristo le affida. Questa logica interna della riflessione conciliare, questa scoperta del Cristo in sé può essere illustrata con l’accenno al tema fondamentale dell’ecclesiologia del Vaticano II: la chiesa come mistero. La chiesa preconciliare, pur riconoscendo in se stessa tutti i valori donati da Gesù, concedeva però un’attenzione particolare agli aspetti societari. Invece – a partire dal Vaticano II – la chiesa ama descriversi come mistero, come segno del corpo di Cristo, come popolo di Dio. Queste espressioni dicono relatività della chiesa a Cristo e a Dio. La chiesa non ha senso compiuto, non ha consistenza piena in se stessa, ma è un indice puntato verso Cristo, è la sua manifestazione storica, visibile, la sua realizzazione nel tempo.

Questa riflessione, che anima tutti i documenti conciliari, diventa esplicita in quelli che vedono nella Parola e nei sacramenti le forme fondamentali della presenza di Cristo nella storia: la Dei Verbum, la Sacrosantum Concilium e la Lumen gentium. Le prime due costituzioni, sulla divina rivelazione e sulla sacra liturgia, con il loro nitido disegno cristocentrico, hanno fatto superare sia una visione concettualistica della rivelazione, sia una visione cosificata dei sacramenti, dischiudendo sempre più chiaramente l’accesso alla viva presenza del Signore e avviando un benefico rinnovamento nel campo liturgico, nel campo biblico e catechetico. Riferiamoci in particolare alle pagine della Dei Verbum dove la chiesa si professa in ascolto della Parola e serva della stessa, per cui il suo magistero non è superiore alla Parola di Dio, ma ad essa serve, insegnando ciò che è stato trasmesso (n.10): è necessario che la predicazione ecclesiastica – come la stessa religione cristiana – sia nutrita e regolata dalla sacra Scrittura (n. 25). Possiamo citare, per quanto riguarda il rapporto tra la chiesa e l’Eucarestia, il testo famoso della Presbiterorum ordinis, in cui si afferma che tutto il bene spirituale della chiesa è il Cristo, nostra Pasqua e pane vivo che dà vita agli uomini. L’Eucarestia è dunque il centro della comunità dei cristiani. Questi testi dicono che la chiesa intende se stessa – a partire dal concilio – tutta relativa alla Parola e all’Eucarestia, suo sommo bene spirituale.

Seconda domanda:  Come la chiesa mistero, tutta relativa a Cristo, a Dio, in ascolto della Parola, formata dall’Eucarestia, serve la società, oggi? Si potrebbe partire dall’immagine di uomo che la chiesa esprime: un uomo che offre, che propone, che proclama, che esprime, che vive nella storia traendo nutrimento dalle sorgenti della Parola e dell’Eucarestia. Ma è meglio, invece, fare riferimento ai dinamismi legati all’interazione chiesa-società, perché è qui che sorgono i problemi, le fatiche, le difficoltà. Per fare questo occorre, prima di tutto, escludere i modi errati di intendere la “chiesa” (mistero, formata dall’Eucarestia) e la “società” e poi passare ad una successiva descrizione positiva, che comprende quattro punti: 1) la tematica trascendentale; 2) le situazioni; 3)  le modalità; 4) i contenuti del servizio della chiesa alla società.

Prima, però, bisogna escludere modi errati di intendere il rapporto chiesa-società. Per esempio, non è esatto dire che la chiesa concentrandosi nell’ascolto della Parola e nell’adorazione del suo mistero, che è l’Eucarestia, elude la fatica, i rischi del confronto quotidiano e non affronta le complesse situazioni e circostanze sociali. Allo stesso modo non è esatto dire che la chiesa si limita a svolgere compiti interni alla vita ecclesiale, inerenti al servizio della Parola e dei sacramenti., o che la chiesa ricorre alla Parola e al sacramento con una valenza ed efficacia culturale e politica. Infatti essa, automaticamente nel suo unico intervento, che è la nuda proclamazione della Parola, fa cultura e produce socialità, mentre nel sacramento la chiesa possiede già uno strumento di aggregazione culturale immediatamente operativo. Ecco i due estremi in cui noi continuamente ci dibattiamo.

Sono estremi reali, forse i due momenti del pendolo tra cui oscilla il discernimento ecclesiale quotidiano. Occorre dunque riconoscere che ci deve essere un raccordo tra servizio della Parola, sacramenti e servizio alla società e che tale raccordo ha una struttura complessa che esige la messa in atto di molti atteggiamenti complementari. Esso va interpretato con la tematica trascendentale, cioè la tematica fondamentale con cui la chiesa entra nel rapporto di servizio alla società. E, per comprendere, possiamo incominciare riflettendo sul fatto che, per mettersi al servizio di una determinata situazione sociale, non basta coglierla nella sua fattualità, cioè non basta cogliere le istanze immediate o registrarne le condizioni estreme. L’attualità vera che cerchiamo è la lettura dei fatti, l’interpretazione dei fatti.

Anche oggi la chiesa si confronta e diventa interpretazione degli episodi quotidiani, intelligenza del presente. Uno sguardo più penetrante arriva a scoprire che il presente dell’uomo non si spiega solo con il ricorso al passato e alla progettazione del futuro: esso è teso verso una verità definitiva e verso un fine ultimo. Nella distensione temporale del presente, tra la memoria del passato e il progetto del futuro, vibra la tensione radicale verso un mistero che trascende il tempo. Il cristiano è colui che riceve dalla Rivelazione, accolta nella fede, la certezza che questo mistero trascendente dà senso alle azioni singole e permette di interpretarle. Pensiamo, per esempio, ai discepoli di Emmaus: avevano una serie di fatti, ma non sapevano collegarli, perché ad essi mancava l’interpretazione trascendente che sola permette di cogliere il senso. Il cristiano riceve dalla rivelazione la certezza che questo mistero trascendente si è concesso all’uomo, si è comunicato alla storia nella persona di Gesù Cristo; il cristiano sa di vivere veramente il presente quando accoglie e testimonia la presenza del Cristo risorto nella Parola e nel sacramento in cui Dio si manifesta nell’oggi.

L’incontro del credente con la Parola e con l’Eucarestia è un evento gratuito, come gratuita e singolare è la comunicazione di Dio all’uomo. Ma tale evento gratuito si compie in un ampio dispiegamento di atteggiamenti umani, in cui l’uomo è invitato a buttarsi, a dare il meglio di sé, a coinvolgersi con la sua intelligenza, con la sua libertà, sensibilità, responsabilità e con la sua storia.

Da un lato, il credente arriva al dono eccezionale che Dio gli fa con la presenza della sua Parola e della sua Eucarestia, a partire da una seria decisione di capire, di vivere il presente e, dall’altro lato, proprio a partire dalla Parola e dal sacramento, egli ritorna al presente, all’analisi degli aspetti che lo compongono, al suo essere sotteso tra memoria e speranza, alla sua tensione verso il mistero. Anche nel tragico rinnegamento (possibile) di tale tensione, l’uomo deve proclamare in questo presente inquieto e peccaminoso la presenza illuminante della Parola di Dio e della forza eucaristica che cambia il mondo.

Ora, da questa brevissima riflessione noi siamo invitati a configurare una serie di riflessioni circa le relazioni e le mediazioni tra le interpellanze originali che provengono dall’iniziativa divina nella Parola e nei sacramenti e gli appelli emergenti da una determinata situazione umana.

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Scelte prioritarie. Mi limiterò a qualche esempio, a qualche situazione, nell’intento di suggerire qualche scelta prioritaria e qualche linea metodologica. Prima di tutto ricordo che la chiesa si sente riferita alla Parola e alla tematica trascendentale, di cui ho già parlato: è questa che deve guidarla, anche nella sua missione culturale. Infatti la chiesa sa che la Parola di Dio, che la costituisce, è quella stessa Parola che era in principio, che ha creato il mondo e che viene ad illuminare ogni uomo; sa che il sacramento che la nutre è Gesù stesso, figlio di Dio, dato per noi, senso ultimo dell’esistenza dell’uomo, chiave dell’antropologia. Per questo nell’ascolto della Parola e nel mistero eucaristico, la chiesa esprime la sua piena disponibilità al misterioso disegno di Dio sull’uomo, disponibilità che deve animare ogni autentica interpretazione dell’esistenza umana. Perciò il primo compito, trascendentale, della chiesa, anche dal punto di vista culturale, è quello di aprire continuamente ogni aspetto della convivenza umana al senso del mistero.

Questo è il primo grande servizio che la chiesa offre alla società: squarciare continuamente un’apertura verso il mistero, promuovere la scoperta della dimensione contemplativa della vita e servire questa società mostrando che senza un’apertura verso il mistero, né l’uomo, né la società riescono ad intendersi pienamente e ad esprimersi correttamente nella totalità dei loro desideri e delle loro speranze.

Partendo da questa ottica ci troviamo di fronte a gravissime difficoltà della cultura contemporanea. La più evidente è causata da una cultura che non è capace di accogliere le tensioni verso il trascendente e fa dell’uomo la misura totalmente autonoma di se stesso e di tutta la sua realtà. La difficoltà opposta è quella che proviene dal risveglio di un senso religioso che tende al fanatico, al possessivo, al magico, che non educa quindi l’uomo ad affidarsi umilmente al mistero divino ma esprime semplicemente il bisogno che l’uomo ha di sentirsi sicuro, protetto, garantito contro le fatiche della vita, contro i rischi della libertà e le incertezze del futuro.

Queste difficoltà, che vengono e dall’incredulità arrogante e dalla religiosità ambigua, sono largamente presenti nella nostra società. È difficile dire quale sia quantitativamente dominante, ma certamente l’una e l’altra ci percorrono e ci penetrano. Esse richiedono un’attenta e sofferta considerazione….e non solo deplorativa. È importante che la chiesa, che ciascuno di noi, interpreti con l’intelligenza alcuni fenomeni tipici della cultura attuale.

Quasi a modo di esempio ne scelgo alcuni e li enuncio. Dapprima tre fenomeni positivi ed ambigui: a) ricerca di identità culturale della nostra società; b) rispetto della libertà e dignità umana; c) esigenza crescente di pulizia morale. Poi due fenomeni più chiaramente negativi: d) mentalità laicista; e) la presenza dei lontani e degli indifferenti. La sollecitudine della chiesa deve assumere un atteggiamento non di deplorazione, ma di intelligente interpretazione e discernimento del bene e del male. Vediamo ora, uno per uno questi esempi.

La ricerca di identità culturale. È necessario prendere sul serio la ricerca di identità culturale di molti, oggi. Il nostro paese ha una tipica tradizione che si manifesta nella mentalità, nel costume, negli atteggiamenti etici di fondo. Il papa ha parlato di cultura popolare, intendendola appunto nel senso più vasto di scelte fondamentali che stanno prima delle opzioni particolari. Se si analizzano le radici di queste tradizioni culturali, si scorgono gli evidenti influssi che provengono dalla storia cristiana, basata sul mistero della chiesa nella storia. Si tratta allora di illustrare questi influssi, di mettere in luce la loro forza plasmatrice di veri valori umani, di far vedere come essi hanno creato unità tra correnti culturali diverse, di metterli a confronto con i nuovi problemi della società italiana attuale. Facendo questo, non solo si rende un servizio a chi immediatamente ascolta e cammina con noi, ma forse si sollecitano molte persone che hanno abbandonato da tempo la problematica religiosa ad esaminare il valore teorico e pratico di un discorso sulla trascendenza, proprio a partire dalla constatazione della intensa attività culturale sprigionata lungo i secoli dalla fede cristiana.  Per questo tra le tante iniziative che si preparano per il Congresso Eucaristico nazionale è felice quella di una mostra sull’Eucarestia lungo i secoli. È utile far vedere a tutti che l’Eucarestia è stata fonte di arte, di cultura, di letteratura, di pensiero, di atteggiamento, di costume e che quindi ha creato valori fondamentali di cui ancor oggi viviamo.

Rispetto della libertà e dignità umana. È importante anche esaminare criticamente l’atteggiamento della nostra società su valori come la libertà e la dignità dell’uomo, partendo dal riconoscimento che, malgrado tutto, è maturata una forte coscienza civile della libertà e dignità della persona. Si fanno grandi battaglie, si impegnano mezzi, tempo, energie per salvare tante vite umane dalla guerra, dalla malattia, dalla fame, dagli ambienti malsani; volesse il cielo che si potessero moltiplicare questi sforzi per salvare l’uomo da tute queste sofferenze.

Accanto a questi atteggiamenti costruttivi si registrano però fenomeni di segno opposto: uccisione della vita nel suo sorgere o nel suo finire; corsa sfrenata agli armamenti, mentalità violente, mancanza di rispetto del contesto fisico e psichico in cui la vita nasce e si sviluppa, diffusione paurosa della droga. Una riflessione su queste contraddizioni, attuata con rigoroso senso critico, attraverso un civile e sereno dibattito e soprattutto con il sostegno di una testimonianza cristiana di generoso impegno per la vita, dovrebbe condurre a scoprire che non basta affermare con parole la dignità dell’uomo, la sua libertà, ma occorre anche salvaguardarla veramente da ogni aggressione e da ogni strumentalizzazione. Infatti l’assoluta dignità dell’uomo deriva dalla sua apertura al mistero, dalla sua esclusiva appartenenza alle mani di Dio, dalla Parola di Dio e dall’Eucarestia.

Esigenza morale. Forte è l’appello alla pulizia e ad una rigenerazione morale di fronte a casi di corruzione, di fronte al generale affievolimento del senso di responsabilità, di fronte alla crisi delle istituzioni democratiche. Tante voci chiedono un rinvigorimento della coscienza morale. Ma l’appello ai valori morali non basta. Bisogna che attraverso un serio e concorde impegno per i valori etici – colti nella loro fondazione veritativa – si risvegli e si apra il cuore dell’uomo ai problemi della trascendenza. La chiesa italiana, confrontandosi con simili fenomeni dei nostri giorni, serve e può servire quel mistero cui ogni giorno deve obbedire per avere la salvezza. Come può la chiesa vivere la propria adesione al mistero in un presente chiaramente negativo e introdurre nella vita culturale italiana fermenti e aperture verso la trascendenza? Essa riconosce le pigrizie, i ritardi che possono offuscare la sua obbedienza al mistero e deve, quindi, accogliere con gratitudine tutti i richiami che Dio le invia per essere veramente serva del mistero; ascoltatrice della Parola. Questi richiami derivano da due fonti quali la luminosità esigente della Parola e la grandezza ineffabile dell’Eucarestia: esse si presentano con molte istanze di rinnovamento che lo Spirito Santo suscita a tutti i livelli della vita ecclesiale, e possono anche provenire dalla situazione culturale che ci circonda, da alcuni fenomeni che introducono nuove modalità di rapporto della chiesa con la società italiana.

Mentalità laicista. Ha alla radice antiche o recenti incomprensioni tra chiesa e stato, che hanno generato anticlericalismi estremi e viceversa, chiusura al dialogo sereno, rifiuto di riconoscere i valori della tradizione cristiana, pregiudizi antireligiosi ecc. Inoltre la mentalità laicista ha, come esito e sbocco, atteggiamenti quali spirito acrimonioso, distorsione dei fatti, emarginazione di realtà ecclesiali, impedimento al dialogo sereno tra credenti e non credenti, ostacolo al mistero di Dio. Per tutte queste cose, essa è un fenomeno negativo e va denunciata con ogni mezzo. Va denunciata inoltre perché l’atteggiamento aggressivo e scorretto di questa mentalità, prima di fare il male di colui contro il quale è diretto, danneggia e degrada il portatore. Questo atteggiamento va denunciato e combattuto. Il laicismo, però, può essere visto come esasperazione degenerata di alcuni valori di laicità, che la chiesa e noi cristiani possiamo essere tentati talvolta di trascurare, trasformando così il nostro rapporto con la verità della Parola in una pericolosa tendenza al possesso e al privilegio. Non siamo più allora umili ricercatori e servitori della Parola. Anche Davide seppe riconoscere un ammonimento di Dio nelle violente invettive di Saul mentre fuggiva da Gerusalemme, come ci racconta il secondo libro di Samuele. Così noi cristiani italiani potremmo ricavare frutti di maggiore essenzialità e linearità anche da episodi di laicismo, che contraddistinguono alcuni settori della nostra società, dialogando pazientemente con la mentalità laicista.

I lontani. Un ultimo fenomeno che affligge più direttamente la nostra coscienza pastorale è il fatto che la maggior parte della popolazione italiana, almeno in parecchie regioni, pur risultando cristiana per l’anagrafe e per alcuni gesti religiosi di appartenenza ecclesiale, in realtà vive lontana dalla vita della chiesa. Questo è un problema estremamente doloroso e complesso, che suscita ogni giorno il nostro impegno e la nostra sofferenza pastorale. Tuttavia questo fenomeno porta anche ad una considerazione che già esprimevo nella mia lettera pastorale dello scorso anno, In principio la Parola. Dicevo che molti episodi della Bibbia ci presentano dei forestieri, dei pagani, degli esclusi che diventano destinatari della Parola di Dio. Su coloro che frequentano regolarmente la vita della comunità, su di noi quindi, incombe il rischio di abituarci ai grandi doni cristiani, di trattarli in modo possessivo, di mortificarne l’efficacia operativa. Talora, invece, la condizione di lontananza – quando non dipende prevalentemente da cause colpevoli, come pigrizia e condotta morale contraria al modello evangelico – può anche conferire alla ricerca di fede, o almeno alla ricerca di senso assoluto della vita, toni di profondo rispetto, passione per l’autenticità, serietà nel correlare la fede con i problemi del giorno d’oggi. Certo questi possibili valori, presenti talora nella ricerca dei lontani, non devono indurre a pensare che sia preferibile mantenere la condizione di lontananza. Si tratta infatti di valori precari e fragili, che spesso sono misti a molte ambiguità e che per essere veramente operanti richiedono che la lontananza venga superata con l’accostamento critico e coraggioso. Occorre però che la chiesa sappia accostarsi ai lontani, al di là di ogni deplorazione e deprecazione, con la capacità di conoscere, come dice Paolo, tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, tutto ciò che è virtù, tutto ciò che merita lode.

Potremmo dunque dire, concludendo questa parte, che la chiesa può, a partire da fenomeni culturali quali quelli che abbiamo ricordato, risvegliare l’interesse per i problemi della trascendenza dialogando e interpretando. Può circoscrivere i fenomeni negativi e affrontarli con lucidità e il coraggio dell’intelligenza che sa penetrare nella complessità del nostro vivere sociale.

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Modalità della presenza della chiesa nella società. Constatiamo tutti l’estrema complessità delle situazioni umane in cui la Parola è annunciata, oggi. E una considerazione insufficiente della stessa complessità rende talvolta precipitosa o reticente e addirittura latitante la presenza della chiesa nei diversi strati della società. Per averne un’idea vi invito a riflettere brevemente sul rapporto che intercorre tra due aspetti del problema.

Il primo aspetto è il diverso grado di opzionalità che caratterizza le differenti scelte umane. Di fronte ad alcuni fondamentali valori di libertà della vita umana, di fronte ad alcuni insostituibili strumenti di promozione di tali valori, dovrebbe esserci un accordo di fondo tra tutte le persone che cercano onestamente il vero bene dell’uomo. Invece, a mano a mano che ci si allontana dal cuore dei valori e si va verso strumenti di tipo tecnico e funzionale, nascono pareri diversi, differenziazioni anche legittime, punti di vista complementari. Ciò in rapporto anche alle diverse tradizioni, sensibilità ed esperienze delle persone e dei gruppi sociali.

Il secondo è la diversa modalità con cui oggi si crea un accordo fra le persone, in vista di un bene comune a cui dedicare l’impegno libero dei singoli.  Altro è l’accordo che si raggiunge in un gruppo di amici, in una famiglia, in cui la ricerca del bene comune fa leva sul dialogo sereno, sui legami affettivi, sulla possibilità di ascoltare tutti, di verificare e modificare i progetti in base all’attenzione dei singoli. Altro è la comunità più complessa, più articolata dove si deve anche ricorrere a strumenti più rigidi e anche impersonali fino ad arrivare all’esercizio del potere in senso stretto, con i vari complessi strumenti del consenso democratico.

In questo contesto, la presenza della chiesa – che interviene come terzo fattore – deve tenere conto di questi due aspetti (diverso grado delle opzionalità delle scelte e diverso modo di giungere ai consensi) e deve averli ben presenti nella complessità delle loro articolazioni. Infatti la Parola, di cui la chiesa è serva, annuncia una salvezza che investe tutti gli aspetti della convivenza umana. Pertanto la Parola deve raggiungere tutti i livelli della società, anche quelli più propriamente politici, nel rispetto della diversa natura dei differenti livelli. Più diretto sarà il rapporto della fede con la proclamazione dei valori fondamentali della vita, più sfumato e bisognoso di più articolate mediazioni il rapporto con gli interventi e con le forme di relazione sociale legate alle tecniche del potere politico, contrassegnati da un margine più o meno largo di opzionalità.

Questo significa che, a seconda dei diversi casi, diverso è il soggetto ecclesiale che attua la presenza della forza liberatrice della fede nei diversi ambiti sociali. A un estremo sta la comunità cristiana, nella voce dei suoi pastori che si pronunciano e intervengono ufficialmente con diversi gradi di autorità e solennità su aspetti gravi e fondamentali della convivenza sociale; all’altro estremo sta il soggetto ecclesiale, che davanti a situazioni complicate rischia personalmente le proprie scelte in nome della propria fede, senza pretendere di rappresentare tutta la chiesa. Tra questi due estremi si distende un ampio ventaglio di possibilità diverse, che vanno configurate di volta in volta in rapporto alle diverse situazioni ed è quindi necessario un rigoroso uso dell’intelligenza ed una grande attenzione alle diverse situazioni per giungere ad interventi veramente efficaci.

Che fare? Si impongono con particolare urgenza due atteggiamenti: che sia intensificato il dialogo tra i credenti e le diverse istanze ecclesiali, così che si posssa più facilmente pensare insieme il tipo di intervento che la fede chiede alla chiesa nelle diverse situazioni sociali;  va poi curata sempre di più la formazione dei laici, che per la loro specifica vocazione sono a contatto più diretto con i problemi e le strutture della vita sociale.

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            Il contenuto fondamentale. L’ultima riflessione che voglio proporvi sul servizio della chiesa alla società riguarda più direttamente i contenuti profondi, anzi il contenuto fondamentale del mistero di cui la chiesa è espressione e da cui trae forza per servire l’uomo: il Mistero Pasquale. È l’annuncio della forza vittoriosa dell’amore di Dio, manifestato nella morte e resurrezione di Gesù. La chiesa non finirà mai di contemplare, assimilare, sviscerare l’infinita ricchezza di questo annuncio pasquale e non potrà darsi pace finché un solo uomo non sarà raggiunto dalla speranza vivificante di questo annuncio. Ora, i compiti che la Pasqua, rendendosi presente nell’Eucarestia, affida alla chiesa sono, a partire da qui, inesauribili. Tuttavia in ordine al servizio che la Parola rende alla società, mi permetto di fare altre due sottolineature.

Bisogna cogliere la forza salvifica della Parola nel suo radicale realismo: l’amore di Cristo che sfocia nella Resurrezione. Esso propone l’uomo in Cristo e si sviluppa entro l’accettazione coraggiosa della morte e quindi anche della cattiveria umana e della sconfitta. L’amore vince questa realtà di male, perché tende al cambiamento degli atteggiamenti personali. Esso sa che la vittoria ultima è il dono che viene direttamente dal cuore del Padre, anche se, d’altra parte, questo dono è realmente anticipato in quelle parziali vittorie su ogni tipo di male che vengono raggiunte su questa terra, con l’impegno di tutti. E credo che la chiesa polacca ce ne dia una delle testimonianze più meravigliose. Essa crede nella vittoria, al di là di tutti i successi parziali e immediati, cioè crede nel mistero che proclama la Resurrezione di Gesù Cristo, sapendo di passare attraverso la morte, anzi sapendo che questa è già vittoria. Questa visione pasquale è ricca anche di conseguenze sociali: se uno, per potersi impegnare di fronte al male, pretende di vedere un esito totalmente soddisfacente, immediato del proprio impegno, si condanna a pericolose, frustranti delusioni. Forse è qui che si spiegano tante fughe, partite da un impegno di questo tipo, ma che hanno poi voluto esprimersi nella ricerca di successi immediati, attraverso forme violente. Pur tendendo ad esiti efficaci, occorre poter credere che l’impegno per Cristo vale per se stesso, nonostante l’eventuale permanere delle difficoltà. La chiesa non perde mai la speranza, il cristiano riceve dall’amore pasquale un messaggio di speranza che lo rende incrollabile anche di fronte alle apparenti sconfitte; l’amore è invincibile – dice Paolo nella Lettera ai Romani (cap. 8): “né la morte, né la vita possono separarmi dall’amore di Cristo”. Il cristiano entra nelle difficoltà della vita sociale con l’intento di superarle e le supera chiedendo pazienza, coraggio, perdono, tolleranza, perseveranza, virtù tipicamente cristiane, ma anche indispensabili atteggiamenti della convivenza sociale e premessa per quella onestà morale che tutti si auspicano e desiderano.

Questo è uno dei punti particolarmente sottolineati dai Vescovi italiani nel messaggio onclusivo dell’assemblea tenuta a Milano nello scorso Aprile. Nella stessa linea del mistero Pasquale, la scelta preferenziale della chiesa è per i poveri, i sofferenti, gli emarginati, insomma per coloro che soffrono maggiormente i pesi, i disagi, le disperazioni della vita. La chiesa deve annunciare l’amore pasquale a tutti, anzi, prima di tutto, a questi. E tale amore tende evidentemente a togliere, fin dove è possibile, la sofferenza fisica, immediata, economica, morale, pur esprimendosi all’interno della sofferenza. Bisogna accettare questo perché soltanto così diamo la vita per recuperarla. La chiesa, mediante iniziative proprie o appoggiando iniziative altrui, collabora a togliere il dolore che c’è nel mondo. Essa, che è mistero e nasce dalla Parola, dall’Eucarestia, cioè dalla Pasqua di Cristo, ricorda che ha una missione diretta e specifica che, nel rispetto delle competenze altrui, deve svolgere presso ogni uomo che soffre per qualsiasi motivo: ogni malato, handicappato, emarginato, drogato, carcerato. E presso ogni uomo che umanamente non ha più prospettive deve sapere annunciare la presenza di Cristo, deve dire che anche in tale condizione è possibile far nascere almeno un germe d’amore. Deve dire ad ognuno di questi che se riesce a credere nell’amore, questo nascerà; che se riesce ad affidarsi a un amore così forte, esso gli farà trovare la salvezza.

Termino leggendo un brano, che mi sembra molto significativo, del documento Comunione e comunità: “La chiesa non può cessare di essere e di sentirsi realmente e intimamente solidale con questa società e deve impegnarsi a cercare la sua speranza insieme con ogni uomo retto e giusto, in atteggiamento di servizio; perciò essa si propone di promuovere fiducia, di mantenere aperto il dialogo con tutti con la sola predicazione a cui l’obbliga il Vangelo: quella per i più poveri e più deboli”. Chiediamo ai grandi testimoni che abbiamo invocato all’inizio che ci aiutino ad essere fedeli a questo programma.

NOTA: testo, non rivisto dall’Autore, della conferenza tenuta a Brescia il 12.11.1982 su invito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura.