Martedì 23 ottobre 2012, ore 17,45, Foyer del Teatro Sociale, via Cavallotti, Brescia è stato presentato il libro Medea, tragedia in versi di Franca Grisoni (Ed. Fondazione Etica /L’Obliquo). Sono intervenuti: Paola Carmignani, giornalista, e Maria Pia Pattoni, docente di Storia del teatro greco e latino nell’Università Cattolica di Brescia. Franca Grisoni ha letto alcuni brani dell’opera.
Il libro, illustrato dai disegni di Letizia Cariello con nota del critico Franco Brevini, è pubblicato a cura di Fondazione Etica, per i tipi de L’Obliquo.
L’incontro è stato promosso dal Centro Teatrale Bresciano Teatro Stabile di Brescia e dalla Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura, in collaborazione con Fondazione Etica.
Il racconto di Medea non è lineare, si inabissa nel ricordo, riprende la narrazione che continuamente si spezza e si riannoda in questa rivisitazione mito narrato da Euripide e da altri prima e dopo di lui. […]
Medea si rende conto che la civiltà nella quale Giasone l’ha portata è impostata totalmente sull’inganno. È testimone della sparizione della verità. Da qui il suo bisogno e la sua volontà di interrogarsi sui corsi e i ricorsi della Storia. Dalla propria ferita personale, vede che quello che Giasone ha perpetuato su di lei è solo un anello di una catena di inganni accettati universalmente come verità: contro la verità esiste la menzogna collettiva perpetuata e diffusa dal potere. Di qui la tragedia.
Come Arianna è stata ingannata da Teseo, un archetipo del tradimento della parola data, Giasone inganna Medea, ma egli stesso è stato ingannato, prima dallo zio, che ha sottratto il regno a suo padre e lo ha mandato alla conquista del vello contando sulla sua morte nell’impresa: “come promes / da ‘n re parent / che ‘l la vulia copat”, come mette in luce Medea. Al ritorno dell’eroe con il vello lo zio non ha mantenuto la promessa di restituirgli il regno; Giasone è stato ingannato dal re della Colchide, il padre di Medea, che ha preteso che egli superasse prove impossibili. Creonte, re di Corinto, induce Giasone ad abbandonare Medea ed esilia lei e i figli. Con il matrimonio dell’eroe con la propria figlia, Creonte intende fortificare e accrescere il suo regno. Per Giasone le donne sono uno strumento: è “profitadur de fonne-piöi / de scale da doprà / per montà pö en alt” (profittatore di donne-pioli / di scale da usare per salire più in alto). Ma è lo stesso Giasone ad ingannare se stesso: “te ‘l prim a crediga / a chèl che la tò boca / la t’ha inventat ” (tu il primo a crederci / a ciò che la tua bocca / ti ha inventato): la bocca, senza coinvolgersi con l’intera sua persona.
In una società “patriarcale” Giasone rivendica una paternità che non ha mai esercitato: ha accettato le nuove nozze con Creusa sacrificando lui per primo la vita dei figli: la Medea di Seneca, quella di Müller e questa Medea mettono in luce la responsabilità di colui che è mandante di azioni malvagie. Anche Creonte è un padre che privilegia il suo disegno di grandezza e sacrifica la figlia “el n’ha fat mercat”, “padre pappone” che vuole come genero l’eroe “soldato” per accrescere il suo dominio. La parola dei re/potenti non viene mantenuta: è la regola, dal “c’era una volta” fino all’oggi.
Medea prova dolore e senso di colpa. […] Medea ha bisogno di gridare la verità. Non si assolve per ciò che lei stessa ha compiuto, ma ha occhi limpidi e denuncia un potere che si fonda sull’ipocrisia nella civiltà patriarcale della società greca e di quella di ogni tempo: ipocrisia universale e individuale. Non c’è qui un oscuro segreto da continuare a nascondere (Christa Wolf), c’è “la banalità del male” (Hannah Arendt) la responsabilità individuale chiamata in causa quando la nostra azione, “el nos fa e mia fa” (il nostro fare e non fare), è funzionale al compimento di un disegno più grande: la falsità è ovunque accettata come verità.
Non c’è più “confì tra bé e mal” (confine tra bene e male): è la corruzione delle coscienze individuali. Medea svela la falsità che impera, conosce se stessa (un imperativo che sorge dall’antichità greca) e offre uno specchio a chi potrebbe scoprire la menzogna anche da solo, ma non vuole: “Chi la sopporta la nuda verità?”. Così lo specchio rivela a Creusa la verità di ciò che sta per compiersi attraverso di lei, e lei ne ha paura: il fuoco dentro: “Chesto el ghe brüza” (questo le brucia), a bruciarle è la sua passione per Giasone autorizzata o instillatale dal padre; le brucia la gelosia per Medea che sente tanto più grande di se stessa; fuoco è l’odio di Medea che vuole denunciare l’inganno e distruggere in Creusa la possibilità che l’inganno venga portato a compimento. Uno specchio (la parola di Medea) è offerto anche a Giasone.
Lo scandalo dell’uccisione dei figli erompe: è proprio ciò che siamo capaci di condannare come delitto massimo che ci porta a misurare l’immensità della tragedia che sta continuando ad essere perpetuata. Dal ventre materno la morte di ogni essere umano è lacerazione. Il lamento si alza dal coro di donne che odono sorgere il pianto dei figli dagli “scogli dannati” che stanno di fronte a Santa Maria di Leuca e nella tradizione sono considerati i figli di Medea. È ancora memoria geografica del mito e memoria orale: la popolazione del luogo parla ancora il greco, un antico dialetto greco. Le donne del luogo cantano ancora oggi lamenti funebri in questa antica lingua, lingua della memoria con la quale madri e figlie continuano a trasmettersi la sapienza orale. Sono loro a piangere nei figli di Medea i propri figli sepolti e tutte le violenze che continuano a compiersi sul frutto del loro ventre. Cronaca odierna, con i corpi dei profughi che riempiono il mare. Ancora illusioni alimentate da chi li ha indotti a partire per disperazione: la falsità del benessere da bengodi dell’Occidente perpetuata dai media. […]