L’emergere dell’autocoscienza
Si propone di usare il termine mente autocosciente per le più elevate esperienze mentali. Essa implica l’essere a conoscenza di ciò che si sa, mediante un criterio anzitutto soggettivo o introspettivo. Attraverso la comunicazione linguistica può essere reso oggettivo il fatto che altri esseri umani partecipano a questa esperienza di auto-conoscenza. Dobzhansky esprime bene il carattere straordinario dell’emergenza dell’autocoscienza umana o dell’autoconsapevolezza, come egli la chiama: “La consapevolezza di se è una caratteristica fondamentale della specie umana. Tale caratteristica è una novità nella evoluzione; le specie biologiche da cui il genere umano discende avevano solo rudimenti di autoconsapevolezza, o addirittura ne erano completamente privi. L’autoconsapevolezza, però, ha portato con sé tetri compagni – timore, ansia, e consapevolezza della morte…All’uomo è stato fatto carico della consapevolezza della morte. Da antenati che non lo sapevano è nato un individuo che è a conoscenza del fatto che morirà”.
Questo stato di interesse alle cose ultime, trasmesso dalla autocoscienza, può essere identificato per la prima volta attraverso le usanze di cerimoniali funebri praticate dall’uomo di Neanderthal circa 80.000 anni fa. Karl Popper ha individuato il problema insondabile della sua origine: “L’emergere di una coscienza totale, in grado di riflettere su di sé, è certamente uno dei miracoli più grandi”.
Il progressivo sviluppo dalla coscienza del neonato all’autocoscienza del bambino fornisce un buon modello dell’evoluzione dell’autocoscienza quale emerge negli ominidi. L’evidenza di una primitiva conoscenza di sé è presente anche nello scimpanzé (ma non nei primati inferiori), che si riconosce nello specchio, come è mostrato dall’uso di tale strumento per togliere un segno colorato sul suo muso. Sembrerebbe che, nel processo evolutivo, ci sia stata una primitiva forma di riconoscimento di sé molto prima che essa divenisse l’esperienza traumatica della consapevolezza della morte, che ebbe espressione in alcune credenze religiose manifestatesi nei cerimoniali funebri. Allo stesso modo, nel bambino, la conoscenza di sé di solito anticipa negli anni la prima esperienza di consapevolezza della morte.
Può essere utile tentare qualche rappresentazione schematica dell’emergere dell’autocoscienza. Nel diagramma dell’interazione mente-cervello (fig. 1) sono descritte tre componenti fondamentali del Mondo 2, che è il mondo delle esperienze consapevoli (cfr. fig.3). Le aree del senso esterno e del senso interno interagiscono nello spazio centrale, che può essere definito psiche, Sé (io), o anima secondo che il discorso sia di genere psicologico, filosofico o religioso. Si è ipotizzato che gli animali superiori siano coscienti, ma non autocoscienti. In tal caso, quindi, il diagramma risulterebbe semplificato, per l’eliminazione della parte centrale, come è mostrato nella fig.2, attraverso la rappresentazione dei soli componenti del senso interno e del senso esterno. L’ammaestramento al linguaggio delle scimmie ha rivelato che le emozioni sono dominanti nella loro concentrazione sull’uso pragmatico del linguaggio per ottenere ciò che desiderano.
Nell’emergenza evolutiva dell’autocoscienza, David Lack e Konrad Lorenz parlano di un salto insuperabile, o abisso, tra anima e corpo. Eppure dobbiamo considerare la creazione e lo sviluppo dell’area centrale quale territorio per la eventuale piena emergenza della psiche, o anima, come illustrato nella fig.1.
Si può supporre che nel processo filogenetico dell’evoluzione degli ominidi si verificarono tutti i passaggi tra le situazioni illustrate nelle figg.2 e 1, proprio come accade nell’ontogenesi dal neonato, al bambino, alla persona adulta; e ciò resta tuttora un miracolo.
La persona umana e il Mondo 3
La filosofia del Mondo 3 di Popper pone le basi per un’ulteriore esplorazione circa il modo in cui un neonato diventa una persona umana.
Come è mostrato nella fig.3, tutto il mondo materiale, compreso il cervello umano, è Mondo 1, costituito di materia/energia. Il Mondo 2 è il mondo di tutte le esperienze consapevoli (cfr. fig.1). Il Mondo 3, invece, è il mondo della conoscenza in senso oggettivo, che quindi comporta una sfera di contenuti molto ampia. Nella fig.3 se ne trova un elenco abbreviato: esso comprende, per esempio, le espressioni delle idee scientifiche, letterarie ed artistiche, conservate in forma codificata nelle biblioteche, nei musei e in ogni testimonianza della cultura umana. Per la loro composizione materiale di carta e inchiostro, i libri si trovano nel Mondo 1, ma la conoscenza codificata in forma simbolica è in Mondo 3, e lo stesso vale per i quadri, le sculture, e ogni altro genere di produzione artistica, come le produzioni musicali.
Componenti estremamente importanti del Mondo 3 sono i linguaggi per comunicare i pensieri, un sistema di valori per regolare il comportamento; e i dibattiti derivanti dalla discussione di questi problemi. In sintesi si può affermare che il Mondo 3 contiene la registrazione degli sforzi intellettuali dell’intera umanità, attraverso ogni tempo fino al presente – ossia ciò che definiamo come il patrimonio culturale.
Quando vede la luce, il neonato possiede un cervello umano, ma le sue esperienze del Mondo 2 sono molto rudimentali, e il Mondo 3 gli è sconosciuto.
Il neonato, ed anche l’embrione umano, deve essere considerato un essere umano, ma non una persona. L’emergenza e lo sviluppo della autocoscienza (Mondo 2), attraverso la continua interazione con il Mondo 3, il mondo della cultura, rappresenta un processo assolutamente misterioso. Può essere paragonato ad una doppia struttura (fig.4), che si innalza e cresce mediante un efficiente scambio incrociato. La freccia verticale mostra il passare del tempo dalle prime esperienze del bambino fino al pieno sviluppo umano. Da ogni posizione del Mondo 2 una freccia porta, attraverso un livello equivalente del Mondo 3, ad un livello più elevato e più ampio, che illustra simbolicamente una crescita della cultura di quell’individuo. Reciprocamente le capacità di Mondo 3 già in possesso del Sé agiscono per dare un più elevato e più ampio livello di consapevolezza di quel Sé.
La fig.4 può essere considerata simbolicamente come la scala della personalità. In questo modo ciascuno di noi è cresciuto progressivamente nella propria autorealizzazione, e tale processo può continuare per tutta l’esistenza.
Quanto maggiore è la ricchezza di Mondo 3, della persona umana, tanto più grande diventa la autocoscienza del Mondo 2, attraverso un arricchimento reciproco. Quel che siamo dipende pertanto dal Mondo 3, nel quale siamo immersi, e dalla efficienza con la quale abbiamo utilizzato l’opportunità di trarre il massimo rendimento dalle potenzialità del nostro cervello.
C’è un recente e tragico caso che documenta quanto illustrato nella fig.4. Una bambina, Genie, era stata privata di tutte le influenze del Mondo 3 dal padre psicotico. Rinchiusa in isolamento in una stanzetta di casa sua a Los Angeles, non aveva mai sentito nessuno parlarle, e aveva ricevuto il minimo indispensabile di cure per la sopravvivenza da 20 mesi fino a 13 anni e 8 mesi. Al termine di questa terribile privazione, ella era certamente un essere umano, ma non una persona umana. Si trovava all’ultimo gradino della scala della fig.4. Da allora, e cioè da 10 anni, grazie all’aiuto attento della dott. Susan Curtiss sta salendo lentamente la scala della personalità. La mancanza dell’espressione verbale ha danneggiato seriamente il suo emisfero sinistro, ma l’emisfero destro supplisce nella esecuzione di un linguaggio molto povero. Tuttavia, nonostante questo terribile ritardo nell’immersione nel Mondo 3, Genie è diventata una persona umana, capace di autocoscienza, emozioni ed esecuzioni eccellenti per quanto riguarda la destrezza manuale e l’identificazione visiva.
Bisogna pertanto riconoscere la necessità del Mondo 3 per lo sviluppo della persona umana. Il cervello è costruito da istruzioni genetiche (cioè dalla natura), ma lo sviluppo della personalità umana dipende dal Mondo 3 circostante (cioè dall’educazione). Per Genie c’era un salto di oltre 13 anni fra i due termini del binomio ‘nature’/’nurture’, ossia fra natura ed educazione.
La persona umana e Il cervello
Ciascuno di noi fa continuamente esperienza di essere una persona dotata di autocoscienza, non solo consapevole, ma che sa di sapere.
Per definire la persona voglio citare due affermazioni mirabili di Kant: “Una persona è un soggetto che è responsabile delle proprie azioni”; e: “Una persona è qualcosa che è consapevole in tempi diversi della identità numerica del suo io”. Queste affermazioni, minimali e fondamentali, possono essere enormemente sviluppate.
Quando consideriamo il cervello come la sede della personalità consapevole, vediamo che grandi parti di esso non sono essenziali. Per esempio, la rimozione del cervelletto rende molto difficoltoso il movimento, ma la persona non ne è colpita sotto altri aspetti. La cosa è ben diversa per la parte principale del cervello, i due emisferi cerebrali (fig.5); essi sono intimamente correlati alla consapevolezza della persona, ma non in modo eguale.
Nel 95% delle persone c’è una dominanza dell’emisfero sinistro (fig.6), che è l’emisfero del linguaggio. Tranne che nell’infanzia, la sua rimozione dà luogo a una distruzione quasi radicale della personalità umana, ma non al suo totale annullamento. D’altra parte, la rimozione dell’emisfero minore (di solito il destro) è accompagnata da una perdita di movimento della parte sinistra (emiplegia) e dalla cecità dell’occhio sinistro (emianopia), ma la personalità non ne risulta danneggiata gravemente. Danni ad altre parti del cervello possono ugualmente colpire in modo grave la personalità umana, potendo dar luogo alla rimozione degli imput neurali che normalmente costituiscono l’attività base necessaria per gli emisferi cerebrali. L’esempio più tragico è il coma vigile, nel quale una persistente profonda incoscienza è causata dal danneggiamento del mesencefalo.
Potrebbe sembrare che una spiegazione esauriente dello sviluppo della persona umana sia fornibile esclusivamente in termini di cervello umano. Esso è costruito, dal punto di vista anatomico, in base a istruzioni genetiche e si sviluppa dal punto di vista funzionale attraverso l’apprendimento delle influenze ambientali (fig.4). Una spiegazione puramente materialista sembrerebbe pertanto sufficiente, definendo le esperienze consapevoli come derivati del funzionamento del cervello.
Ma è un errore ritenere che sia il cervello a far tutto e che le nostre esperienze consapevoli siano semplicemente un riflesso delle attività del cervello, il che rappresenta oggi un punto di vista filosofico. Se così fosse, il nostro io consapevole non sarebbe altro che uno spettatore passivo delle attività svolte dai meccanismi neurali del cervello. Il ritenere che possiamo realmente prendere decisioni e che siamo in grado di esercitare un controllo sulle nostre azioni non sarebbe, di conseguenza, altro che illusione.
Naturalmente sono in circolazione innumerevoli forme di sottile dissimulazione da parte dei filosofi per velare una asserzione così esplicita: ma essi non vogliono arrivare alle estreme conseguenze. In realtà tutti, ed anche i filosofi materialisti, si comportano come se avessero almeno qualche responsabilità per le loro azioni. Sembra che la loro filosofia sia per gli altri, non per loro stessi, come acutamente affermò Schopenauer.
Queste considerazioni mi portano all’ipotesi alternativa interazionista-dualista (cfr. fig.1), che è stata ampiamente sviluppata da Popper e Eccles in The Self and its Brain. E’ proprio il senso comune a dire che siamo una combinazione di due cose o entità: il nostro cervello da una parte e il nostro io cosciente dall’altra. L’io (o sé) è il centro della totalità delle nostre esperienze coscienti, come persone, per tutta la durata dell’esistenza consapevole. Lo leghiamo nella memoria fin dalle iniziali esperienze consapevoli. L’io ha una esistenza subconscia durante il sonno, tranne che per i sogni, mentre nella veglia riemerge cosciente e viene legato al passato dalla continuità della memoria. Ma per la sola memoria, noi non esisteremmo come persone nell’atto dell’esperienza cosciente.
Incontriamo qui lo straordinario problema che fu formulato per la prima volta da Cartesio: come possono avere rapporti la mente cosciente e il cervello? Questa domanda è ancora un grande enigma. Come asserisce Popper, non è necessario che l’interazione attraverso il limite illustrato nella fig.1 sia in conflitto con la prima legge della termodinamica.
Il flusso di informazione nei moduli neurali può aver luogo grazie ad un incremento e decremento di energia bilanciati in microposizioni diverse ma adiacenti, così che non si verifica nel cervello alcuna variazione nella energia. La prima legge della termodinamica a questo livello può essere valida solo statisticamente.
L’unità dell’io
E’ una esperienza umana universale il fatto che soggettivamente esiste una unità mentale, che viene riconosciuta come una continuità a partire dai primi ricordi di ciascuno. Questa è la base del concetto di io. Ricerche sperimentali sull’unità dell’io sono state trattate nel mio libro The human Psyche. L’esperienza più importante relativamente all’unità della coscienza, viene dagli studi di Roger Sperry e dei suoi collaboratori su pazienti commissurotomizzati (fig.6).
In un intervento per il trattamento chirurgico dell’epilessia irriducibile viene effettuata una sezione del corpo calloso, il grande apparato di fibre nervose, circa 200 milioni, che unisce i due emisferi cerebrali. Sottoponendo alcuni di questi soggetti operati a prove sperimentali assai complesse, che comportavano analisi della durata anche di due ore ininterrotte, è divenuto chiaro che l’emisfero destro, il cosiddetto emisfero minore, è correlato a risposte dotate di coscienza ad un livello superiore a quelle date da qualsiasi primate non umano.
La coscienza del soggetto era indubitabile.
Sorge quindi il difficile problema, se l’emisfero destro faccia da intermediario per l’autocoscienza, se in altri termini esso consenta anche la conoscenza dell’io. Dalle ricerche più penetranti condotte dall’equipe di Sperry è venuta la dimostrazione di una certa capacità del soggetto nell’identificazione di fotografie proiettate sul solo emisfero destro. La dimostrazione di tale considerevole capacità di identificazione era compromessa dalla incapacità di espressione verbale.
Gli esperimenti realizzati per individuare l’esistenza dell’autocoscienza erano limitati ad un livello pittorico ed emozionale relativamente semplice. Possiamo perciò mettere in dubbio che l’emisfero destro, dotato di coscienza, sia dotato anche di una piena esistenza autocosciente. Per esempio, vi si rileva forse traccia di pianificazione e preoccupazione circa il futuro? O di decisioni e giudizi basati su qualche sistema di valori? Si tratta di condizioni essenziali per la personalità, così come è di solito intesa, e per l’esistenza di una psiche o anima.
Possiamo concludere che una forma di autocoscienza limitata è associata all’emisfero destro, ma la persona sembra restare indenne dalla commissurotomia, con la sua unità mentale integra, associata nella nuova condizione esclusivamente all’emisfero sinistro (fig.6).
Dopo la commissurotomia l’emisfero destro sembra mediare una autoconsapevolezza simile a quella di un bambino piccolo. Il diagramma del corso dell’informazione per l’emisfero destro sarebbe analogo a quello riportato nella fig.2, tranne che per la presenza di una piccola parte centrale a un livello primitivo di sé, o io, senza tuttavia alcuna rappresentazione di psiche, anima o personalità. C’è accordo in generale sul fatto che la persona umana non è divisa in seguito alla comissurotomia, ma rimane in collegamento con l’emisfero sinistro, sede del linguaggio. Peraltro, può esserci una mente di livello inferiore, associata con l’emisfero minore, così che ne possono risultare due menti in associazione con il cervello diviso.
L’unicità dell’io; la creazione dell’anima
Non c’è dubbio che ogni persona umana riconosce la sua propria unicità, e ciò è accettato come la base della vita sociale e della legge. Quando si chiedono le ragioni di questa convinzione, le moderne neuroscienze escludono una spiegazione in termini di corpo. Restano due possibili alternative, il cervello e la psiche. I materialisti sarebbero più propensi per la prima, ma i dualisti interazionisti devono tener conto dell’io del Mondo 2 (cfr. fig.1), quale entità che sperimenta l’unità dell’esperienza cosciente.
E’ importante escludere chiaramente qualsiasi soluzione solipsista dell’unicità dell’io. Le nostre esperienze dirette sono naturalmente soggettive, in quanto derivanti interamente dal nostro cervello, dal nostro io. L’esistenza di altri sé si stabilisce per mezzo della comunicazione intersoggettiva.
Se l’unità dell’esperienza cosciente di ciascuno deriva direttamente dall’unicità del cervello, occorre indagare sui livelli di unicità del cervello umano. Essa non può dipendere dall’unicità delle innumerevoli connessioni particolari fra i dieci mila milioni di cellule della corteccia cerebrale dell’uomo: giacché tali connessioni mutano costantemente nel loro grado di plasticità e degenerazione.
In proposito i materialisti affermano generalmente che l’unicità sperimentata deriva dall’unicità genetica, senza tuttavia fare alcun tentativo di esaminare criticamente le implicazioni di tale proposizione.
In primo luogo, l’unicità del genoma, che viene presa come base della unicità di esperienza mentale, è una conseguenza di una estrazione in una lotteria genetica con probabilità infinitamente bassa, dell’ordine di 1/1010.000, se ci si tiene ad una valutazione prudente di 30.000 per il numero dei geni umani.
Inoltre, come ha rilevato Stent, lo sviluppo fenotipico del cervello è separato completamente dalle istruzioni genotipiche, a causa del fenomeno che Waddington ha definito developmental noise, ossia il disturbo della informazione nel corso dello sviluppo. In altri termini, il genotipo opera nella costruzione del cervello, ma in un ambiente che modula ampiamente il processo di costruzione fenotipica. Nei gemelli identici, genomi
identici contribuiscono alla costruzione di cervelli molto diversi, a causa dell’estrema diversità del developmental noise.
Si deve riconoscere che esso rende caotico ogni tentativo di far derivare la nostra unicità di esperienza mentale dalla nostra unicità genetica. E ciò si aggiunge a quanto abbiamo già visto sulla difficoltà che tale tentativo incontra per la infinita improbabilità della lotteria da cui dipende l’effettiva esistenza del genoma, unico, di ciascun essere umano.
Un’altra frequente e superficiale risposta all’enigma di cui stiamo parlando è l’asserzione che il fattore determinante è l’unicità delle esperienze accumulate da ciascun sé durante la sua intera esistenza.
Si può essere d’accordo senza difficoltà sul fatto che il nostro comportamento, i ricordi, e in realtà l’intero contenuto della nostra vita consapevole più profonda dipendono dalle esperienze accumulate durante la vita; ma, per quanto profondo sia il cambiamento che può essere prodotto dalle necessità contingenti, ognuno resta sempre lo stesso sé, capace di far risalire la propria continuità nella memoria ai primi ricordi, all’età di un anno o poco più, e sperimenta il proprio sé come il medesimo in circostanze diverse. Non c’è mai l’eliminazione di un sé e la creazione di un nuovo sé.
Dal momento che le soluzioni materialiste non pervengono ad una adeguata ed esauriente spiegazione della unicità di cui abbiamo esperienza, sono logicamente costretto ad attribuire l’unicità della psiche o anima ad una creazione spirituale soprannaturale. La spiegazione, in termini teologici, è la seguente: ogni anima è una nuova creazione divina che viene unita al feto che si sviluppa nel tempo intercorrente dal concepimento alla nascita. E’ la certezza del centro profondo dell’individualità unica (fig.1) che richiede la creazione divina. Asserisco che nessun’altra spiegazione è sostenibile: né l’unicità genetica – che a causa del developmental noise produce fenotipi ampiamente divergenti -, né le differenziazioni ambientali, le quali non determinano l’unicità di ciascuno, ma semplicemente la modificano.
Una analogia interessante consiste nel considerare il corpo e il cervello come un superbo computer costruito da una codificazione genetica, creata dal magnifico processo dell’evoluzione biologica. L’anima, o la psiche, rappresentano in tal caso il programmatore del computer. Ciascuno di noi, come programmatore, è nato con il suo computer nello stato embrionale iniziale, per svilupparlo poi lungo tutta la vita, nella quale esso è il nostro compagno intimo in ogni operazione, riceve dal mondo e dà al mondo, che comprende altri sé, come è mostrato nella fig.4.
I grandi misteri sono nella nostra creazione come programmatori, o sé capaci di esperienza, e, nella nostra associazione durante tutta la vita, ogni persona con il suo proprio computer, come si vede nella fig.1, in interazione attraverso l’interfaccia tra il Mondo 2 e il Mondo 1.
Possiamo chiederci: quando il nostro computer è distrutto, al momento della morte, c’è un futuro per il programmatore – la nostra anima? Ho la speranza che ci sia un significato ulteriore da scoprire dopo la morte per la nostra anima, creata miracolosamente. Ciascuno di noi è un grande mistero – nel suo venire all’esistenza come essere che sa di essere unico. Il questo mistero che mi ha guidato ed ispirato nella mia vita di neurofisiologo.
(Revisione della traduzione italiana a cura di Andrea Guerritore).
NOTA: testo, non rivisto dal’Autore, della conferenza tenuta a Brescia su invito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura il 2.5.1985.