La pedagogia "morale" di F. W. Förster

Il ritorno di un grande maestro.

F. W. Förster ritorna tra noi – dopo il silenzio che intorno a lui si fece durante il ventennio – con le sue opere fondamentali (che «La Scuola» Editrice sta traducendo in italiano) e, prima fra esse, con “Scuola e Carattere”, la quale, così com’è, in questa XV edizione, rappresenta una vera e propria «summula» di tutto il pensiero pedagogico försteriano. Concepito originariamente come un «contributo alla pedagogia dell’obbedienza ed alla riforma della disciplina scolastica», il disegno di questo libro si è ampliato in una pedagogia morale, avendo l’Autore sempre più accentuato la sua particolare tendenza a trattare ogni problema educativo in strettissima connessione con i problemi eterni dell’anima e coi problemi della civiltà. La vera educazione infatti non è, secondo il Förster, un campo chiuso specializzato, riservato a degli iniziati, e la pedagogia non è una scienza che possa disinteressarsi né dei fini supremi della vita né dei problemi etico-politici; la concreta realtà educativa è determinata, infatti, dalla direzione generale degli spiriti, né può esservi efficace educazione del popolo senza un ideale di moralità pubblica. Se si abbandona lo sforzo e l’impegno di razionalizzare la politica – il cui oggetto, la sorte dei popoli, è sacro – il mondo delle forze sotterranee travolge brutalmente e annulla persino ogni concreta possibilità di educare.
Il Förster, pedagogista della cultura e dell’educazione etica della gioventù e dei popoli, autorevole rappresentante dell’umanesimo tedesco d’ispirazione universalistica, instancabile lottatore per la libertà, la democrazia e l’animazione etica dei rapporti internazionali, ha reso eroica testimonianza ai suoi ideali, pagando sempre di persona, soffrendo il carcere e l’esilio e la persecuzione (il nazismo nel 1935 fece trarre tutti i suoi libri dalle biblioteche e ne distrusse oltre mezzo milione di copie), erigendosi – con la fermezza naturale dell’uomo di carattere che difende i diritti imprescrittibili della coscienza – contro imperatori e dittatori onnipotenti, e perfino contro il proprio popolo, in strenua opposizione ad ogni assalto alla libertà e alla dignità umana.

Dialettica realistica

Si comprende allora perché i suoi scritti siano pervasi da un’appassionata, alta coscienza di quei valori che soli possono rendere umana la vita e degna dell’uomo l’educazione. Una dialettica realistica si sostituisce alle astratte enunciazioni di princìpi: la pedagogia del grande tedesco è essa stessa uno splendido esempio di «psicagogia», di scienza ed arte della vita, di persuasione razionale intorno al vero, colto e saldamente indotto dalla disamina critica di altre dottrine, dalla riflessione attenta su tutto ciò che può farci meglio conoscere l’uomo e dalla ricerca del compito specifico degli educatori nella presente situazione storica e politica. In un momento come l’attuale, in cui la pedagogia italiana registra il ritorno virulento di molte tesi illuministiche, naturalistiche, psicologistiche e «laico-neutraliste», la pubblicazione di quest’opera classica (e destinata a rimanere tale) ci appare particolarmente opportuna, offrendo essa un esempio di discussione serena e costruttiva, condotta con signorilità di tatto e con la precisa volontà di non giocare con le parole.
Quali i problemi discussi in questo volume di oltre quattrocento pagine? Molti, ma tutti convergenti ed esaminati e risolti in una visione unitaria saldamente armonica, la cui base sta nella chiara indicazione degli ideali etici della vita che l’educazione tutta deve animare.
In epoche prive di ideali la mancanza di carattere è presso che epidemica e l’educatore tocca con mano quale forza di appiattimento e di seduzione esercita la società sul singolo individuo. Il vero fondamento dell’educazione del carattere si disvela allora il rafforzamento della coscienza personale, l’unità etica delle sue forze psichiche, così come vero educatore è colui che sa essere un aiuto per un’efficiente auto-organizzazione spirituale. «Vera educazione è la capacità di distinguere nella vita ciò che è essenziale da ciò che è contingente, e carattere è la forza di manifestare, anche nella condotta della vita, questa distinzione» (pag. 61).
Sui rapporti tra vita spirituale e progresso tecnico e scientifico, il Förster sente il bisogno di ricordare le semplici, grandi parole di Pestalozzi («come l’uomo singolo così un’epoca intera può compiere grandi progressi nella conoscenza del vero, e rimanere invece molto indietro nella volontà di bene»), e i severi moniti di Aristotele («l’educazione morale è tanto più importante in quanto l’uomo, la cui educazione è puramente intellettualistica, più facilmente degenera, diventando il più selvaggio e sfrenato di tutti gli esseri») e Goethe («per colui che non domina le sue passioni, la ragione serve soltanto a diventare più bestiale di ogni bestia»; «tutto ciò che libera il nostro spirito senza darci la padronanza di noi stessi conduce alla rovina»).

Unità etica delle forze psichiche

L’educazione del carattere non è per nulla un qualche cosa di separato da tutte le altre attività dell’educando: «si esercita un’azione educatrice sul carattere quando si sappia collegare ogni attività apparentemente solo tecnica, con compiti morali, ispirandola ad essi; guasta invece il carattere ogni pedagogia che tratti isolatamente le singole materie e non sappia collegare con i fondamentali interessi dell’anima; una tale pedagogia porta alla disgregazione della psiche, all’isolamento delle singole attività dal tutto, ed educa direttamente alla mancanza di carattere» (pag. 415).
Di qui discende, già nell’educazione intellettuale o istruzione, un primo impegno di grande momento per l’educatore che deve, sì, perfezionare la coscienza didattica e l’aggiornamento metodologico e alimentare la sua meditata inventività, ma senza lasciarsi fuorviare da una semplicistica, infantile «metodomania» ( il termine risale al nostro Capponi, ma ritorna spesso nelle pagine del pedagogista austriaco Sailer). Mezzo efficacissimo, sebbene parzialmente indiretto, per coltivare l’ethos nella vita scolastica, è quello di saper rilevare, con sobrietà e finezza, i valori morali insiti in ogni materia d’insegnamento.
Anche l’educazione estetica, intesa senza moralismi preconcetti, quando ci avvicina alla grande arte, all’arte dei sommi (Dante, Shakespeare, ecc.), ha una «missione etica» (pag. 412). Nota acutamente il Förster che il valore etico della letteratura non consiste nelle tendenze morali, secondo le quali personaggi e avvenimenti sono rabberciati per dimostrare qualche banale verità morale, ma, al contrario, proprio nel rappresentare con estrema evidenza tutta la realtà della natura umana e lo spietato giudizio che sorge logicamente dalle conseguenze delle cose.
L’artista esprime nella sua opera l’archetipo plastico del fenomeno, la realtà nascosta e potenziale, quella che le belle parvenze della vita ci nascondono; e questo ci spiega perché i personaggi delle grandi opere d’arte ci siano più familiari dei nostri più intimi amici. Tutte le profonde e le vaste conseguenze delle cose, che a noi rimangono celate, sono poste in evidenza dagli artisti con sublime vastità e profondità. Se si confronta in tal senso il realismo delle grandi tragedie antiche o di quelle di Shakespeare col film moderno, una differenza balza subito agli occhi: nella grande tragedia ha poca parte la descrizione del delitto, ma la luce più viva cade sulle tremende conseguenze della colpa, sia nell’anima dell’uomo che nel mondo esterno, e dalla chiara coscienza di queste conseguenze nasce quel brivido d’orrore di fronte alla colpa, di cui non v’è alcuna traccia nel film moderno. Nel film tutta la luce cade sul lato sensazionale, mentre le conseguenze restano nel buio più completo.

«La scienza e l’arte della vita»

Accanto ad un’educazione morale indiretta c’è un’educazione morale diretta, di cui il Förster ha colto il nucleo e di cui ci ha descritto in modo mirabile la didattica e la metodologia. L’essenza della vera «pedagogia morale» consiste nell’eliminare la predica morale, nel parlare di morale il meno possibile, nell’aiutare invece i giovani ad acquistare chiara conoscenza della realtà in loro e intorno a loro, e nell’additare le forze interiori che essi devono coltivare per essere all’altezza di questa realtà. In questo senso il grande pedagogista tedesco propone innanzi tutto che nelle conversazioni morali con i ragazzi non si parta dal comandamento morale, ma dal fanciullo; lo si aiuti a interpretare giustamente le sue proprie esperienze concrete, gli si riveli il rapporto di causa ed effetto nel campo delle azioni ed omissioni umane, per risalire di lì, gradualmente, alla verità morale. Questa verità non gli apparirà più, allora, come qualche cosa di astratto, che cerca di imporsi dall’esterno alla sua vita, ma come la più matura soluzione delle difficoltà concrete della vita stessa, come la profonda interpretazione della realtà, come la naturale formulazione di ciò che la nostra natura stessa deve volere, qualora consideri realisticamente le conseguenze delle cose. Raccomandando in tal modo il metodo induttivo, il Förster non intende affatto che venga trascurata la forza e l’importanza pedagogica dell’autoritario «tu devi», ma vuole soltanto rilevare che, proprio nei confronti della gioventù moderna, è meglio porre questa formulazione autoritaria alla fine, anziché all’inizio delle conversazioni morali. L’autorità dell’imperativo morale non è indebolita, ma rafforzata, se la nostra personale esperienza è chiamata a testimoniare dell’azione benefica esercitata dalla verità morale, la quale impedisce che il nostro io limitato perda di vista l’universale coerenza della vita e le conseguenze più profonde delle azioni umane. La dimostrazione di «verità etiche» è dunque qualche cosa di molto più complicato che non la dimostrazione di verità matematiche. Dimostrazione non significa, lì, soltanto giustificazione di fronte all’intelletto, ma molto di più: trasposizione dell’insegnamento nella sfera delle più varie forze psichiche, sicché queste vedano nell’azione etica un accrescimento ed un adempimento della loro vita più intima, anziché una semplice repressione d’istinti individuali a favore della società.
Questi princìpi etico-pedagogici e di didattica della educazione morale il Förster ha epigraficamente riassunto nella formula, approfondita e divulgata dal nostro Modugno, dell’educazione morale come «scienza ed arte della vita».

Problemi e aspetti più attuali dell’educazione morale

Ed ora una assai rapida rassegna degli argomenti etico-pedagogici trattati in questo libro, da cui ci vengono precisi e spesso definitivi orientamenti.
L’educazione in comune dei sessi viene qui lumeggiata con sobrietà e lucida, obiettiva analisi delle opposte tesi. La questione di fondo è di sapere se la meta dell’educazione sia o no il livellamento delle differenze psichiche fra i due sessi. No certamente, perché tutta la ricchezza della cultura si basa sulla differenziazione e l’individualizzazione; ma, d’altra parte, la pura differenziazione non può essere l’unica legge determinante, meno che mai nella formazione del carattere, se non vogliamo arrivare ad uno sviluppo del tutto unilaterale del carattere sia nell’uomo che nella donna. Il principio determinante di ogni educazione del carattere deve essere questo: sviluppare anzitutto in una data persona o in un determinato gruppo umano le doti innate e le energie particolari, ma poi promuovere un contrappeso all’unilateralità ed ai pericoli della natura innata. L’azione complementare e liberatrice deve però sempre riallacciarsi alla natura fondamentale, deve cercare di fecondare, ma non di sostituire le qualità e le energie caratteristiche: principio luminoso che vale per problemi di educazione nazionale ed internazionale, esattamente come per l’educazione femminile e l’integrazione e l’arricchimento di essa attraverso i mezzi e i fini educativi dello spirito maschile.
Chiarissimo ed equilibrato come sempre l’argomentare del Förster anche sui dibattuti attualissimi temi: Pedagogia sessuale, Psicanalisi e pedagogia morale, Educazione psichica ed etica, rapporti tra Pedagogia medica e pedagogia morale. Il capitolo introduttivo, L’educazione del carattere nella scuola moderna, trova sviluppi e approfondimenti particolari nei capitoli sulla Menzogna scolastica e disciplina, su La pedagogia dell’obbedienza e sulla Riforma della disciplina scolastica. Quanto mai opportuna l’arguta contrapposizione tra «psicologia da inchiesta» e «psicologia concreta», che riemerge qua e là nelle opere del Nostro. Per diretta esperienza concordiamo col Förster nel rilevare che esiste un metodo molto più spontaneo, e di più sicuro affidamento, per esplorare l’anima dei fanciulli: precisamente con conversazioni occasionali su problemi di vita. Nel calore della discussione le vere opinioni ed i veri istinti si rivelano molto più chiaramente che in solenni inquisizioni, il cui apparato impressionante rende i fanciulli innaturali e li induce a dare ai loro giudizi ed ai loro sentimenti un peso esagerato. Ben raramente la gioventù è stata trattata in maniera meno psicologica che dai rappresentanti della psicologia sperimentale.

Educazione sociale ed educazione politica

Da meditare con particolare attenzione, ci sembrano le pagine il cui il Förster tratta dei Compiti sociali della scuola e dell’Educazione politica. Se si dovesse chiedere a tutti coloro che oggi parlano di pedagogia sociale che cosa intendono realmente con questa espressione, più d’uno si troverebbe imbarazzato a rispondere; tuttavia è certo che, nel senso in cui la usa il Förster, essa indica un compito estremamente concreto ed urgente: educare gli istinti sociali degli scolari affinché diventino un ausilio pedagogico per il maestro.
L’educazione sociale scolastica mira innanzi tutto: a stabilire giuste relazioni con «l’opinione pubblica» della scolaresca; a far superare quella specie di «terrore bianco» per cui i ragazzi e i giovani sono spesso tentati di vergognarsi delle loro tendenze migliori, ostentando persino una brutalità e rozzezza che in realtà non hanno affatto; ad organizzare l’autogoverno disciplinare; ad organizzare l’aiuto vicendevole in modo veramente pedagogico. Per chiarire ciò che è bene e ciò che è male e per suscitare e purificare l’etica dello «spirito di classe» è opportuno che l’educatore discuta apertamente con gli educandi le loro idee sulla vita di scuola, in modo che l’educazione non possa mai essere, e nemmeno apparire, ai loro occhi una specie di difesa organizzata dell’adulto contro i più giovani, secondo un paradosso assai incisivo di Bernard Shaw.
Il Förster denuncia i pericoli morali a cui va incontro l’evoluzione democratica, non certo per mettere in stato d’accusa la democrazia, ma per mostrare come sia assolutamente necessario controbilanciare la tirannia della maggioranza con l’educazione del carattere. Senza un nuovo coraggio morale, senza una indipendenza del carattere individuale profondamente radicata, l’evoluzione democratica porterebbe alla peggiore degenerazione. Dovremmo estendere il concetto di «traditore»: l’uomo che si arrende alle decisioni di un comitato per opportunismo e per paura; il politico che tende sempre l’orecchio agli umori della massa; il cittadino, che accortamente abbraccia la causa che proprio in quel momento è popolare solo perché è popolare: tutti costoro sono i vili e i traditori dell’epoca nuova! Contro una ricorrente e ottimistica identificazione di educazione sociale e di educazione politica, il Nostro reagisce con opportune precisazioni.
L’educazione sociale ha una funzione preparatoria indispensabile all’educazione civica e politica, ma non sostituisce per nulla né l’una né l’altra; non bisogna farsi illusioni. Che essa conduca o no ad una vera coscienza «politica» dipende da influenze assi più profonde. Non si tratta, in politica, di vivere e lavorare in armonia con coloro che hanno gli stessi scopi e le stesse idee; bisogna, invece, lavorare a costruire la comunità e l’unità in mezzo a contrasti riguardanti interessi e ideologie vitali. Occasione diretta offerta dalla scuola per la formazione di una coscienza politica può essere, tutt’al più, il giuoco: qui cozzano direttamente le più forti passioni e gl’interessi più immediati, qui si impara a trattare l’avversario lealmente e a considerare i suoi diritti altrettanto sacri che i propri. Ogni inglese sa quanta parte della sua cultura è dovuta all’efficacia pedagogica dei giochi giovanili. Lo stesso esercitarsi nella giustizia nei tribunali scolastici non ha sull’educazione del cittadino un’influenza pari a quella del gioco, poiché gli accusati nel tribunale scolastico non sono avversari personali ed effettivi dei giudici. Un’altra occasione offre ancora la vita scolastica per la «ginnastica del senso di giustizia»: educare gli alunni ad essere doppiamente leali coi compagni antipatici o che abbiano idee contrarie, ed a mantenersi con loro in relazione cavalleresca. Ciò sviluppa attitudini politiche in quanto armonizza i contrasti. Tutto ciò che si chiama educazione cavalleresca è della massima importanza per la conservazione dell’unità statale in mezzo a tutte le lotte di idee e di interessi; essa costituisce una riserva d’umanità nella società, previene e sana le scissioni, insegna a soccorrere l’avversario nel pieno della lotta. I nostri ragazzi e i nostri giovani attendono educatori che li guidino a combattere con obiettività, a non umiliare personalmente l’avversario, a non deformare le sue idee, a non gioire della sua sconfitta; in breve a limitare coscienziosamente la lotta ad una onesta misurazione delle forze e degli argomenti. In tal senso si dovrebbe parlare anche di discussione e polemica cavalleresca. Qui l’educatore deve dare un esempio col modo in cui parla delle opinioni politiche contrarie alle proprie e con cui cerca di giudicarle obiettivamente.

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Ci piace riportare, a conclusione, le accorate parole con cui il Förster, toccando un problema di importanza fondamentale, chiude questo suo grande libro: «Come dei genitori separati sono talvolta indotti a riunirsi dalla preoccupazione per il comune figliolo, così lo studio veramente concreto dell’educazione del carattere riuscirà di nuovo in avvenire a riunire, per un lavoro comune ed in nuove condizioni, le forze, oggi divise, della pedagogia laica e della pedagogia religiosa».
È l’augurio più sincero e profondo che ogni educatore di buona volontà deve far suo, anche in questa nostra Italia, in cui la tendenza a politicizzare indebitamente il problema dell’educazione morale dei ragazzi e della gioventù ha paurosamente approfondito incomprensioni già di per sé dure a morire.
 

 Non è stato possibile reperire la data della pubblicazione sulla rivista "Pedagogia e Vita". Ai fini della pubblicazione sul sito è stata indicata la data del 31.12.1970.