La fame nel mondo interpella tutti, singolarmente e insieme, siamo chiamati a dare la risposta più concreta e impegnativa, la meno inadeguata alle reali dimensioni della tragedia. La fame di tanti nostri simili non è un argomento asettico, o qualcosa che può interessare solo pochi studiosi e operatori; è una realtà drammatica della quale tutti dobbiamo farci carico. Nessuno può starsene fuori. Non basta lanciare appelli e accuse; nessuno può limitarsi a dire: “Ci pensino i governi, ci pensi l’ONU”. Le dimensioni planetarie del fenomeno richiedono senza dubbio alcuno l’impegno dei governi: la politica economica e la politica estera devono convertirsi anch’esse a una visione finalmente umanistica dei rapporti tra i popoli. Ma la fame degli altri deve essere un assillo che ci inquieta e che ci fa compiere, anche nel quotidiano, scelte operative ben chiare. E’ criminoso fermarsi ai “buoni sentimenti” e alla commozione che li accompagna. E’ scritto in un libro dell’americana Susan George:
“Se per leggere questo libro impiegherete sei ore, in qualche parte del mondo, prima che lo abbiate finito, 2500 persone saranno morte di fame o di malattia causata dalla fame”.
E’ necessaria una conoscenza seria dei molteplici dati del problema “fame” e una reale presa di coscienza della questione fondamentale: qual è la disponibilità all’autolimitazione da parte di coloro che hanno troppo? Esiste il problema di aumentare le risorse a disposizione dell’umanità; ma è ancora più importante quello di come distribuirle meglio, con una progressiva razionalizzazione che è inseparabilmente tecnica ed etica. E’ necessario un energico cambiamento di mentalità, di modo di vivere a livello di singoli, di comunità e di nazioni. La miseria di molti ha come corrispettivo la ricchezza di pochi.
Alcune rapide osservazioni di tipo statistico sono sufficienti a dare la dimensione del problema: oggi, sulla terra, vivono 4 miliardi e 800 milioni di persone e l’incremento annuo è di 80 milioni di persone. L’incremento è dovuto per la quasi totalità ai popoli del terzo mondo, ma non sarà certamente il controllo demografico a rimuovere la fame che minaccia l’esistenza di un miliardo di uomini. Esiste una fame in senso letterale, correlata alle carestie, risultanti da anni di quella siccità che è all’origine delle tragedie che avvengono in Etiopia, in Somalia, nei paesi del Sahel e in altri paesi dell’Asia e dell’America latina. Esiste la fame cronica, intesa come apporto minimo di calorie (inferiore a 200 calorie al giorno, mentre noi ne consumiamo da 2000 a 4000): c’è appena quanto basta a sopravvivere in condizioni di assoluta inattività. E’ quel che accade in alcuni paesi del Sud est asiatico e dell’Africa.
La carenza di alimenti comporta alcune malattie tipiche fra cui la più frequente è il Kwashor Kuor; ma, in particolare, è responsabile di sindromi carenziali che favoriscono l’insorgenza di gravi malattie infettive, quali la lebbra e la tubercolosi, e impediscono la risposta immunitaria ad ogni evento morboso. Di qui, tra le altre conseguenze, l’elevata mortalità per malattie esantematiche nei bambini. La mortalità infantile è superiore al 100% e, in alcuni paesi, al 170% rispetto ai paesi del benessere. Frequenti sono pure altre malattie, quali cardiopatie ed epatopatie secondarie a insufficiente apporto proteico. Inoltre le condizioni di vita favoriscono la cronicità delle parassitosi con conseguenze ben note. Assai grave è la carenza di strutture sanitarie: mentre in Europa vi è un medico ogni 400 abitanti, in Africa vi è un medico ogni 10.000 e, inoltre, i pochi medici sono anche mal distribuiti in quanto concentrati nelle città, per cui nelle zone rurali vi è un medico ogni 50.000 abitanti. Superfluo è infine ricordare tra i grandi squilibri quello riguardante il reddito che è, annualmente, di 16 milioni per uno svizzero e di 350.000 lire per un indiano. E non è tutto. Anche cifre del genere sono ingannevoli, non perché false, ma in quanto non ci dicono nulla sul modo con cui il reddito lordo nazionale è realmente distribuito tra la popolazione. Se si legge in questa chiave il dato statistico, si scopre allora una realtà di miseria estrema, che le statistiche, nella loro generalità, non solo sono incapaci di descrivere, ma non lasciano neppure intravedere.
La fame non incide solo sul fisico della persona, ma è legata anche al suo livello di conoscenze strumentali e al suo grado di istruzione: nel mondo vi sono almeno un miliardo di analfabeti che ignorano le loro stesse possibilità, non hanno un adeguato concetto di salute, di sufficienza alimentare, di prevenzione. La fame è la risultante anche delle condizioni d’ambiente, di vita, di produttività, di reddito. Non sempre vi è correlazione tra fame e mancanza di alimenti; il problema è più complesso, ma forse più risolvibile. I circoli viziosi devono essere interrotti, intervenendo contemporaneamente su tutte le cause che concorrono a determinare un risultato così assurdo. E’ indispensabile lo sviluppo armonico e globale di questi popoli nel rispetto assoluto delle loro tradizioni loro cultura. Tutti i progetti devono interessare in modo coerente e armonico i settori sanitario, agricolo, educativo, tecnico. E’ necessario dare la collaborazione ai governi dei paesi interessati con competenza e sensibilità. In questo ambito si inserisce la Medicus Mundi, l’associazione internazionale presente in tutte le nazioni europee che opera nel settore sanitario in molti paesi in via di sviluppo. La Medicus Mundi elabora progetti propri oppure, con il contributo di esperti, collabora all’attuazione di progetti allargati. Essa può essere considerata il movimento più attento ai problemi del terzo mondo in ambito medico e paramedico.
NOTA: testo, non rivisto dal’Autore, della conferenza tenuta a Brescia il 9.11.1984 su invito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura.