Il 1988 è stato l’anno di Georges Bernanos, in quanto in esso sono coincisi il primo centenario della nascita (20 febbraio 1888) e in quarantesimo anniversario della sua morte (5 luglio 1948). L’opera di Bernanos rivela sempre più un’estrema fecondità e la sua figura si ingrandisce di anno in anno col passare del tempo. Egli fu giudicato all’inizio come un romanziere nato, come forse non ce ne sono stati altri dopo Dostoevskij. Già il suo primo romanzo, Sotto il sole di Satana, quando apparve nel ’26 fu salutato come l’avvenimento letterario dell’anno ed era opera della piena maturità del suo autore, che contava 38 anni e aveva alle spalle anni di attività giornalistica. Poi vennero L’impostura nel ’28, La gioia nel ’29, Un crimine nel ’35. Il ’36 fu l’anno del capolavoro: Diario d’un curato di campagna. Del Diario Robert Bresson fece il suo miglior film, rigorosamente fedele alla verità intrinseca del romanzo: ma Bernanos era già morto da due anni. Né bisogna dimenticare Nuova storia di Mouchette, il Signor Ouine del ’46 e, postumo, Uno strano sogno.
Ciò che colpisce profondamente nella figura di Bernanos è l’unità tra l’uomo, il cristiano e lo scrittore. Mettere in risalto quella interiore, profonda unità di ispirazione e di vita è essenziale per chi voglia incontrare Bernanos. Ebbene questa mi pare l’idea direttrice del volume che Giuseppe Fasoli ha dedicato con intelletto d’amore a quel grande scrittore e vero genio profetico: Georges Bernanos, – La sfida del povero (Edizioni Paoline, Milano).
Il Fasoli vede giustamente in Bernanos come la straordinaria ricchezza spirituale del cristiano sia strettamente congiunta ad una conoscenza molto lucida della vita umana nei suoi aspetti più familiari e nei suoi più misteriosi segreti. «Nello stesso tempo pittore e metafisico, Bernanos, animando il campo della sua visione, fa pensare a Goya. Che gli ravvivi il rilievo o delimiti il contorno dei suoi quadri, la tragedia delle anime trabocca nelle cose e se ne impossessa», nota con efficacia il figlio di Georges Bernanos, Jean-Loup, nel post-fazione appositamente scritta per il libro di Fasoli.
Spirito intimamente drammatico, combattente nato con un fortissimo senso dell’onore e del coraggio, anima troppo libera per farsi fagocitare da chicchessia Bernanos non è solo uno dei grandi scrittori nel Novecento; egli è una coscienza libera e fedele. («Solo l’uomo libero può amare») e, dunque, un implacabile smascheratore di ipocrisie, un polemista formidabile per il quale il dolore e la miseria di ogni uomo non devono essere inutili né possono lasciarci indifferenti. Egli sapeva guardare in faccia il nostro tempo e non piegarsi ai suoi idoli, proprio perché profonda era la sua ansia per l’uomo. Per questo il monarchico Bernanos, era e rimane uno degli spiriti più autenticamente rivoluzionari di questo nostro secolo XX, l’antitotalitario per antonomasia. In tale prospettiva vanno riletti i suoi scritti «politici», così come ormai si leggono quelli di Péguy, liberati dal caduco e dall’occidentale e ricondotti a veicoli di un messaggio che riguarda non una parte politica ma l’intransigenza evangelica.
Un discorso a parte meriterebbe quel libro meraviglioso che è l’unica opera teatrale di Bernanos, Dialoghi delle carmelitane, scritta su dieci quadernetti di scuola nell’inverno 1947-48, in Tunisia, e pubblicati postumi. I Dialoghi sono una composizione tra le più forti e pure e in essi Bernanos manifesta un equilibrio, una intensità e una misura riscontrabili solo nel Diario di un curato di campagna. Il profilo biografico di Fasoli ci aiuta, con la precisione delle cose dette e con la sobrietà di uno stile chiaro, a capire meglio Bernanos e il lettore gliene deve essere grato. La voce di Bernanos, se sappiamo ascoltarla, capovolge le angosce del secolo in speranza ed è capace di aprire varchi all’incontro tra l’uomo e Dio. Se abbiamo il coraggio di non giocare alla superficie delle nostre aspirazioni, questa voce ci obbliga a un profondo esame di coscienza.
Giornale di Brescia, 25 novembre 1989.