Che cosa occorre realmente alla «città» oggi? Che cosa chiede, di specifico, oggi la «città» al cristiano? Rispondere a queste domande è arduo. Qualcuno, però, lo ha fatto, con l’acume e la schiettezza che gli sono abituali, in un modo originale, reinventando, per così dire, un tipo di scrittura in cui si sono cimentati da noi solo due spiriti meditativi che avevano nel sangue la politica: Giorgio La Pira e Giuseppe Lazzati. Nel suo Mattutino di un sindaco (La Scuola Editrice, Brescia, 1985) Cesare Trebeschi testimonia l’impatto di un’esperienza civile con l’interiore ispirazione religiosa, attraverso il commento dei primi tre capitoli degli Atti degli Apostoli, quelli in cui si descrive la nascita della Chiesa. Trebeschi è convinto che un testo storico di così decisiva importanza, sul sorgere e crescere di quella comunità che è la Chiesa, possa risultare più comprensibile e illuminante, se raffrontato alle ansie e ai problemi di una comunità civile. Così colui che è stato sindaco di Brescia per un decennio ha voluto affidare all’intelligenza e al cuore dei suoi concittadini – ideali destinatari del Mattutino – l’idea direttrice, l’intenzione che ha strutturato dal di dentro, concretamente, le scelte politico-amministrative a cui ha concorso in prima persona, anche se con animo sgombro da protagonismo e in condizioni spesso obiettivamente difficili. Ne è risultato un libro vivo, appassionato, dolce e graffiante insieme, cose tutte che già si ritrovano, a ben vedere, nella dedica: «A quanti amano operosamente la città, e non si accorgono di camminare con Lui; a quanti per aver amato fino in fondo la loro città, sono stati – come Lui e con Lui – crocifissi; a quanti inseguono un Dio lontano e lo trascurano nella loro città».
Il tipo di scrittura scelto da Trebeschi è rischioso, per la tentazione che gli è quasi connaturale di trasposizioni immediate dal piano religioso a quello politico. L’ostacolo è stato però felicemente avvertito e aggirato. L’autore nel suo scrutare i primi capitoli degli Atti, come credente che compie un atto religioso secondo tutta la logica della sua fede, sente di continuo che sono proprio quelle pagine a mettere in questione la sua e le nostre coscienze, a suscitare in noi l’attenzione alla quotidianità non effimera, perché in essa ci si rapporta a uomini e non solo a strutture, a risvegliare sempre di nuovo le domande di fondo sul senso del cammino umano, che è ad un tempo di singole persone e di città. E sono proprio le città «luoghi privilegiati di testimonianza». Ma che cosa intende Trebeschi per «testimonianza» e quali sono i requisiti che la rendono attendibile? Il nostro Autore si avvale della sua affinata competenza giuridica per trarre alla luce la forza, la pregnanza di quel concetto, che fa pensare in primo luogo ad una prova; la prova processuale di un fatto, offerta a chi non lo conosca o comunque lo contesti. Già il muoversi all’interno di una situazione, nella quale parti diverse agiscano per il conseguimento di interessi che siano o si presumano contrapposti, impone l’obbligo di render ragione pubblicamente del proprio punto di vista. «La testimonianza – scrive icasticamente Trebeschi – va resa davanti ai suoi destinatari, non davanti allo specchio… È alla città – a quella di oggi – che deve volgersi il testimone, con il linguaggio, non solo verbale, del suo tempo, parlando cioè la lingua dei suoi interlocutori, o facendosi ascoltare con la mediazione di interpreti comprensibili e credibili».
Mattutino di un sindaco bisogna leggerlo con la matita in mano, sottolineando quello che merita di essere, per così dire, rivisitato in un secondo momento. E a far così ci si accorge che gli spunti offerti sono assai numerosi e stimolanti. Così, per fare qualche esempio, belle sono le osservazioni su uno dei dodici, che vien designato come Simone «lo zelota», uomo di fazione, dunque, e di una fazione estrema, e tuttavia apostolo insieme all’altro più celebre Simone, Simon Pietro.
La qualifica di «zelota» pone in qualche modo questo apostolo come «precursore e protettore degli uomini di partito». Ma come concepire oggi la funzione degli uomini di partito? L’esigenza di partecipazione è diffusa, generalizzata e va soddisfatta ai più diversi livelli, se non si vuol trasformare tutta la vita politica e amministrativa in una specie di gerontocrazia estranea, se non ostile, al mondo dei giovani; tuttavia non si può negare oggi l’importanza di un ceto selezionato di persone che al servizio pubblicano consacrano a tempo pieno tutte le loro capacità. Il guaio, a mio avviso, non è il professionismo politico, quanto la pretesa di tanti dilettanti di giocare ruoli per cui non hanno preparazione alcuna.
Puntuali sono le riflessioni sulla positività del pluralismo di prospettive, di metodi, di riferimenti culturali, senza di cui la democrazia langue e si spegne. Anche all’interno di una comunità religiosa l’unità, necessaria nell’essenziale, non deve mai tradursi in uniformità: l’unità non perde forza, né bellezza nella multiformità delle espressioni. Il pentecostale essere insieme «con un cuore solo» non significa con una sola lingua, con una sola mentalità, con una sola cultura. E non bisogna scandalizzarsi se al momento centripeto dell’attesa, della preparazione, succeda poi quello in cui ognuno va per la sua strada e le diversificazioni obbligano a cercare nuovi e più difficili punti d’incontro. Maritain e quelli che in Italia lo hanno conosciuto hanno insistentemente indicato nel rapporto «unità-distinzione», «unità-diversità» la dialettica naturale di ogni convivenza: «Quello che venne definito il più brutto verso della letteratura italiana: “liberi non sarem se non siam uni” può essere letto simmetricamente: non saremo uniti se non saremo liberi, se cioè le nostre singole personalità non potranno realizzarsi ed esprimersi liberamente».
Questo libro insolito spesso sorprende il lettore con osservazioni ed episodi rivelatori di un’umanità delicata. Qualche esempio. «Ricordo – scrive Trebeschi – un colloquio con Paolo VI, che si augurava di non morire prima di aver saputo che questa sua città aveva posto mano all’impresa del Carmine, il quartiere più popolare e più malfamato di Brescia». Nel taccuino del sindaco, presente nel 1983 a Nuova Delhi, alla conferenza mondiale dell’energia, sono trascritte le parole quanto mai suggestive del canto con cui si erano aperti i lavori: «Comune sia la vostra preghiera, come il vostro scopo, comune il vostro deliberare, comuni siano i vostri desideri. Uniti siano i vostri cuori, unite le vostre intenzioni, perfetta sia tra voi l’unione». Il pensiero corre tante volte in queste pagine ai nuovi martiri della libertà, a Vittorio Bachelet, a Moro, ai magistrati caduti nell’adempimento del loro dovere. Né posso tacere una delle decisioni prese dal consiglio comunale di Brescia, che da sola vale più di tante altre, almeno per quanti guardano alla politica con occhi umani: la gestione del verde pubblico affidata a cooperative di ex drogati (i quali, peraltro, hanno splendidamente meritato la fiducia riposta in loro!).
Le sfide poste dalla situazione attuale alla coscienza sono tante e tuttavia il problema numero uno della città rimane, anche per l’autore del Mattutino, quello dei giovani. Trebeschi non si nasconde affatto ciò che può deturpare l’anima dei nostri figli (abitudini e mentalità consumistiche, paura di rischiare, diffusa indifferenza morale), né quanto gli adulti rendano disagevole l’assunzione di responsabilità ai giovani nella vita politica ed amministrativa. E tuttavia c’è ragione di sperare in loro e per loro quando li si vede – ed è uno dei «segni» tra i molti – accorrere a migliaia, liberamente, su invito di una libera associazione culturale, ed incontrare due grandi difensori degli oppressi come Helder Camara e il fondatore dei Amnesty International, Peter Benenson.
La Gaudium et spes vedeva riposto il futuro dell’umanità nelle mani di coloro che sono capaci di trasmettere alle generazioni di domani ragioni di vita e di speranza. Il vero ruolo del cristiano oggi nella città forse è proprio qui: farsi, ognuno nel campo in cui opera, occasione e strumento di risveglio delle coscienze, schiudere ad esse l’orizzonte del Vangelo, osare con il coraggio della fede.
Studium, n. 5 – 1986.