La storiografia conciliare su Paolo VI

La bibliografia sul concilio Vaticano II da una parte, e su papa Montini dall’altra è ormai alluvionale[2]. Eppure gli studi appositamente dedicati ai Pontefici nel concilio sono piuttosto rari, tra pubblicazioni generali o ricerche specializzate dedicate ad un aspetto particolare. Disponiamo soprattutto di alcuni saggi dello storico belga Jan Grootaers, recentemente raggruppati in un volume, Actes et acteurs à Vatican II[3], con un saggio su Jean XXIII à l’origine de Vatican II[4] e di due saggi sull’arcivescovo di Milano nel primo periodo del concilio e sul ruolo di Paolo VI nell’elaborazione della dichiarazione sulla libertà religiosa estratti da Atti di convegni[5]. I colloqui organizzati regolarmente dall’Istituto Paolo VI di Brescia offrono degli studi, ma sempre limitati a un tema preciso: il primo periodo[6], la riforma religiosa[7], i problemi ecclesiologici[8], il rapporto Chiesa-mondo[9], la libertà religiosa[10], l’ecumenismo[11]. Disponiamo anche dei testi di Paolo VI raggruppati in volumi[12]

È quindi necessario ricercare le valutazioni sull’opera conciliare di Paolo VI attraverso tutta la massa degli studi dedicati o al concilio o alla figura di Monsignor Montini – Papa Paolo VI[13]. Il ruolo del Papa nel concilio resta spesso sullo sfondo[14], o è sottovalutato in un insieme più ampio[15], o interpretato attraverso qualche testimonianza[16].

Le testimonianze sono evidentemente preziosissime per delineare il carattere di Paolo VI o per meglio capire l’iter di tale orientamento preso dal concilio; si può dire lo stesso a proposito delle pubblicazioni di giornalisti, ricordi di protagonisti del concilio, edizione di diari conciliari. Ma abbiamo fatto la scelta di lasciare da parte questo tipo di documenti che appartengono piuttosto alle fonti della storia del concilio, e usati in quanto tali dagli storici[17]. A volte il testimone e il cronista si fa storico: questa è stata l’evoluzione di Jan Grootaers che ha saputo passare dall’osservazione all’analisi storica per diventare uno dei migliori conoscitori dell’evento conciliare[18].

Discernere una storiografia su Papa Montini e il concilio è tutt’altro che facile. Si tratta di distinguere il suo ruolo nello svolgimento del concilio. Ma come fare la differenza tra ciò che è di Paolo VI, e ciò che viene dai suoi collaboratori? Secondo l’espressione di Henri Fesquet, corrispondente del giornale Le Monde, Paolo VI diventa, dopo Giovanni XXIII, “il Papa del Concilio” [19]. Ma che cosa significa esattamente? Nel suo intervento dopo la relazione di padre Cottier al convegno “Paolo VI e il rapporto chiesa-mondo al Concilio”[20], Roger Aubert faceva notare:

«On parle des interventions de Paul VI dans le Concile, soit dans le déroulement du Concile, soit dans le travail des Commissions. Or il apparaît que ce mot intervention est comme, si souvent d’ailleurs, un mot ambigu. Il peut y avoir des moments où le pape donne un ordre décisif, mais bien souvent – et en tout cas c’était très net dans la pensée de Paul VI – ces interventions étaient des conseils, où il entendait simplement jeter dans le débat un point de vue sans imposer qu’on l’accepte tel quel. Pourtant il est évident que ses conseils avaient une autorité toute particulière; mais je crois justement que dans la discussion des textes et des interprétations que doivent en donner les théologiens, cette distinction entre des ordres et des conseils est capitale»[21].

L’osservazione del grande storico di Louvain è particolarmente pertinente dal punto di vista metodologico, non soltanto per i teologi, ma anche, e forse soprattutto per gli storici. Per questa ragione, sarebbe meglio parlare come Alberto Melloni, del «papa nel concilio»[22].

Il dibattito è già aperto. Due luoghi principali di ricerca si distinguono, senza che si possa parlare di «scuole» assolutamente separate perché i passaggi dell’uno all’altro per fortuna, sono tanti: a Brescia l’Istituto Paolo VI organizza regolarmente colloqui internazionali di alto rilievo su diversi aspetti dell’opera di Mons. Montini e sul pontificato paolino[23]; a Bologna la squadra internazionale costituita nel 1988 attorno a Giuseppe Alberigo e all’Istituto per le Scienze religiose fondato da Giuseppe Dossetti ha moltiplicato incontri e convegni[24] per confluire sulla grande Storia del concilio Vaticano II in cinque volumi[25] pubblicati a Bologna e Leuven (Il Mulino – Peeters), e tradotti in diverse lingue[26]. Tra questi due poli, si è costituito nel 1998, a Roma, il Centro Studi e Ricerche sul Concilio Vaticano II nel quadro della Pontificia Università Lateranense[27]. Evidentemente questi poli di ricerca non escludono altre ricerche individuali, tesi, saggi diversi, biografie[28].

Dall’insieme, e nell’assenza di uno studio approfondito su Paolo VI e il concilio, possiamo delineare tre problematiche: l’arcivescovo di Milano nella preparazione dell’evento conciliare; Paolo Vi e il governo del concilio; da Giovanni a Paolo: continuità, evoluzione o tradimento?

  1. Monsignor Montini, arcivescovo di Milano tra la preparazione e i primi passi del concilio.

 I biografi di Mons. Montini identificano nell’arcivescovo di Milano uno dei vescovi italiani più favorevoli al concilio, all’interno di un episcopato piuttosto rettivo[29], e sottolineano l’importanza della sua lettera pastorale per la Quaresima del 1962, pubblicata il 22 febbraio, Pensiamo al Concilio[30]. Offriva una riflessione organica sul concilio e voleva ricordare che

«fin dal primo momento in cui il Papa ne dette l’annuncio, noi stessi levammo un grido di meraviglia, di gioia e di speranza[31]».

Si tratta secondo Klaus Wittstadt di un testo di «ampio respiro»[32]. Invita a guardare il concilio come una grande speranza e insiste su due obbiettivi secondo lui essenziali: la riforma della chiesa e l’unità dei cristiani, non per avviare delle riforme straordinarie, ma per dare alla Chiesa «intima consapevolezza di ciò che essa è e di ciò che essa deve fare» per essere presente al mondo[33]. Per il futuro papa, «il concilio è un avvenimento d’incalcolabile importanza»[34]. Certo esiste una testimonianza secondo la quale Mons. Montini, forse informato anticipatamente dell’annuncio del 25 gennaio[35], anche se l’informazione non è assicurata[36], avrebbe parlato del futuro concilio come di un «vespaio»[37], ma fu tra i primissimi a reagire ufficialmente in senso positivo, e Etienne Fouilloux nota che il votum dell’arcivescovo di Milano «attira l’attenzione tanto per l’ampiezza della sua riflessione sulla Chiesa quanto per la sua prudenza»[38]. Eppure è chiamato con un grande ritardo a far parte della Commissione centrale preparatoria costituita il 5 giugno 1960: soltanto il 6 novembre 1961; partecipa alla terza sessione del gennaio 1962 con interventi brevi e limitati[39] Giuseppe Colombo scrive:

«i suoi interventi contenuti e succinti non sono mai una ritrattazione radicale della questione, ne aprono ad essa prospettive nuove; raramente anzi si presentano come completamente autonomi; generalmente si allineano in appoggio a prospettive già aperte, introducendosi come all’ombra dell’autorità altrui. […] Montini non vi ha svolto un ruolo di primo piano»[40].

Jan Grootaers parla della position originale de l’archevêque de Milan:

 «l’archevêque Montini occupe une position singulière dans l’ensemble de l’épiscopat italien de l’époque. Il se singularise d’abord par l’intérêt qu’il porte, bien avant l’ouverture du concile, au mouvement oecuménique, au renouveau liturgique, à une ecclésiologie renouvelée. Il se singularise aussi par son enthousiasme pour le concile annuncé par Jean XXIII»[41].

L’arcivescovo di Milano, molto legato a Jacques Maritain e sostenitore delle riflessioni di rinnovamento della Chiesa che difendeva a Roma quando era Sostituto[42], ha la fama di essere aperto alle nuove ricerche teologiche[43]. Philippe Chenaux ha notato la presenza dell’umanesimo cristiano nel suo votum:

«Dans l’esprit du futur pontife, l’Eglise post-conciliaire est appelée à jouer un rôle d’avant-garde dans la promotion d’un nouvel et authentique humanisme»[44].

Quando il conclave si apre il 21 giugno 1963, Montini appare secondo Andrea Riccardi come il candidato della maggioranza del concilio perché aveva già un chiaro impegno conciliare[45], anche se Jan Grootaers vede nella maggioranza che elegge papa Montini una «maggioranza occasionale ibrida», e il frutto di «un compromesso piuttosto che di un atto di audacia per inventare cose nuove», ma riconosce «l’apertura intellettuale» di Montini sulla liturgia, l’ecumenismo e la teologia[46].

Di questo ne avevano testimoniato i suoi due interventi in aula. Il 22 ottobre 1962, ha preso parte alla discussione sullo schema De Sacra Liturgia[47], e di nuovo il 5 dicembre, sullo schema De Ecclesia[48]. Questo ultimo discorso, pronunciato da Mons. Montini che sembrava il portavoce di Giovanni XXIII ormai molto malato[49], ha avuto una grande risonanza; annunciava la prima enciclica programmatica di Paolo VI sul rinnovamento della Chiesa Ecclesiam Suam del 6 agosto 1964. Alcuni mesi prima Mons. Montini aveva scritto il 18 ottobre al cardinale Segretario di Stato Amleto Cicognani, una lunga lettera-programma[50]: esprime

«il timore che il Concilio non abbia un piano di lavori prestabilito. […] Questo è pericoloso per l’esito del Concilio; questo ne diminuisce il significato; questo gli fa perdere dinanzi al mondo quella forza ideale e quella comprensibilità, da cui molto può dipendere della sua efficacia. Il materiale preparato sembra non assumere architettura armonica e unitaria e non assurgere al fastigio di faro sul tempo e sul mondo», e propone: «il Concilio deve essere polarizzato intorno ad un solo tema: la santa Chiesa».

L’arcivescovo di Milano fa tre domande fondamentali: «Che cosa è la Chiesa, che cosa fa la Chiesa», quali sono le sue relazioni con «i fratelli separati», «la società civile», «il mondo della cultura, dell’arte, della scienza», «il mondo del lavoro, dell’economia», «le altre religioni», «i nemici della Chiesa». Per Mons. Montini, il centro del concilio è la Chiesa, e più precisamente la vita di Cristo nella Chiesa e la questione delle relazioni Chiesa-mondo[51]. In una conferenza su «Il Concilio ecumenico nel quadro storico internazionale» pronunciata il 27 aprile 1962 a Milano presso l’Istituto di Studi di Politica Internazionale, fa questa osservazione:

«il Concilio non è soltanto un fatto interno della vita della Chiesa, ma esso vuol essere e potrebbe     essere in qualche modo un avvenimento anche per il mondo»[52].

Ritroviamo questi temi dell’umanesimo cristiano e della missione della Chiesa nel mondo per tutti gli uomini in un importante discorso pronunciato in Campidoglio dinanzi alle più alte autorità italiane il 10 ottobre 1962[53]. Così ha tracciato le linee principali del concilio ideale secondo lui e non sono mancate le sue critiche sullo svolgimento dei primi mesi conciliari. Ritroviamo tali critiche nelle sue sette lettere ai diocesani milanesi, scritte tra il 13 ottobre e il 1° dicembre[54], nelle quali critica il funzionamento del concilio, una libertà troppo ampia, una moltiplicazione di proposte, un materiale enorme. Così scrive nella sua ultima lettera del 1° dicembre:

«Materiale immenso, ottimo, ma eterogeneo e disuguale, che avrebbe reclamato una riduzione e una composizione coraggiosa, se un’autorità, non solo estrinseca e disciplinare, avesse dominato la preparazione logica e organica di tali magnifici volumi, e se un’idea centrale, architettonica, avesse polarizzato e finalizzato questo ingente lavoro. […] Sorge perciò il dubbio, e col dubbio il timore che la discussione conciliare si protragga eccessivamente e invece di fondere divida gli animi»[55].

Queste lettere, nel sottolineare la questione dell’organizzazione dei lavori conciliari, introducono un tema maggiore della storiografia, cioè il governo del Concilio da Paolo VI.

  1. Paolo VI e il concilio, tra governo e direzione.

 Appena eletto, il nuovo papa s’impegna a proseguire sulla strada del concilio: sarà, dice Jan Grootaers, «la parte preminente» del suo pontificato[56], malgrado la sua posizione giudicata «defilata» da Giuseppe Alberigo[57] durante la prima Sessione. Difatti il concilio diventa rapidamente, dice Antonio Acerbi, il «concilio di Paolo VI» che prende in mano la direzione dei lavori[58]. Il nome stesso di Paolo sarebbe un riferimento all’Apostolo Paolo, e annuncia i futuri viaggi apostolici, ma anche il papa Paolo V che accompagnò al porto il concilio di Trento[59]. Giuseppe Colombo sottolinea «la volontà (di Paolo VI) di portare avanti e condurre a termine i lavori del Concilio avviati senza sospettarne la reale difficoltà»[60].

La sua volontà di continuare il concilio è riconosciuta dagli storici anche se Giuseppe Alberigo pensa che «è necessario riconoscere che in queste circostanze è il concilio generale che si impone anche al pontificato romano»[61], ma aggiunge più tardi:

«la decisione di Paolo Vi di riprendere e concludere il concilio pensato, convocato e aperto dal suo predecessore era stato un atto di fedeltà a Giovanni XXIII e all’episcopato e una dimostrazione di coraggio di fronte all’evidente complessità di iniziare un pontificato sotto gli occhi di un concilio generale e dell’opinione pubblica che esso aveva attratto»[62]G. Alberigo, .

Esitazioni.

 Paolo VI riprende il concilio con la volontà di continuarlo e di approfondirlo come i suoi viaggi apostolici in Terra Santa (4 – 6 gennaio 1964), in India (2 – 5 dicembre 1964) e all’O.N.U. (4 – 5 ottobre 1965)[63] lo dimostrano. Eppure una parte della storiografia evoca spesso le sue esitazioni, una sua indecisione. Jan Grootaers scrive:

«Si è detto e ripetuto che l’atteggiamento di Paolo VI era caratterizzato da un temperamento incline al “giusto mezzo”, cioè a soluzioni di compromesso. È possibile che l’insieme del suo pontificato non meriti questo giudizio, considerato critico, ma ci sembra indiscutibile che i primi mesi del suo pontificato mostrino una certa indecisione»[64],

e parla di un «conclave molto difficile» che avrebbe contribuito alle «incertezze del nuovo papa». Carlo Falconi ha parlato anche di “amletismo”[65] e l’ambasciatore di Francia presso la Santa Sede, Guy Le Roy de La Tournelle nota in un dispaccio del 18 dicembre 1963:

«Le besoin de composer l’emporte chez lui, sur l’envie de trancher. Prompt dans la conception, il semble tergiverser dans l’exécution. Il saisit immédiatement le problème posé et les différentes solutions qui peuvent lui être données»[66].

Preoccupato dalle tensioni e le divaricazioni esistenti tra i padri conciliari, il papa ricercava il consenso[67], anche perché, come osserva Luis Antonio Tagle, «era noto per la sua meticolosità di stile e sfumature, specialmente in questioni di dottrina. […] Nel suo carattere cauto, i gesti nascevano da una intuizione, ma dovevano essere sostenuti da ragionamenti rigorosi»[68].

I testimoni usano spesso le parole scrupolo, onestà, perfezionismo, che possono lasciare l’impressione dell’esitazione, dell’incertezza, accentuata dal fatto che «era subissato di petizioni, di richieste e era oggetto di pressioni molto forti»[69], e che voleva verificare tutto e ascoltare tutti:

«ha  voluto assicurarsi che tutti i punti di vista fossero ascoltati e che tutte le obiezioni fossero esaminate e soppesate. Prima di tutto la sua finezza di spirito e la sua onestà intellettuale lo portavano a cercare delle spiegazioni»[70].

A tali osservazioni fatte spesso dagli osservatori e dai commentatori del concilio, Paolo VI stesso ha voluto rispondere attraverso un’intervista con un prete francese, padre Pézeril, pubblicata nel quotidiano Le Monde del 27 febbraio 1965: «il m’arrive de lire que je suis indécis, inquiet, craintif, ballotté entrre des influences contraire», diceva il pontefice che aggiungeva: «je suis peut-être lent. Mais je sais ce que je veux. Après tout, c’est bien mon droit de réfléchir»[71].

Riorganizzare.

 «So cosa voglio fare». Difatti appena eletto sul trono pontificio, Paolo VI che avea manifestato come padre conciliare le sue preoccupazioni per le difficoltà di funzionamento del concilio, ha preso delle misure di riorganizzazione dell’Assemblea conciliare. Il papa non sarà certamente un «semplice notaio del concilio»[72]. Il discorso del 29 settembre 1963 segna una presa in mano del concilio, al livello dei suoi orientamenti generali, con quattro obiettivi – definizione della Chiesa e collegialità, rinnovamento della chiesa, unità dei cristiani, dialogo con il mondo – così come al livello dell’organizzazione. Afferma all’inizio della seconda sessione la parola e il ruolo direttivo del Papa. Decide «in grande tempestività» secondo Giuseppe Alberigo[73] di creare un nuovo organo di direzione, il Collegio di quattro moderatori, di rivedere il regolamento e di stabilire nuove condizioni per la preparazione dei testi, nello scopo di migliorare l’efficienza dell’Assemblea. Altra decisione significativa del nuovo ordine delle cose, è la sua decisione annunciata il 14 settembre di invitare al concilio alcuni auditores laici che sceglie personalmente[74]. La sua preoccupazione era, come dice al cardinale Eugène Tisserant, di migliorare le condizioni di lavoro,

«affinché ciò che sarà detto singolarmente o nell’insieme appaia più ordinato e più chiaro»[75].

Condurre.

 Il discorso di apertura della seconda sessione segna la volontà del papa di prendere la direzione delle operazioni, con interventi che prendono un peso sempre più notevole. Jan Grootaers pensa che gli interventi pontifici devono essere esaminati con prudenza: propone di distinguere tra due interventi: quelli su problemi nei quali le posizioni della minoranza debbono essere presi in considerazione per ottenere un consenso, e possibilmente un voto unanime – testi sulla rivelazione, il matrimonio (schema XIII) – e quelli sui testi che il papa considera come particolarmente importanti – sulle missioni, la pace, il rifiuto di una condanna del comunismo[76]. Lo storico belga prende come esempio più particolarmente la dichiarazione Dignitatis humanae sulla libertà religiosa:

«Le rôle dynamique du pape Paul VI qui caractérise cette quatrième période de Vatican II éclate au grand jour en sptembre 1965. C’est grâce à une intervention vigoureuse du pape que le projet du texte sur la liberté religieuse fait l’objet d’un vote global d’orientation et reçoit ainsi sa première consécration formelle dans l’aula conciliaire. C’est en grande partie grâce au pape que le projet de déclaration a réussi à éviter des écueils innombrables pour finalement arriver à bon port»[77].

Per don Vincenzo Carbone, «non si tratta di qualche intervento sporadico, bensì di una direzione continua, che segnò tutti i passi dello schema»[78].

Jan Grootaers insiste sull’iniziativa del papa per iscrivere il progetto di testo all’ordine del giorno della Commissione dottrinale, sul ruolo di Mons. Carlo Colombo «teologo personale» di Paolo VI[79], e soprattutto sull’azione dinamica, si potrebbe dire volontarista del papa per far avanzare il documento:

«Devant une majorité qui paraît gagnée par une certaine inertie et face à un courant minoritaire qui garde toute sa pugnacité, le leadership de Paul VI émerge plus clairement qu’auparavant même si la pape continueà agir avec la plus grande discrétion»[80].

Conclude così:

«après avoir passé en revue quelques uns des moments-clés de l’histoire de la liberté religieuse à Vatican II, nous avons la conviction que ce texte lancé sur un parcours périlleux n’aurait pas atteint la ligne d’arrivée sans la vigilance et les initiatives dynamiques de Paul VI»[81].

Nei fatti Jan Grootaers propone di essere attenti alla cronologia per ritenere tutta la complessità del rapporto tra Paolo VI e il concilio[82]. Oppone il numero ristretto degli interventi dell’autunno 1963 e la sua prudenza durante la terza sessione, alla quarta sessione del 1965 quando il papa rilancia la dinamica conciliare al punto che Giuseppe Alberigo parla di un «attivismo frenetico» di cui un altro esempio sarebbe Gaudium et Spes, approvato il 7 dicembre 1965. A proposito di questo documento il cardinale Paul Poupard testimonia:

«Ce dont je souviens, c’est une intense et constante attention et préoccupation manifestée par la lecture assidue de l’immense matériel qui parvenait de partout à la Secrétairerie d’Etat, en des sens contradictoires. Avec un soin minutieux, Paul VI a pris personnellement connaissance de toutes les indications disparates. Et à certains moments déterminés, alors que des pressions s’exerçaient plus fortement en sens contraire, il a refusé, aussi bien d’intervenir pour retirer le projet, que de le “redimensionner”, en le faisant “rétrograder” du statut de Constitution pastorale à celui de Déclaration»[83].

Nel suo libro pioniere su La mécanique politique de Vatcan II, Philippe Levaillain pensa che soltanto alla fine della seconda sessione il papa prende veramente la testa del concilio con tre tipi di iniziative: i viaggi apostolici, nei quali si fa il messaggero del concilio, le sue prime encicliche cioè l’insegnamento del magistero e i suoi interventi nel concilio; come tutti gli storici del concilio, nota che alla quarta sessione, una sedia rialzata è sistemata in mezzo al tavolo di Presidenza per significare che simbolicamente il Pontefice, presente o no, ha vocazione a dirigere il concilio[84]. Ma Giuseppe colombo ritiene che il discorso di apertura della terza sessione, il 14 dicembre 1964, «è molto determinante», e citando Rainiero La Valle, scrive che «a qualche cronista è apparso con il discorso di un capo»[85].

Claude Soetens nota anche lui che Paolo VI ha moltiplicato gli interventi «nel cammino conciliare»[86], e per Giuseppe Alberigo, il concilio di Paolo comincia realmente nel dicembre 1963: prima «è nell’arduo noviziato di un papa novello eletto nel corso di un concilio»[87].

In tale cronologia alcuni studiosi individuano le preoccupazioni di papa Montini per il postconcilio. In un’omelia pronunciata il 18 novembre 1965, citata da Giuseppe Alberigo, sottolinea «una profonda differenza di clima tra concilio e postconcilio». Il primo sarebbe «aratura sovvertrice del campo» e il secondo «coltivazione ordinata e positiva», e lo storico di Bologna si ferma sulla «distanza e, tendenzialmente, la contraddizione» tra le due parole, «aratura» e «coltivazione»[88]. All’inizio della quarta sessione, Paolo VI «guardava con speciale attenzione al di là del concilio»[89]. Giovanni Turbanti nota anche lui il peso del postconcilio sulla direzione del concilio da parte del papa: «nei mesi dell’intersessione Paolo VI aveva governato la Chiesa non solo in funzione della prosecuzione del concilio, ma guardando anche alla sua conclusione e soprattutto alla sua ricezione»[90].

Lui legge con lo sguardo «sempre rivolto al postconcilio» l’enciclica Mysterium fidei sulla dottrina e il culto eucaristico del settembre 1965, e il motu proprio Apostolica sollicitudo che istituisce il sinodo dei vescovi il 15 settembre 1965, il giorno successivo all’apertura della quarta sessione:

«da questo punto di vista la strategia di Paolo VI lungo lo svolgersi delle ultime fasi conciliari appare chiara. Egli era realmente preoccupato di possibili sviluppi postconciliari e questa preoccupazione lo spingeva ad agire rapidamente, riaffermando le prerogative del suo primato, per esaurire tutte le materie lasciate in sospeso dal concilio e sulle quali intendeva deliberare personalmente, ponendo così importanti ipoteche sul processo di ricezione»[91].

Ciò che Andrea Riccardi spiega con la convinzione di Paolo VI che «il concilio, per essere recapito in tutta la Chiesa cattolica, avrebbe dovuto trovare nel ministero del Papa un riferimento fondamentale»[92].

Questa prospettiva cronologica del ruolo di Paolo VI nel concilio sembra confermata dallo stesso papa nel suo discorso del 18 novembre 1965 quando ricostruisce la storia del concilio in tre momenti: quello dell’entusiasmo, quello dello svolgimento del concilio, quello della comprensione.

Comunque la questione degli interventi pontifici resta un problema storico difficile da risolvere. Il cardinal Hamer si ferma sul problema metodologico a proposito di Gaudium et Spes. Quando il papa ne ha approvato e promulgato il testo, egli

«assume et fait sien ce texte conciliaire en sa qualité de chef du Collège apostolique, agissant collégialement avec les autres membres du Collège.. Si ce fait est décisif pour l’autorité du document, il ne résout pas pour autant beaucoup de questions qui touchent à sa genèse, à sa laborieuse construction. Quelles sont dans le document les idées don Paul VI a été le promoteur, quelles sont celles qu’il a acceptées mais dont l’origine vient d’ailleurs? Comment a-t-il influencé le cours des choses, comment est-il intervenu driectement ou indirectement, comme a-t-il favorisé l’évolution du travail des commissions et de l’assemblée par ses allocutions en marge du Concile? La réponse à ces questions et à tant d’autres n’est pas facile»[93].

Tale domande pongono il problema metodologico del rapporto complesso tra il Papa, la Curia e gli organi del concilio (e potremmo aggiungere un quarto elemento, che sarebbe l’opinione pubblica)[94]. Si tratta di un rapporto difficile da strutturare per il papa, anche per un papa ce conosce perfettamente la Curia romana. Egli ha un senso profondo della solitudine del pontificato, ha la volontà di difendere il primato di Pietro, non è soltanto l’esecutore della decisone dei padri conciliari (si è detto il «notaio»), ma è Vicario di Cristo. Nello stesso tempo deve assolutamente evitare una rottura tra la Curia che sta su posizioni piuttosto istituzionali e conservatrici, e la maggioranza del concilio che vuole andare avanti. Per questo, secondo Giuseppe Alberigo,

«Paolo VI – mediante un rapporto particolarmente stretto con il segretario Felici, oltre che con il card. Cicognani, segretario di Stato – riduce la distanza dalla curia, evitando che essa solidarizzi direttamente con la minoranza conciliare. I suoi cenni a una prossima riforma della stessa curia – problema che gà durante il secondo periodo del concilio aveva rinunciato ad affrontare – apparivano destinati anche a rivendicarne un’esclusiva competenza, senza intromissioni conciliari»[95].

Vengono anche i problemi dell’influsso del papa sul lavoro delle Commissioni[96], dell’«incertezza sui legami tra il papa e la minoranza» secondo l’espressione di Christoph Theobald[97], di un papa sempre preoccupato di riunire il consenso, e il problema moto difficile da identificare della trasmissione delle istruzioni del papa attraverso i suoi collaboratori. Per esempio Giovanni Miccoli s’interroga sul ruolo di Mons. Felici, segretario del concilio, a proposito del De Judaeis: «Tra le istruzioni papali trasmesse dal segretario di Stato a Felici e la traduzione che questi ne fece il 9 ottobre a Bea e ad Ottaviani vi è uno scarto non irrilevante»[98].

Gilles Routhier ha caratterizzato bene le contraddizioni tra le quali Paolo VI deve muoversi: «ha cercato di dare il tono al periodo che si apre (il quarto): libera ricerca, ma nel contempo preoccupazione per la concordia e per la carità nell’esame delle questioni»[99], tra «la coscienza esigente del suo ruolo» e la necessaria libertà del concilio, tra l’assimilazione della dottrina della collegialità e il suo ruolo di «arbitro superiore al concilio»[100].

Uno dei problemi più difficile da chiarire è quello non dell’intervento diretto del papa, finalmente piuttosto capito e accettato dai padri, ma degli interventi frequenti, «sconcertanti», spesso secondo Giuseppe Alberigo «a sostegno delle posizioni della minoranza»[101], questi interventi che Jan Grootaers ha studiati[102]. Si tratta dell’assenza di trasparenza in alcuni interventi, al punto che Mons. Prignon, rettore del Collegio belga di Roma, ha parlato dei «criptointerventi del Santo Padre»[103]. I famosi interventi «da parte dell’autorità superiore» secondo l’espressione abituale[104], sono legati secondo Andrea Riccardi a «l’infittirsi dei dibattiti e dei contrasti tra i padri» e a una necessaria «azione ordinatrice del papa»[105]. La loro moltiplicazione durante la «settimana nera» del novembre 1964, con la sospensione della votazione sullo schema De libertate religiosa, con la Nota explicativa praevia sul terzo capitolo del De Ecclesia, con gli emendamenti al decreto sull’ecumenismo, hanno provocato tanti attacchi contro il papa, accusato di complotti con la minoranza, ipotesi che Luis Antonio Tagle nega fino a parlare di presentazioni della figura di Paolo VI «in modo furfantesco»[106].

«[…] egli doveva sacrificare la sua popolarità per salvare il concilio e il suo futuro. In vari modi il comportamento di Paolo VI durante la “settimana nera” riflette la sua concezione del papato e della collegialità: egli è l’esempio vivente di una dottrina della collegialità che cerca di trovare i suoi ritmi. In lui ci sono i tentennamenti, le incertezze, i compromessi, le tensioni della dottrina della collegialità. La “settimana nera” gli conferma le due visioni, apparentemente contrastanti, del papato che egli possiede: quella del solitario, esaltato ad una sommità in cui è solo con Dio, nella unicità di una chiamata; l’altra, di cui sentiva forte il senso sul finire del terzo periodo, che lo legava fortemente ai fratelli nell’episcopato»[107].

I dibattiti sul governo montiniano del concilio sono accesi, e aprono la strada a altri dibattiti non meno accesi sul senso del concilio di Paolo VI, sul suo significato a paragone del concilio di Giovanni XXIII.

  1. Paolo dopo Giovanni: continuità o rottura?

 Padre Giacomo Martina avanza tre proposte a proposito della questione della continuità o della rottura nel concilio da un pontificato all’altro:

– Paolo VI sarebbe «l’affossatore delle iniziative di Giovanni XXIII»;

– oppure «il genio provvidenziale che le ha salvate dal crollo imminente»;

– o ancora «la mente robusta che le ha guidate […] a un risultato globale positivo, sostanzialmente rispondente ai fini che papa Giovanni auspicava»[108].

Tale numerazione permette di sottolineare nello stesso tempo l’intensità del dibattito attorno al tema di due concili diversi ed anche opposti, ma anche i limiti di posizioni così contrastanti ed esagerate, perché come dice Giuseppe Colombo,

«è un giudizio evidentemente sommario se, andando oltre la volontà di proseguire il concilio, intendesse ridurre Paolo VI nella scia di Giovanni XXIII. Papa Montini è infatti troppo personale per essere pacelliano o roncalliano»[109].

In questo senso, il pontificato di Paolo VI sarebbe semplicemente montiniano. Prima di andare avanti, bisogna ricordare tre elementi evidenti, ma indispensabili da ricordare per ricercare un giudizio equilibrato.

  1. a) Le condizioni generali di funzionamento del concilio sono cambiate per forza, semplicemente perché il pontefice è cambiato, come Alberto Melloni lo nota acutamente:

«Roncalli aveva avviato la macchina conciliare da ferma e ne conosceva tutto il percorso da dentro; la sua scelta di astenersi nella preparazione, fino al discorso di apertura aveva lasciato aperta la porta del concilio che dava sull’abisso delle condanne. Paolo VI, invece, deve salire su un treno in corsa: non è una corsa ancora frenetica, ma certo, al difficile mestiere di papa nella Chiesa, s’aggiunge il lavoro straordinario di “papa nel concilio”; e se l’assemblea ha già avuto modo di studiarsi, di sperimentarsi almeno in un primissimo livello di discussione, il pontefice deve inventarsi un ruolo che – per definizione e per congiuntura – può essere tutto eccetto la ripetizione del nonparadigma roncalliano»[110].

Giuseppe Alberigo conferma questa diversità di condizioni dei due papi di fronte al concilio, una diversità indipendente dalla loro volontà: nota gli elementi di continuità all’inizio della seconda sessione: «l’impulso giovanneo che ha “inventato” il concilio, è ancora vivissimo e operante»[111], ma nello stesso tempo gli elementi di novità: uomini nuovi attorno al papa, lo spostamento del consiglio di presidenza a favore del collegio dei moderatori più efficace e più vicino al papa:

«I due papi che hanno presieduto il concilio hanno avuto non solo una fisionomia e un carattere molto diversi, ma hanno giocato ruoli ben distinti. Roncalli lo ha “creato”, ne ha gradualmente elaborato la fisionomia, l’ha impostato con l’allocuzione inaugurale e, infine, l’ha guidato nei primi incerti mesi e durante la problematica prima intersessione. La sua impronta è sopravvissuta alla sua scomparsa e il Vaticano II ne risente ancora durante la seconda fase di lavoro. Solo gradualmente Paolo VI subentra nel rapporto con l’assemblea conciliare, dopo essersene guadagnata la fiducia con la leale pronta riconvocazione. La sua prospettiva è oggettivamente quanto specularmente opposta – ancorché complementare – a quella di Roncalli. Montini, infatti, ha il compito di portare a compimento e di concludere il concilio. Il suo stile è ovviamente diverso da quello del predecessore; una diversità che in parte dipende dalla fase avanzata in cui è ormai il lavoro conciliare. Non è più il momento delle scelte di fondo, ma piuttosto quello dell’elaborazione soddisfacente dei testi, della costruzione del consenso e del passaggio al postconcilio»[112].

  1. b) I due papi, di generazioni, di origini sociali, di formazione diverse, rilevano di culture personali molto diverse, forse accentuate da carriere che hanno preso dei binari differenti: «Si percepisce presto una diversa atmosfera, determinata non solo dal carattere del nuovo papa, ma anche dalla sua formazione, dalla sua lunga esperienza di servizio nella curia romana»[113].

Andrea Riccardi aggiunge:

«Papa Giovanni non ha la stessa cultura del progetto del suo immediato successore; non ha nemmeno lo stesso senso del governo della Chiesa che già Montini aveva mostrato durante la sua permanenza in segreteria di Stato. Il papa [Giovanni XXIII] ha alcune idee ed aspirazioni, ma poi crede di dover lasciar fare al lavoro dei vescovi», secondo questo «programma di vita: lasciar fare, dar da fare, far fare»[114].

Invece Paolo VI ha «una cultura e un istinto meno pragmatici e tendenzialmente programmatici»[115], nella quale l’influenza maritainiana si rivela molto presente[116].

  1. c) I due papi hanno degli stili molto diversi. La storiografia, l’abbiamo costatato, insiste sulle preoccupazioni di prudenza di Paolo VI, la sua volontà di studiare tutto e il desiderio di ottenere il consenso ciò che cambia i rapporti tra il papa e il concilio. Il Professor Alberigo nota ancora:

«il fatto stesso di presiedere le fasi avanzate del lavoro conciliare e, infine, la sua conclusione ha indotto il papa a porre l’accento sulla necessità del massimo consenso all’interno dell’assemblea. Come a papa Giovanni era toccata la responsabilità di stimolare l’impegno e la responsabilità dei padri, così papa Montino ha vissuto con intensa convinzione lo sforzo di ottenere votazioni unanimi per l’approvazione definitiva dei testi conciliari. In varie circostanze questo impegno ha richiesto grande pazienza, disponibilità all’ascolto – anche di sollecitazioni intemperanti -, tenacia»[117].

Precisamente è l’attenzione di papa Montini alle posizioni di tutti, questa volontà di riunire, che è criticata a volte fortemente da una parte della storiografia: «si può allora concludere che la presenza di papa Montini alla testa del Vaticano II abbia significato un’interpretazione delle istanze minoritarie in modo da annacquare la linea conciliare?», è una domanda di Andrea Riccardi[118].

Guido Verucci risponde a tale domanda positivamente: parla di

«un abbassamento, nel corso dei lavori conciliari, il livello di riforma prospettato originariamente da Giovanni XXIII, solo in parte seguito» e lui vede una differenza di rilievo tra i due papi: «se Giovanni XXIII faceva appello, nel confronto con il mondo, a valori umano-evangelici, Paolo VI faceva appello ai valori ecclesiastici»[119].

Siamo qui sulla linea di una doppia mitologia, quella del papa buono, pastore e profeta, e quella del papa intellettualista, curiale e clericale. Su una posizione simile, Peter Hünermann segnala in Paolo VI «una immagine di Chiesa totalmente gerarchica»[120]. Secondo lui, questo papa si fermava sulla «vincolante tradizione magisteriale della Chiesa»[121].

La posizione di Giuseppe Alberigo sembra più sfumata. Nota la presenza di Paolo VI nella redazione dei testi conciliari, e mette in rilievo acutamente la vera differenza nelle missioni rispettive dei due papi:

«Tuttavia sembra corretto ritenere che, mentre l’intenzione di Giovanni XXIII ha inciso in misura unica sulla fisionomia del concilio come evento, l’apporto di Paolo VI ha segnato soprattutto la redazione delle sue decisioni»[122], e aggiunge: «Aggiornamento, pastoralità, impegno per l’unità restavano fattori essenziali dell’identità del concilio, ma non potevano non risentire dell’accezione secondo la quale Paolo VI li intendeva. Di più, papa Montini accosta ad essi altre caratteristiche: l’impegno per il dialogo col mondo, la ricerca del massimo consenso tra i padri conciliari, apriorità dell’approfondimento della teologia sulla chiesa. Quanto Giovanni XXIII aveva messo prevalentemente l’accento sul concilio come occasione di svolta, Paolo VI, a concilio ormai in itinere, integra l’impostazione originaria con indicazioni di contenuto»[123].

Difatti, nell’affermare la tematizzazione del dialogo con il mondo contemporaneo, che diventa «una delle caratteristiche centrali del pontificato montiniano»[124], la necessaria definizione della teologia della Chiesa, e il «valore dottrinale e non solo pastorale degli insegnamenti del concilio»[125], Paolo VI dimostra una «volontà rettificatrice»[126] nel confronto del concilio roncalliano.

A ciò si sovrappone la questione delle attività della minoranza e della ricerca del consenso, anzi dell’unanimità:

«Tramontato il metodo soft di Giovanni XXIII, anche il fecondo ruolo-guida svolto nei periodi di lavoro del 1963 e 1964 da alcuni leader – Bea, Suenens, Léger – nel 1965 sembra appannato vuoi dalla stanchezza che dalla difficoltà di un rapporto di piena fiducia e sintonia con Paolo VI. Simmetricamente l’aggressività e la combattività della minoranza, raccolta intorno al Coetus e a importanti esponenti della curia (Cicognani, Felici), appare molto più incisiva. La stessa tecnica di partecipazione ai lavori viene progressivamente modificata. Accanto alla ricerca di consensi nell’assemblea conciliare, si sviluppano in misura crescente gli appelli e le pressioni sul papa, che non appare insensibile né a quelli né a queste»[127].

Roger Aubert difatti insiste sul ruolo di «arbitro» assunto dal papa, che «lo portò più volte a ridurre la portata di alcuni testi», ma per lui non è stato «manovrato» dalla minoranza: «fedele al suo ruolo di arbitro, ascoltava attentamente i vari pareri, ma alla fine riusciva sempre a far prevalere il suo punto di vista, prudentemente riformatore»[128].

Mons. Marchetto preferisce parlare della «faticosa e lungimirante mediazione, fra maggioranza e minoranza»[129]. Ci troviamo nella problematica dell’«opera di riduzione delle distanze tra maggioranza e opposizione svolta da Paolo VI»[130].

Conclusione.

La storiografia conciliare su Paolo VI è complessa, e così traduce la complessità dell’evoluzione del concilio sotto il suo pontificato: esitazioni del papa e/o volontà di dirigere, ricerca del consenso e/o interventi per imporre il suo punto di vista, continuità con il suo predecessore e/o rottura, gli studi storici avanzano delle interpretazioni contraddittorie, forse perché la contraddizione è fortemente presente in questa vicenda, e dimostra che la storia è sempre complessa. Giustamente Giuseppe Alberigo ha scritto:

«l’immensa macchina del Vaticano II ha continuato a muoversi come un corpo vivo, con continuità ma anche con sorprese rispetto al suo proprio passato»[131].

Il 7 giugno 1963, al termine del solenne ufficio funebre in memoria di Giovanni XXIII, Mons. Montini ne aveva commemoratola figura:

«io dico che un’altra prospettiva ci si offre davanti, illuminata dalla candida figura di Papa Giovanni: non più indietro guardiamo, non più Lui, ma l’orizzonte che Egli ha aperto davanti al cammino della Chiesa e della storia. Se ancora volessimo tenere fisso lo sguardo sulla tomba, ormai suggellata, potremmo parlare della sua eredità, che quella tomba non può contenere, e dello spirito da Lui impresso alla nostra età che la morte non può soffocare; e saremmo obbligati non più a descrivere il suo passato, ma a presagire l’avvenire che da Lui scaturisce»[132].

Superando i dibattiti storici, i successori dei papi Giovanni e Paolo, hanno simbolicamente scelto il nome di Giovanni Paolo per realizzare la sintesi tra i due pontificati, e sottolineare l’unità profonda nella Chiesa del postconcilio per portarla in altum.

[1] Testo, rivisto dall’Autore, della conferenza tenuta a Brescia il 25.11.2008 su invito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura.

[2] L’Elencus bibliograficus Paulus PP. VI 1963-1978 curato dall’Istituto Paolo VI di Brescia più di vent’anni fa (1981) recensiva già 11341 titoli. Per un aggiornamento regolare vedere il Notiziario dell’Istituto.

[3] Leuven 1998, 602 p.

[4] “Jean XXIII à l’origine de Vatican II”, 3 – 30, ripreso in I protagonisti del Vaticano II, San Paolo, Cinisello Balsamo, 12 -47.

[5] “L’archevêque Montini au cours de la première période du concile”, 31 – 58, estratto da G.B. Montini, arcivescovo di Milano e il Concilio Ecumenico Vaticano II: preparazione e primo periodo, Istituto Paolo VI – Studium, Brescia-Roma 1985, 256 – 287, e “Paul VI promoteur de la déclaration sur la liberté religieuse” 69 -92, da Paolo VI e il rapporto Chiesa-mondo al concilio, Istituto Paolo VI – Studium, Brescia-Roma 1991, 85 – 125.

[6] Giovanni Battista Montini, arcivescovo di Milano e il Concilio Ecumenico Vaticano II. Preparazione e primo periodo, Milano 23 – 25 settembre 1983, Istituto Paolo VI – Studium, Brescia-Roma 1985, XVI – 448.

[7] “Le rôle de G.B. Montini – Paul VI dans la réforme liturgique”, Louvain-la-Neuve, 17 octobre 1984, Istituto Paolo VI – Studium, Brescia-Roma 1986, XII – 88:

[8] “Paolo VI e i problemi ecclesiologici al Concilio”, 19 – 21 settembre Brescia 1986, Istituto Paolo VI – Studium, Brescia-Roma 1988, XX – 720.

[9] “Paolo VI e il rapporto Chiesa-mondo al Concilio”, Roma 22 – 24 settembre 1989, Istituto Paolo VI – Studium, Brescia-Roma 1991, XX – 352.

[10] “Religious liberty: Paul VI and Dignitatis Humanae”, Washington, 3 – 5 june 1993, Istituto Paolo VI – Studium, Brescia-Roma 1995, 202.

[11] “Paolo Vi e l’ecumenismo”, Brescia 25 – 27 settembre 1998, Istituto Paolo VI – Studium, Brescia-Roma 2001, 418.

[12] G.B. Montini, “Discorsi e scritti sul Concilio” (1959 – 1963), Istituto Paolo VI – Studium, Roma 1983, e Paolo VI, “Discorsi e documenti sul Concilio” (1963 – 1965), Istituto Paolo VI – Studium, Roma 1986. I volumi sono stati curati da Antonio Rimoldi.

[13] È interessante notare che nel 1964 Michael Novak ha pubblicato negli Stati Uniti, a Notre Dame, una serie di 24 volumetti di 48 pagine ognuno, dedicati a The Men who make the Council: il Papa è assente nella collana!

[14] Réne Latourelle (ed.), Vaticano II. Bilancio e prospettive venticinque anni dopo (1962 – 1987), Assisi, Cittadella 1987, 2 vol. In questo importante volume, diviso in temi, la parte dedicata ai papi del concilio è assai limitata.

[15] Per esempio A. Melloni (ed.), Vatican II in Moscow (1959 – 1965). Colloquium on the History of Vatican II, Leuven 1997, 351.

[16] Nel poderoso volume degli Atti del convegno Paul VI et la modernité dans l’Eglise, Roma, EFR, 1984, 875, l’intervento sul concilio è trattato da una breve testimonianza del cardinale Vincenzo Fagiolo (“Il cardinal Montini Paolo VI e il Vaticano II”, 561 – 568). In questo volume che riunisce 43 relazioni, al di fuori dell’intervento del cardinale Fagiolo, non è stato previsto nessuno studio sulla questione conciliare in quanto tale, vuoto veramente sconcertante.

[17] A. Melloni, “Tipologia delle fonti per la storia del Vaticano II, in Cristianesimo nella Storia, 1992, 493 – 514; M. Faggioli, – G. Turbanti, Il concilio inedito. Fonti del Vaticano II, Il Mulino, Bologna 2001; G. Alberigo, “Le fonti sul concilio Vaticano II”, in Storia del Concilio Vaticano II, vol. 5, Il Mulino, Bologna 2001, 647 – 654.

[18] E. Fouilloux, “Préface”, in J. Grootaers, Actes et acteurs, op. cit., VII – IX:

[19] H. Fesquet, Le Journal du Concile, Robart Morel Ed., Le Tas 1966, 189 – 191.

[20] G. Cottier, “Interventions de Paul VI dans l’éleboration de Gaudium es Spes“, in Paolo VI e il rapporto Chiesa-mondo, op. cit., 10 -31.

[21] Intervento di R. Aubert, in Ibidem, 30 – 31.

[22] A. Melloni, “L’inizio del secondo periodo e il grande dibattito ecclesiologico”, in Storia del concilio, vol. 3, Il Mulino, Bologna 1998, 19 – 131 (34).

[23] Vedere le note 4 a 10.

[24] Tra i principali: G. Alberigo – A. Melloni (edd.), Verso il concilio Vaticano II (1960 – 1962). Passaggi e problemi della preparazione conciliare, Marietti, Genova 1993, 503; E. Fouilloux (dir.), Vatican II commence… Approches francophones, Leuven 1993, 392; G. Alberigo (ed.), Il Vaticano II fra attese e celebrazione, Il Mulino, Bologna 1995, 250; A. Melloni, Vaticano II in Moscow (1959 – 1965), Leuven 1997, 351; M.T. Fattori – A. Melloni (edd.), L’evento e le decisioni. Studi sulle dinamiche del Concilio Vaticano II, Il Mulino, Bologna 1997, 534.

[25] Storia del concilio Vaticano II (d’ora in poi Storia), Vol. 1, Il Cattolicesimo verso una nuova stagione. L’annuncio e la preparazione, 1995, 549; vol. 2, La formazione della coscienza conciliare ottobre 1962 – settembre 1963, 1996, 664; vol. 3, Il concilio adulto settembre 1963 – settembre 1964, 1998, 590; vol. 4, La Chiesa come comunione settembre 1964 – settembre 1965, 1999, 706; vol. 5, Concilio di transizione settembre – dicembre 1965, 2001, 790.

[26] L’editore francese è Cerf a Paris.

[27] Un primo convegno è stato organizzato il 27 gennaio 2000: P. Chenaux (ed.), L’università del Laterano e la preparazione del Concilio Vaticano II, Lateran University Press, Roma 2001, 131.

[28] Un bilancio storiografico: G. Adornato, “Un papa al microscopio. Bilancio degli studi su Paolo VI”, in Humanitas, 1998, 816 – 859: il concilio occupa poco spazio: 843 – 848. Una tesi recente: R. Marangoni, La Chiesa mistero di comunione. Il contributo di Paolo VI all’ecclesiologia di comunione (1963 – 1978), Roma, PUG, 2001, 593.

[29] G. Potestà, “L’episcopato di G.B. Montini a Milano (1955 – 1963), in Chiese italiane e Concilio esperienze pastorali nella chiesa italiana tra Pio XII e Paolo VI, Marietti, Genova 1988, 91 – 128.

[30] J. Grootaers, De Vatican II à Jean-Paul II le grand tournant de l’Eglise catholique, Paris, Centurion, 1981, 91. Il testo in G. B. Montini, Discorsi e scritti milanesi (1954 – 1963), Istituto Paolo VI, Brescia, 4898 – 4935).

[31] Vedere il Messaggio all’Arcidiocesi del 26 gennaio 1959, il giorno dopo l’annuncio della convocazione di un concilio da papa Giovanni XXIII, in ibidem, 2549 – 2550.

[32] K. Wittstadt, “Alla vigilia del concilio”, in Storia, vol. 1, op. cit., 429 – 517 (431).

[33] L. Crivelli, Montini arcivescovo a Milano, San Paolo, Cinisello Balsamo 2002, 200.

[34] “Omelia al Santuario di Caravaggio”, 12 settembre 1962, in Discorsi e scritti milanesi, op. cit., 5300 – 5305.

[35] G. Alberigo, “L’annuncio del concilio. Dalle sicurezze dell’arroccamento al fascino della ricerca”, in Storia, vol. 1, op. cit., 19 – 70 (31).

[36] L. Crivelli, Montini arcivescovo, op. cit., 195.

[37] A. Fappani – F. Molinari, Giovanni Battista Montini giovane, Marietti, Torino 1979, 171.

[38] E. Fouilloux, “La fase antepreparatoria (1959 – 1960). Il lento avvio dell’uscita dall’inerzia”, in Storia, vol. 1, op. cit., 71 – 176 (129).

[39] A. Acerbi, Paolo VI. Il papa che baciò la terra, San Paolo, Cinisello Balsamo 1987, 55 – 56.

[40] G. Colombo, “Introduzione”, in G.B. Montini, Interventi nella Commissione Centrale preparatoria al Concilio Ecumenico Vaticano II (gennaio – giugno 1962), Istituto Paolo VI – Studium, Brescia-Roma 1992, V – XLIV (XLIV).

[41] J. Grootaers, Actes et acteurs à vatican II, Leuven University Press, Leuven 1998, 38.

[42] J.D. Durand, “Jacques Maritain et l’Italie”, in B. Hubert (ed.), Jacques Maritain en Europe. La réception de sa pensée, Beauchesne, Paris 1996, 13 – 85; Id., “La grande attaque de 1956”, in Cahiers Jacques Maritain, n. 30, juin 1995, 2 – 31; Id. “Maritain e i suoi papi” in G. Galeazzi (ed.), Maritain, i papi e il concilio Vaticano II, Massimo, Milano 2000, 7 – 26; P. Chenaux, “Paul VI e Maritain. Les rapports du montinianisme et du maritanisme”, Istituto Paolo VI – Studium, Brescia-Roma 1994, 121; J. D. Durand, “La furia francese vue de Rome: peurs, suspicions et rejets des nnées 1950″, in M. Lagrée – N. J. Chaline (edd.), Religions par-delà les frontières, Beauchesne, Paris 1997, 15 – 35.

[43] L. Crivelli, Montini arcivescovo, op. cit., 34.

[44] P. Chenaux, Paul VI et Maritain, op. cit., 77 – 78.

[45] A. Riccardi, “Da Giovanni XXIII a Paolo VI”, in G. Alberigo – A Riccardi (edd.), Chiesa e papato nel mondo contemporaneo, Laterza, Bari 1990, 169 – 285 (222); Id., Il potere del papa da pio XII a Giovanni Paolo II, Laterza, Bari 1993, 226.

[46] J. Grootaers, “Il concilio si gioca nell’intervallo. La «seconda preparazione» e i suoi avversari”, in Storia, vol. 2, op. cit., 385 – 558 (535).

[47] Testo in latino in Discorsi e scritti milanesi, op. cit., 5382 – 5384. Un commento di J. Grootaers, “L’attitude de l’aarchevêque Montini au cours de la première période du Concile (octobre 1962 – juin 1963)”, in Giovanni Battista Montini Arcivescovo di Milano e il Concilio, op. cit., 256 – 286 (272 – 273).

[48] Testo latino in Discorsi e scritti milanesi, op. cit., 5426 – 5429. Analisi in J. Grootaers, L’attitude, cit., 274 – 277, 285 – 286.

[49] G. Cottier, “Interventions de Paul VI dans l’éleboration de Gaudium et Spes, in Paolo VI e il rapporto Chiesa-mondo, op. cit., 14 – 31.

[50] In Discorsi e scritti milanesi, op. cit., 5366 – 5370.

[51] G. Cottier, Interventions de Paul VI, cit. 16.

[52] In Discorsi e scritti milanesi, op. cit., 5077 – 5095.

[53] In Ibidem, 5348 – 5361.

[54] “Prima lettera”, 13 ottobre 1962, in Discorsi e scritti milanesi, op. cit., %361 – 5365; seconda lettera, 20 ottobre 1962, Ibidem, 5370 – 5375; terza lettera, 27 ottobre 1962, Ibidem, 5389 – 5391; quarta lettera, 3 novembre 1962, Ibidem, 5395 – 5398; quinta lettera, 10 novembre 1962, Ibidem, 5399 – 5402; sesta lettera, 17 novembre 1962, Ibidem, 5402 – 5406; settima lettera, 1° dicembre 1962, Ibidem, 5422 – 5425.

[55] Settima lettera dal Concilio, cit.; L. Crivelli, Montini arcivescovo, 203 – 204, e J. Grootaers, Il concilio si gioca, cit., 537.

[56] J. Grootaers, Il concilio si gioca, cit., 539.

[57] G. Alberigo, “Imparare da sé. L’esperienza conciliare”, in Storia, vol. 2, op. cit., 613 – 631 (626).

[58] A. Acerbi, Paolo VI, op. cit., 72.

[59] R. Aubert, – C. Soetens, “Le déroulement du Concile”, in Histoire du Christianisme, vol. XIII, Crises et renouveau de 1958 à nos jours, Desclée, Paris 2000, 45 – 82 (55).

[60] G. Colombo, “I discorsi di Paolo VI in apertura e chiusura dei periodi conciliari”, in Paolo VI e il rapporto Chiesa-mondo, op. cit., 246 – 293 (253).

[61] G. Alberigo, “Conclusione. La nuova fisonomia del concilio”, in Storia, vol. 3, op. cit., 513 – 534 (532).

[62] G. Alberigo, “Transizione epocale?”, in Storia, vol. V, op. cit., 577 – 646 (592).

[63] J. D. Durand, “De l’ONU à l’OIT – L’Eglise et la société civile dans les voyages apostolique de Paul VI” in R. Rossi (ed.), I viaggi apostolici di Paolo VI, Brescia-Roma, Istituto Paolo VI – Studium, 2004, 201 – 225.

[64] J. Grootaers, Il concilio si gioca, cit., 538.

[65] C. Falconi, La svolta di Paolo VI, Roma, 1968, citato da G. Verucci, La Chiesa nella società contemporanea, Laterza, Bari 1988, 384.

[66] Citato da A. Melloni, L’altra Roma. Politica e S. Sede durante il concilio Vaticano II (1959 – 1965), Il Mulino, Bologna 2000, 254.

[67] G. Miccoli, “Due nodi: la libertà religiosa e le relazioni con gli ebrei”, in Storia, vol. 4, op. cit., 119 – 219 (194).

[68] L. A. Tagle, “La tempesta di novembre: la settimana nera”, in Storia, vol. 4, op. cit., 417 – 482 (444).

[69] G. Routhier, “Portare a termine l’opera iniziata: la faticosa esperienza del quarto periodo”, in Storia, vol. 5, op. cit., 73 – 195 (193).

[70] Ibidem, 194.

[71] D. Pézeril, “Paul VI et le Concile”, in Le Monde, 27 février 1965, citato da J. Grootaers, “Paul VI et la Déclaration conciliaire sur la liberté religieuse Dignitatis humanae”, in Paolo VI e il rapporto Chiesa-mondo, op. cit., 85 – 125 (123).

[72] G. Colombo, “I discorsi”, cit., 256; G. Martina, “Paolo VI e la ripresa del Concilio”, in PaoloVI e i problemi ecclesiologici, op. cit., 19 – 55 (51).

[73] G. Alberigo, “Concilio acefalo? L’evoluzione degli organi direttivi del Vaticano II”, in Il Vaticano II fra attese e celebrazione, Il Mulino, Bologna 1995, 193 – 238 (212).

[74] C. Soetens, “L’impegno ecumenico della Chiesa cattolica”, in Storia, vol. 3, op. cit., 277 – 365 (356).

[75] Lettera al cardinal Eugène Tisserant, 12 settembre 1964, citata da J. Grootaers, Il concilio si gioca, cit., 540.

[76] J. Grootaers, Paul VI et la déclaration conciliaire, cit., 124.

[77] Ibidem, 111, e L. Mistò, “Paul VI and Dignitatis Humanae. Theory and Practice”, in Religious Liberty, op. cit., 12 – 38. Vedere la testimonianza del cardinale J. J. Hamer, “Un témoignage sur la rélaction de la déclaration conciliaire Dignitatis humanae“, in Paolo VI e il rapporto Chiesa-mondo, 177 – 186.

[78] V. Carbone, “Il ruolo di Paolo VI nell’evoluzione e nella redazione della dichiarazione Dignitatis Humanae“, in Paolo VI e il rapporto Chiesa-mondo, op. cit., 126 – 175.

[79] J. Grootaers, Paul VI e la déclaration conciliaire, cit., 90.

[80] Ibidem, 102.

[81] Ibidem, 125.

[82] J. Grootaers, De Vatican II à Jean-Paul II, op. cit., 92 – 94.

[83] “Lettera del cardinal Paul Poupard a padre Georges Cottier”, in G. Cottier, “Interventions de Paul VI dans l’élaboration de Gaudium et Spes“, in Paolo VI e il rapporto Chiesa-mondo, op. cit., 14 – 31 (22 – 23).

[84] P. Levillain, “La mécanique politique de Vatican II. La majorité et l’unanimité dans un concile”, Beauchesne, Paris 1975, 296 – 298, testo ripreso in “Les choix de Paul VI”, in Le Deuxième Concile du Vatican (1959 – 1965), EFR, Roma, 1989, 462 – 474 (472).

[85] G. Colombo, “i discorsi”, cit. 264.

[86] C. Soetens, “L’impegno ecumenico della Chiesa cattolica”, in Storia, vol. 3, op. cit., 277 – 365 (356).

[87] G. Alberigo, Conclusione. La nuova fisionomia, cit., 517.

[88] G. Alberigo, “Conclusione e prime esperienze di ricezione”, in Storia, vol. 5, op. cit., 547 – 575 (560 – 561). La seduta del 18 novembre è analizzata da C. Theobald, in La Chiesa sotto la parola di Dio, in ibidem, 285 – 370 (366 – 370).

[89] G. Alberigo, “Grandi risultati. Ombre di incertezze”,  in Storia, vol. 4, op. cit., 649 – 671 (668).

[90] G. Turbanti, “Verso il quarto periodo”, in Storia, vol. 5, op. cit., 23 – 71 (46 – 55).

[91] Ibidem, 55.

[92] A. Riccardi, Da Giovanni XXIII a Paolo VI, cit., 240.

[93] J. J. Hamer, “Introduction au colloqui”, in Paolo VI e il rapporto Chiesa-mondo, op. cit., 4 – 9.

[94] G. Routhier, Portare a termine l’opera iniziata, cit., 76.

[95] G. Alberigo, Grandi risultati, cit., 665.

[96] P. Hünermann, “Le ultime settimane del concilio”, in Storia, vol. 5, op. cit., 371 – 491 (383 – 383).

[97] C. Theobald, “La Chiesa sotto la parola di dio”, cit. 330.

[98] G. Miccoli, Due nodi, cit. 198.

[99] G. Routhier, Portare a termine l’opera iniziata, cit., 77.

[100] Ibidem, 193.

[101] G. Alberigo, Transizione epocale?, cit., 602.

[102] J. Grootaers, “Le crayon rouge de Paul VI: les interventions du pape dans le travail des commissions conciliaires”, in M. Lamberigts – Cl. Soetens – J. Grootaers, Les commissions conciliaires à Vatican II, Leuven 1996, 316 – 351.

[103] Citato da C. Theobald, La Chiesa sotto la parola di Dio, cit., 330.

[104] L. A. Tagle, “Paolo VI e il concilio nel 1964” in M. T. Fattori – A. Melloni (edd.), L’evento e le decisioni. Studi sulle dinamiche del concilio Vaticano II, Il Mulino, Bologna 1997, 354 – 369 (355), e B. Ulianich, “Concilio e magistero di Paolo VI”, in Il Regno-Documenti, 1976, 5, 136 – 140.

[105] A. Riccardi, Da Giovanni XXIII a Paolo VI, 230 – 232.

[106] L. A. Tagle, La tempesta di novembre, cit., 434.

[107] Ibidem, 481.

[108] G. Martina, “Paolo VI e la ripresa del concilio”, in Paolo VI e i problemi eccesiologici, op. cit., 19 – 55 (54).

[109] G. Colombo, I discorsi, cit., 254.

[110] A. Melloni, L’inizio del secondo periodo, cit., 34.

[111] G. Alberigo, Conclusione. La nuova fisionomia del concilio, cit., 514 – 515.

[112] G. Alberigo, Transizione epocale?, cit., 602 – 603.

[113] G. Alberigo, Imparare da sé, cit., 627.

[114] A. Riccardi, “La tumultuosa apertura dei lavori”, in Storia, vol. 2, op. cit., 21 – 87 (85 – 86) e Il potere del Papa, op. cit., 181.

[115] G. Alberigo, Conclusione. La nuova fisionomia del concilio, cit., 518.

[116] P. Chenaux, Paul VI et Maritain, op. cit., 76 – 89.

[117] G. Alberigo, Transizione epocale?, cit., 595.

[118] A Riccardi, Da Giovanni XXIII a Paolo VI, cit., 241.

[119] G. Verucci, La Chiesa nella società contemporanea, op. cit., 425.

[120] P. Hünermann, “Le ultime settimane del concilio”, in Storia, vol. 5, op. cit., 371 – 391 (374).

[121] Ibidem, 382.

[122] G. Alberigo, “Criteri ermeneutici per una storia del Vaticano II”, in Il Vaticano II fra attese e celebrazioni, op. cit., 9 – 26 (19).

[123] G. Alberigo, Transizione epocale?, cit., 593.

[124] Ibidem.

[125] G. Colombo, I discorsi, cit., 259.

[126] Ibidem, 263.

[127] G. Alberigo, Conclusione e prime esperienze di ricezione, cit., 549.

[128] R. Aubert – G. Fedalto – D. Quaglioni, Storia dei concili, San Paolo, Cinisello Balsamo 1995, 207 – 273 (227).

[129] A. Marchetto, recensione di “Storia dei Concili ecumenici”, G. Alberigo (ed.), Brescia 1990, in Chiesa e Papato nella storia e nel diritto. 25 anni di studi critici, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2002, 172 – 190, e “Il Concilio Vaticano II: considerazioni su tendenze ermeneutiche dal 1990 ad oggi “, in Archivium Historiae Ponteficiae, 2000, 275 – 286.

[130] G. Alberigo, Grandi risultati, 649.

[131] Ibidem, 670.

[132] In Discorsi e scritti milanesi, op. cit., 5861 – 5865.