Io sono ormai stanco di essere l’eterno testimone del Gulag: già da dieci anni, infatti, porto questa testimonianza; ma adesso nel nostro paese si verificano avvenimenti che potrebbero cambiare qualcosa. Cercherò di esporvi il mio punto di vista su ciò che sta accadendo: bisogna considerare anche che, mancando dal mio paese da dieci anni, non sempre mi è tutto chiaro ciò che avviene; però io ritengo che il diritto alla verità comporti anche il diritto a qualche errore nel cercarla.
Per descrivere l’attuale situazione dei diritti umani nell’Unione Sovietica bisogna capire anzitutto cosa significa la parola glasnost’, perché questo è un concetto che non ha gli adeguati corrispettivi in Occidente. Questo vocabolo si confonde con i termini “libertà di parola”, “pubblicità” e così via.
Voglio portare qualche esempio al riguardo: il direttore della rivista “Novij Mir”, una rivista sovietica di indirizzo liberale, trovandosi quest’anno a Parigi ha dichiarato che nel loro giornale non opera la censura. L’estate prima due redattori del giornale si erano licenziati per protesta contro la censura. In aprile, durante un congresso sull’URSS svoltosi a Roma, in modo del tutto inaspettato per i partecipanti e per me in particolare, un giornalista sovietico mi ha posto pubblicamente una domanda, e poi ha intervistato sia me che Bukovskij, anch’egli presente al convegno. Io gli ho chiesto come unica condizione che riportasse correttamente le mie risposte. Il giornalista effettivamente non deformò le mie risposte: non pubblicò nessuna intervista sui giornali sovietici, come mi aveva detto, ma uscì un articolo di un tale Bytov, dove la posizione mia, di Bukovskij e degli altri era completamente snaturata e deformata.
Attualmente assistiamo alla liberazione dei dissidenti – fino all’ottobre 1987 ne hanno liberati circa duecento – però la quantità di menzogne e di calunnie che si riversa sul loro capo quotidianamente dalla stampa sovietica non accenna a diminuire. Ai tempi di Breznev mi definivano semplicemente un matto, e questo era logico, perché corrispondeva al giudizio del tribunale che mi aveva condannato all’internamento coatto in ospedale psichiatrico. Adesso invece scrivono di me che sono un terrorista e che sono stato condannato come tale. Ai tempi di Breznev, Bukovskij era definito un terrorista, adesso invece da terrorista è diventato una “camicia bruna” di hitleriana memoria. Maksimov era definito un antisovietico e adesso è addirittura un assassino. Però le cose più tremende sono quelle scritte su coloro che ancora adesso si trovano nei lager sovietici. Bisogna dire che in generale, salvo eccezioni, adesso, in epoca di glasnost’, è aumentato sensibilmente il livello di menzogne che la stampa riversa sui lettori quando tratta di questioni religiose, dell’Occidente, delle questioni nazionali delle minoranze dell’URSS. Possiamo dire perciò che la glasnost’ comporta l’autorizzazione di osservazioni critiche pubbliche in alcuni settori e l’aumento di menzogne e distorsioni in altri, e ciò crea situazioni paradossali, spesso incomprensibili agli occhi di un giornalista occidentale. Quindi i giornali occidentali registrano con toni entusiastici il fatto che, per esempio, per la prima volta nella storia un giornalista sovietico intervisti un dissidente, come è accaduto a Roma.
In Lettonia, altro evento inaudito, hanno intervistato un dissidente lettone; ma al tempo stesso hanno propagandato un falso, pubblicando foto di armi, proprie e improprie, che sarebbero state in possesso dei manifestanti durante una recente dimostrazione nazionalista in Lettonia.
Da una parte, quindi, Gorbaciov comprende che bisogna consentire alla gente di esprimersi, di parlare; ma, d’altra parte, questa parola autorizzata dall’alto viene manipolata in tutte le maniere. Il potere capisce che bisogna concedere qualche libertà al popolo, perché si manifesti qualche iniziativa che rompa la passività del popolo stesso e, al tempo stesso, mantiene in vita il Gulag, le prigioni, i lager, i campi di lavoro. Il popolo è a conoscenza di queste realtà e, quindi non approfitta di questa libertà di parola autorizzata e censurata dall’alto, poiché conosce l’esistenza degli istituti di pena dove sono rinchiusi i dissidenti.
Si parla molto delle liberazioni di dissidenti dal Gulag. In febbraio sui giornali sovietici hanno annunciato che avrebbero liberato 140 detenuti politici, i quali avevano sottoscritto una domanda di grazia e che si erano impegnati a non continuare la propria attività illegale una volta riacquistata la libertà. Per quanto ne so quasi nessuno, o pochissimi hanno sottoscritto questo impegno nei termini che ho esposto. Quindi questo decreto del Soviet supremo era menzognero. E, d’altra parte, che liberalizzazione può esistere quando le persone sono spezzate, costrette a rinnegare le idee per cui avevano affrontato la prigione?
Abbiamo incontrato recentemente a Vienna Nekipelov, liberato dopo dieci anni di prigionia. La sua salute è profondamente minata e oltretutto è afflitto dal complesso del lager, cioè continua a vivere in un mondo suo, carcerario, anche rispetto alla famiglia; ma come se ciò non bastasse, alla sua liberazione i giornali sovietici l’hanno anche calunniato, affermando che egli aveva rinnegato le idee per cui era finito nel lager.
Nonostante tutto, si verificano dei fatti che prima sarebbero stati impensabili: ad esempio, a Mosca sono nati adesso moltissimi circoli non ufficiali, si svolgono dimostrazioni abbastanza numerose e non sempre vengono disperse dalla polizia. Vorrei però accennare a come, d’altro canto, si sono elaborati nuovi sistemi di lotta contro i dimostranti. All’inizio dell’anno, quando scendevano in piazza le mogli degli ebrei che chiedono il diritto di emigrare dall’URSS, queste dimostranti venivano disperse da gruppi di giovani, e la polizia sovietica ha diffuso la voce che si trattasse di giovani di estrema destra. Effettivamente essi gridavano slogan contro gli ebrei; ma sul luogo della manifestazione questi giovani sono stati trasportati con degli autobus guidati da agenti del KGB in divisa. Oggi in URSS ci sono molti gruppi giovanili fascisti e ci sono diversi motivi per affermare che questi gruppi vengono incoraggiati, “allevati” dal KGB per essere usati quando fa comodo. Del resto Nekipelov mi ha raccontato che quattro anni fa, ancora sotto Breznev, erano già stati utilizzati gruppi fascistoidi contro i dissidenti scesi in manifestazione.
Quando hanno incominciato a manifestare pubblicamente i Tatari di Crimea che chiedono di tornare in patria, all’inizio le autorità si sono comportate con loro molto urbanamente; poi, a un certo punto, li hanno presi e costretti a lasciare Mosca, mentre nei luoghi dove vivono, in Uzbekistan, in Kazakistan hanno incominciato a minacciare le famiglie dei Tatari, facendo capire che se avessero organizzato dimostrazioni i loro bambini avrebbero passato dei guai. I Tatari di Crimea furono deportati in massa ai tempi di Stalin, Come molti popoli minori dell’URSS. Ai tempi di Chrušcëv quasi tutti i popoli sono stati riabilitati ed è stato consentito loro di tornare nelle proprie sedi storiche, tranne che ai Tatari di Crimea e ad alcuni altri. Dai tempi di Chrušcëv i Tatari lottano quindi per tornare in Crimea, nella loro patria. Il governo di Gorbaciov ha promesso di risolvere questo problema, ma è una decisione che si continua a rimandare. Ora è stata annunciata la formazione di una commissione governativa; ma i Tatari giustamente protestano, perché la stampa sovietica, riprendendo le calunnie dell’epoca di Stalin, ormai smascherate, che li accusavano di collaborazionismo con gl’invasori tedeschi, aggiunge ora nuove calunnie. “Express-chronika”, una nuova rivista del samizdat di Mosca redatta da Podrabinek, fornisce ora il testo di un documento dall’etichetta “Top secret”, un’istruzione che contiene le direttive reali di comportamento nei confronti dei Tatari di Crimea. La direttiva principale è quella di controllare personalmente ogni elemento autonomista dei Tatari di Crimea. Ma cosa vuol dire autonomista? Ai tempi di Lenin i Tatari si erano costituiti in repubblica autonoma, e attualmente sono gli unici che in una dimostrazione di questo tipo si presentano innalzando i ritratti di Lenin. Essi esigono che venga loro restituita l’autonomia. Il documento rivela il tentativo di provocare una frattura all’interno del movimento dei Tatari: si consiglia, per esempio, che gli organi di partito, del komsomol e dei sindacati accolgano tra le loro file certi elementi del popolo tataro, e questo testimonia tra l’altro che prima era in vigore la direttiva opposta, cioè di escludere i Tatari dagli organismi locali. Cercano, cioè, dei collaborazionisti nelle file dei Tatari. Ma è interessante notare che persino una rivista in lingua tatara, notoriamente al servizio del regime, ultimamente ha protestato, tanto erano evidenti le calunnie della stampa centrale in lingua russa a carico del popolo tataro. La stampa sovietica scrive che i Tatari di Crimea ormai si sono radicati nei luoghi dove sono stati deportati, cioè Kazakistan e Uzbekistan) e non vogliono più far ritorno nelle loro terre; chi la pensa diversamente è un sovversivo che cerca pretesti per le sue attività illegali. La verità, invece, è esattamente l’opposto. I Tatari non si sono radicati in quelle terre che non sono le loro, ma intendono vivere nel proprio paese. E anche questo è un caso esemplare dell’attuale situazione “schizofrenica” dei diritti dell’uomo in Unione Sovietica.
Vorrei accennare alla questione lituana. I lituani lottano in difesa della propria Chiesa cattolica. Le autorità sovietiche stanno cercando di separare la Chiesa cattolica lituana dal Vaticano e vogliono farne uno strumento docile nelle mani del potere. I lituani hanno organizzato alcune dimostrazioni, dopo le quali alcuni sono stati arrestati. Per esempio, una delle organizzatrici della manifestazione, Nijole Sadunaite, è stata portata in giro per trentasei ore su un’automobile della milizia e tempestata di minacce di morte; stesso modo è stato intimidito un altro lituano, condotto in luoghi solitari, costretto a scavarsi la fossa in mezzo a un bosco, dove l’hanno invitato a recitare le ultime preghiere. In quell’occasione si sono verificati parecchi fatti del genere, e non si può nemmeno dire che si tratti di metodi nuovi. Per ora, nel regime gorbacioviano, non conosciamo casi di assassinio, ma ancora ai tempi di Breznev la polizia si è macchiata di numerosi assassini di oppositori del regime.
Vorrei soffermarmi anche brevemente sul problema ucraino, non soltanto perché io sono ucraino, ma anche perché lo stesso Trotzkij notava già che in Ucraina la situazione è sempre più grave che nelle altre repubbliche. Se i lituani possono combattere per la libertà della loro Chiesa, gli ucraini non possono farlo, perché essi sono privati della loro Chiesa. I cattolici ucraini, circa cinque milioni, sono costretti a celebrare nella clandestinità, oppure a frequentare le chiese ortodosse. Tuttavia molti ucraini non vogliono andare nelle chiese russe, e per questo in Ucraina sono molto diffuse le confessioni religiose minori, come i battisti e altri gruppi protestanti. Attualmente circa trecento religiosi della Chiesa delle catacombe che sono usciti allo scoperto, si sono rivolti a Gorbaciov e al Papa di Roma affinché per il Millennio del battesimo della Rus’ ucraina finalmente sia consentita l’esistenza legale della Chiesa cattolica ucraina. La stampa sovietica continua a propagandare l’accusa di filonazismo ai cattolici ucraini, ma in Israele adesso si sta discutendo se conferire il titolo di “giusto” a un primate della Chiesa ucraina, il metropolita Šceptickij, grazie al quale durante l’occupazione furono salvati dai nazisti almeno quattrocento ebrei. L’intrepido vescovo non solo si adoperò con grave rischio della sua comunità e suo personale, a soccorrere gli ebrei, ma protestò pubblicamente contro le persecuzioni antiebraiche dei nazisti. Per illustrare cosa sta accadendo in Ucraina, vorrei fare una breve cronaca di ciò che accade nel campo di lavoro n. 36/1 di Perm’. E’ soprannominato il campo della morte, perché negli anni 1984-1985 ci sono stati molti morti tra i detenuti. Ho qui un elenco che è apparso nella rivista moscovita “Glasnost'”, e riporta i nomi di diciotto persone ancora detenute, tra cui dieci o undici sono ucraini, due armeni, due estoni, un lettone e due o tre russi. Questo illustra chiaramente quanto si diceva prima. che, come già osservava Trotzkij, per l’Ucraina è sempre peggio che per le altre repubbliche: era vero ai tempi di Stalin ed è vero anche adesso. Di questi nomi la maggioranza appartiene al Gruppo Helsinki ucraino: per esempio, Gorbal’, un poeta condannato a sette anni nel 1970, nel 1979 è stato falsamente accusato di tentativo di violenza carnale. Ho qui una lettera di sua moglie e sono molte le persone le quali possono testimoniare che Gorbal’ non avrebbe mai nemmeno pensato di compiere un’azione come quella di cui lo hanno accusato. Infine, nel 1984, quando stava finendo di scontare la seconda condanna, ancora nel campo, un giorno prima di liberarlo l’hanno accusato di attività antisovietica e se finirà di scontare la nuova pena che gli hanno inflitto nel lager, quando uscirà avrà trascorso in tutto ventitre anni nel campo. Purtroppo questo è uno dei lager più tremendi e le persone che vi sono rinchiuse hanno ricevuto ben poco aiuto dall’Occidente.
Uno dei metodi più tremendi di lotta contro gli esponenti dei diritti umani è il carcere psichiatrico. Io ho trascorso due anni e mezzo in un carcere psichiatrico, e gli psichiatri occidentali che mi hanno visitato hanno detto che ancora due anni di quella prigione, con le “cure” alle quali ero sottoposto, e avrei subito danni irreversibili al cervello. Mi è capitato di essere rinchiuso con un compagno che si chiama Viktor Rafal’skij, professore di storia e scrittore. Arrestato per la prima volta nel 1954 per la sua partecipazione a un’organizzazione marxista clandestina, già allora fu rinchiuso in una prigione psichiatrica; liberato nel 1959, fu nuovamente arrestato nel 1962 e rimandato nella prigione psichiatrica. In un foglio che circola nel samizdat ucraino si parla di un quarto arresto nel 1968; Rafal’skij è nato nel 1918 e della sua vita ha già trascorso 20 anni in questi ospedali psichiatrici speciali: è impossibile reggere qualcosa del genere. Due anni fa mi giunse notizia che Rafal’skij e la moglie avevano chiesto che non si parlasse più di lui in Occidente, perché ogni volta che io intervenivo in sua difesa lui ne subiva le conseguenze; tuttavia ho ripreso a parlarne perché so che l’unico modo per salvarlo è che qui se ne parli il più possibile. Chiediamo a Gorbaciov di cancellare questa vergogna dello Stato sovietico prima che tutti gli internati per motivi di coscienza diventino realmente malati, e peggio malati cronici2. Insieme ai tanti, di cui si ignorano anche i nomi, qui basti ricordare che sono passati per quell’oscuro tunnel, in quanto “malati mentali di Stato”, uomini che onorano l’intelligenza e la cultura come Vladimir Bukovskij, Natal’ja Gorbanevskaja, Jurij Mal’cev, Piotr Grigorenko, Josif Brodskij. Bisogna leggere il volume di Bukovskij e di Semion Gluzman, Manuale di psichiatria per dissidenti, per capire l’assurdità criminosa di chi si è piegato a trasformare la scienza e la medicina a strumento di tortura, in obbedienza al volere cieco e cinico del potere politico. “Io penso – ebbe a scrivere Andrej Amalrik – che sia la cosa più ripugnante commessa dal regime. Nel contempo mi sembra un esempio lampante della completa capitolazione ideologica del regime di fronte ai propri avversari, non trovare di meglio che dichiararli pazzi”.
In Occidente si parla spesso di dissidenti di cui si conosce con precisione nome, cognome e storia, solo cioè di persone note. Ma bisogna ricordare che dietro ogni nome c’è un problema. Ad esempio, grazie all’impegno dell’opinione pubblica occidentale, hanno liberato Mustafa Dzemilëv, un tataro di Crimea; ma poiché, come ho detto, il problema dei Tatari non è affatto risolto, ci saranno ancora molti Mustafa Dzemilëv. Adesso si trova in un ospedale psichiatrico il fondatore del primo sindacato libero in URSS: Chlebanov. Anche se lui sarà liberato, il problema dei sindacati liberi in URSS rimane irrisolto. Dicono che sia stata liberato circa un terzo dei nomi conosciuti. In realtà sappiamo che sono state liberate circa duecento persone, ma non sappiamo quanti siano ancora in prigione.
La differenza rispetto alle riforme di Chrušcëv, che spesso viene invocato in rapporto alle riforme attuali, è questa: Chrušcëv ha liberato milioni di persone dai campi di lavoro, ha fatto arrestare alcuni dei peggiori carnefici del KGB, ha fatto pulizia nel KGB staliniano e l’ha assoggettato al partito. Ai tempi di Breznev il KGB ha ripreso tanta forza che il suo capo è diventato segretario generale del partito, il numero uno del paese; Gorbaciov, invece, non osa neanche criticare il KGB, le persone liberate non sono affatto riabilitate, anzi la polizia continua a minacciarli dicendo loro che sono in libertà provvisoria.
Volendo tirare le somme di quanto s’è detto su questo strano e quanto mai parziale processo di liberalizzazione iniziato da Gorbaciov – per cui le bocche si aprono, ma non dicono e non possono dire tutta la verità – mi pare opportuno citare la frase di un’economista sovietica che, a proposito delle recenti mini-riforme economiche, ha scritto nella rivista “Novij Mir”: “Una donna o è incinta o non lo è. Non può essere un po’ incinta”.
Vorrei, infine, in qualche modo replicare a un’argomentazione che spesso i giornalisti occidentali mi oppongono. Gorbaciov vuole le riforme – affermano – ma le forze conservatrici glielo impediscono. Ho parlato prima di un documento segreto del Comitato Centrale del partito comunista dell’Uzbekistan. E’ un documento segreto per il popolo, non certo per Gorbaciov. Quindi Gorbaciov, se volesse una soluzione del problema dei Tatari di Crimea, dovrebbe proibire l’emanazione di tali istruzioni. E’ lo stesso Gorbaciov che agisce in un modo, con la mano destra, e in un altro, con la sinistra. Qui non si tratta più di gradualità, necessaria in ogni processo di cambiamento, ma di politica del doppio binario. Se si persisterà in essa, la riforma tanto attesa non verrà, perché i suoi stessi propagandisti l’avranno resa impossibile.
NOTA: testo, non rivisto dal’Autore, della conferenza tenuta a Brescia su invito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura il 16.10.1987.