“Sebbene stretti nella morsa di un sistema pietrificato, abbiamo indicato un periodo di speranza.” Queste semplici parole di Lech Walesa sono non solo il sigillo delle sue memorie, apparse questa settimana in Francia, che s’intitolano appunto Un cammino di speranza (in italiano stanno per essere pubblicate da De Agostini), ma sono altresì relative, nella loro essenzialità, del senso di una delle più alte pagine di storia, quella scritta dal più spontaneo e numeroso sindacato libero sorto in una società chiusa. Il 31 agosto del 1980 il cuore di quanti amano l’evoluzione pacifica dei popoli verso la libertà si aprì una grande speranza. In un comunicato diffuso anche dal governo polacco si affermava solennemente: “La commissione governativa dichiara che il governo garantirà ed assicurerà il pieno rispetto del carattere indipendente ed autogestito dei nuovi sindacati. Il governo assicurerà ai nuovi sindacati la possibilità di adempiere alla loro funzione essenziale a difesa degli interessi fondamentali dei lavoratori. Il governo garantisce il rispetto del diritto di libertà di parola, di espressione, e di pubblicazione prevista dalla Costituzione nella Polonia popolare.”
Gli operai che iniziarono la lotta il 14 agosto ai cantieri di Danzica, per protesta contro il licenziamento di una lavoratrice presa di mira perché impegnata a creare un sindacato libero, a poco a poco avvertono di essere divenuti oggettivamente i portavoce dell’insofferenza e dell’umiliazione di un popolo intero. La Polonia si strinse attorno agli operai dei cantieri di Danzica, nella cui vittoria intravedeva un futuro diverso, un più corretto rapporto tra la società reale e il potere. “In quei giorni – ricorda Lech Walesa – Danzica diventa una sorta di Mecca in cui affluiscono i delegati d’azienda di tutto il Paese, venuti a portare il loro sostegno e pronti ad unirsi allo sciopero. I migliori giornalisti polacchi accorrono sul posto, anche se non possono pubblicare nulla sugli avvenimenti perché Danzica è in quarantena. Si uniscono a loro uomini del cinema, eminenti storici, sociologi e giuristi. Vi sbarcano alla rinfusa rappresentanti di tutti gli ambienti, di tutte le professioni. Lo sciopero beneficia anche del sostegno della campagna polacca. I contadini consegnano spontaneamente viveri e fanno pervenire del denaro. È una manifestazione di solidarietà senza precedenti nella nostra storia del dopoguerra. Si vedono arrivare ai cantieri delegati di sindacati operai di Francia, Austria, Danimarca, Finlandia, Svezia, Spagna, Germania Federale, Stati Uniti e persino del lontano Giappone.”
Poi tutti ricordiamo come si svolsero gli avvenimenti. Il 13 dicembre 1981 il generale Jaruzelski, primo segretario del Partito Comunista polacco, proclama la legge marziale, incarcera tutti i protagonisti della svolta di quindici mesi prima e l’8 ottobre del 1982 mette ala bando Solidarnosc. Un sindacato che raccoglieva dieci milioni di aderenti è posto fuori legge da un potere che è, invece, privo di consenso e forte solo della protezione del “grande fratello”, l’Unione Sovietica. Il 5 ottobre dell’83 viene conferito all’elettricista Lech Walesa il cui nome è indissolubilmente legato a Solidarnosc il premio Nobel per la pace. A Oslo la voce di Walesa non può risuonare, ma il leader polacco parla per bocca di un suo amico. Sul suo messaggio a Oslo occorre ritornare per capire il dramma della Polonia e la somma di idee e di valori che ancora oggi il nome di Solidarnosc sta ad esprimere.
“Io appartengo ad un popolo – sono parole di Walesa – per il quale il vento della storia negli ultimi secoli ha spesso soffiato contrario. La storia della nostra nazione ci ha lasciato a volte un sapore amaro e un senso d’impotenza. Ma soprattutto essa è stata e rimane per noi una lezione di speranza. L’interesse dell’Europa esige che la pace regni in Polonia, ma la pace non è possibile ottenerla annientando le aspirazioni polacche alla libertà. Il dialogo in Polonia resta la sola via che porta alla pace interna, elemento indispensabile per la pace in Europa. Io guardo il mondo con gli occhi di operaio. Il mio desiderio è che il mondo sia libero della minaccia nucleare e della corsa agli armamenti. Ma desidero anche che non si separi la pace dalla libertà alla quale ha diritto ogni nazione.”
Ogni parola in più toglierebbe nitore e bellezza al pensiero di quell’uomo semplice e coraggioso.
Giornale di Brescia 15.5.1987. Articolo scritto in occasione della mostra “I manifesti di Solidarnosc” promossa dalla Ccdc.