I-Morcelliana «cattolica e intelligente»
1925 – 1995. Settant’anni non sono pochi e sono moltissimi per un’editrice che programmaticamente coniuga la coscienza di una tradizione bimillenaria, come quella cristiana, e l’ascolto delle voci più significative dell’oggi, l’impegno a dare un proprio contributo al rinnovamento religioso e civile del nostro Paese. In Italia col 3 gennaio 1925, sei mesi dopo il delitto Matteotti, il fascismo poneva fine alle promesse di «normalizzazione», inaugurando un vero e proprio regime dittatoriale, il secondo in Europa dopo quello comunista. Ebbene, in quello stesso anno, a Brescia, pochi spiriti lungimiranti e coraggiosi – l’avvocato Fausto Minelli, i padri filippini Carlo Manziana, Antonio Cottinelli e Giulio Bevilacqua, il professor Mario Bendiscioli e il sacerdote Gian Battista Montini – decidevano di dar voce a un cattolicesimo moderno, culturalmente serio, in dialogo fraterno con le altre Chiese cristiane.
Del comune sentire di quegli uomini, diversi fra loro e tutti dotati di forte personalità, e dal loro impegno nacque l’editrice Morcelliana, che nel nome si collegava all’insigne umanista e asceta clarense Stefano Antonio Morcelli (1737 – 1821). Il primo libro pubblicato in carta india fu I Vangeli, nella bella traduzione di mons. Gramatica e con i sobri fregi di Vittorio Trainini. Non si può certo pensare a un disegno definito a priori da parte di chi dette inizio a quell’impresa e poi puntualmente eseguito quasi fosse il progetto di una casa di mattoni e cemento; come tutto ciò che è vivo, anche la Morcelliana conosce esitazioni, andirivieni, scacchi e felici intuizioni. Ed è per questo che i sette decenni della sua vita si comprendono meglio se ci sforziamo di periodizzarli in aderenza alle risposte date dall’editrice al mutare delle situazioni storiche. Occorre, infatti, distinguere tre tappe nel suo cammino: il ventennio 1925 – 1945; i quindici anni del dopoguerra, 1946 – 1960; e infine gli ultimi trentacinque anni.
Una cosa colpisce subito nei «fondatori» : essi furono mossi sinceramente dall’ansia di spalancare le finestre per fare entrare nella cultura italiana aria fresca e pulita, di smuovere i cattolici da quell’atmosfera stagnante che li avvolgeva fin dalla repressione del modernismo e da quel conformismo che rende difficile la vita a coloro che potremmo chiamare i «novatori ortodossi». Mi pare che, senza sminuire l’apporto di altri, si possa dire che nel primo ventennio le figure che più hanno contribuito a sprovincializzare la cultura italiana, e in essa la cultura cattolica, siano stati Mario Bendiscioli e Giuseppe De Luca. Il primo, bresciano verace, uomo di salda fede e di spiritualità filippina, storico di razza e sagace scopritore di quanto di meglio si andava pubblicando in Germania, in Inghilterra e in Francia; l’altro, un prete lucano di straordinaria intelligenza e acribia filologica, un uomo dagli interessi molteplici e di raffinato gusto estetico.
Bendiscioli portava in Italia opere come L’anima cristiana dell’Europa di Hilaire Belloc e L’ortodossia di Gilbert K. Chesterton, aprendo le porte a quei teologi tedeschi che finalmente avevano abbandonato il linguaggio controversista e gli schemi della manualistica scolastica. Due nomi sopra tutti: Karl Adam – l’autore di opere quali L’essenza del cattolicesimo, Cristo nostro fratello (di cui fu imposto il ritiro dalla vendita), Gesù il Cristo – e colui che poi sarebbe stato riconosciuto, nella sua Germania e nel mondo, uno dei più grandi pensatori cristiani del nostro secolo, Romano Guardini.
Giuseppe De Luca era entrato in contatto con la Morcelliana agli inizi del 1930 tramite Gian Battista Montini; ben presto, però, l’interlocutore diretto e unico fu l’avvocato Fausto Minelli, instancabile nel sollecitare e nel proporre idee e progetti di lavoro. All’influenza di De Luca occorre riportare almeno quattro collane: «Per Verbum ad Verbum», in cui si pubblicavano testi ascetici e mistici; «I compagni di Ulisse», che inaugurava in Italia le monografie critiche su personaggi di primo piano come Epicuro, Socrate, Beaudelaire, Proust, Rimbaud, Bernanos, Moro e tanti altri; i «Confidenziali», che comprendeva, tra gli altri, scritti di Alvaro, Govoni, Moretti, Papini, Max Jacob, Rilke; e i «Fuochi», gli agili, godibilissimi volumetti di autori appartenenti ad epoche e spazi culturali molto diversi.
Il prete lucano svolse soprattutto un incomparabile lavoro di revisione e di consiglio. «Dato che la Morcelliana vuole specializzarsi in libri di pensiero, sarebbe utile che tenesse la parola» scriveva nel giugno 1926 a Fausto Minelli. Il fatto è che, malgrado le differenze fra De Luca e i «padri fondatori» della Morcelliana, lo scopo a cui l’uno e gli altri miravano era lo stesso: fare della Morcelliana, come scriveva nel ’34 De Luca a Giovanni Papini, una «casa insieme cattolica e intelligente… cristiana e non dei preti, la via ad avere, per Dio, un laicato cristiano in piedi».
Nel ventennio ’25 – ’45 l’editrice bresciana puntò decisamente a far conoscere quelle opere che andavano al di là delle diverse scuole di teologia dogmatica e aiutavano i lettori a risalire direttamente alla Sacra Scrittura. Si voleva cioè restituire la parola di Dio all’uomo contemporaneo attraverso un’esegesi aggiornata, «non più pavida – annota Giulio Colombi – dell’ossessione di imboccare i vicoli ciechi del modernismo incredulo alla Loisy». Citiamo tre opere che segnarono quella svolta: La religione personale di Leonce de Grandmaison, la Sinossi dei quattro Evangeli e L’Evangelo di Gesù Cristo di Maire-Joseph Lagrange. Quest’ultima fu pubblicata grazie al successo di un’apposita sottoscrizione.
C’è, inoltre, nella storia della Morcelliana un altro capitolo che merita di essere conosciuto. Quando il nazionalsocialismo giunse al potere, l’antigiudaismo divenne in Germania una specie di atto di lealtà verso lo Stato. Contro un così spaventoso equivoco levò allora la sua voce il cardinale Faulhaber, arcivescovo di Monaco nelle prediche d’Avvento del 1933. Ebbene, la Morcelliana fece conoscere immediatamente, nella traduzione di Giuseppe Ricciotti, il testo di quelle prediche raccolte nel volumetto Giudaismo cristianesimo germanesimo (1934). Faulhaber difendeva a viso aperto i valori religiosi, morali, sociali dell’Antico Testamento e, rivolgendosi agli ebrei, faceva sue le parole che alcuni decenni prima ad essi aveva rivolto il cardinale Manning: «Io non capirei la mia religione, se non avessi venerazione per la vostra».
Nel ’36 l’analisi della spaventosa realtà del nazismo registrava un vero e proprio salto qualitativo grazie al volume Germania religiosa nel Terzo Reich. Bendiscioli documentava una vicenda che era in pieno svolgimento, su cui però i fatti accaduti e i documenti acquisiti erano tali e tanti da parlare da soli ed in modo terribilmente eloquente. Su problemi che riguardano così da vicino le coscienze e la dimensione pubblica della libertà religiosa, «il disinteresse sarebbe incoscienza colpevole», scriveva il Nostro, ammonendo che «nella coscienza religiosa s’annidano forze risolute e decise che solo a grave prezzo e con palese ingiustizia possono essere soffocate o anche solo mortificate». Nel marzo ’37 Pio XI rese pubblica la condanna del razzismo nazista con l’enciclica Mit brennender Sorge e Bendiscioli scrisse allora Neopaganesimo razzista.
L’anno successivo il fascismo introduceva nella legislazione italiana la persecuzione antisemita. La protesta cattolica contro l’antisemitismo ebbe, dunque, uno dei suoi centri propulsori, a Brescia, nella Morcelliana. Fu quello il preannuncio, in un certo senso il primo inizio, della resistenza come rivolta morale religiosa al disumanesimo nazifascista.
II-I Grandi libri e Humanitas
Dopo il secondo conflitto mondiale, negli anni che vanno tra il 1945 ed il 1960, la Morcelliana si prefigge, principalmente, questi compiti: offrire alla cultura italiana un orizzonte di ricerca finalmente aperto alla esplorazione congiunta del mistero dell’uomo e di Dio; fronteggiare in modo critico la sfida marxista; approfondire la riflessione su alcuni momenti cruciali della storia e sulla stessa teologia della storia. Gli autori che la Morcelliana propone in campo filosofico in quei tre lustri sono degni della più alta considerazione. Tra gli italiani ricordo Michele Federico Sciacca con il suo S. Agostino (1949), Augusto Guzzo con la stupenda opera L’io e la ragione (1947) e Nicola Petruzzellis che puntualizzava in L’idealismo e la storia le ragioni che portano al superamento dello storicismo hegeliano e neo-hegeliano. In quegli anni videro la luce opere quali il grande Diario (1a ed. 1948 – 1951) di Kierkegaard, L’intuizione creativa nell’arte e nella poesia (1957) di Maritain e Lo spirito della filosofia medioevale (1947) di Gilson.
Ognuna di queste opere è un capolavoro e merita di entrare nella mente e nel cuore di ogni persona colta e pensosa. Qualche anno fa Umberto Eco, ormai all’apice della sua fama, confidava ad un famoso intervistatore che lui sarebbe certamente «entrato nella storia», ma solo per il fatto che Gilson «aveva citato in una nota de Lo spirito della filosofia medioevale un suo studio sull’estetica di San Tommaso». Nessuno può immaginare che cosa, ad esempio, significò per noi, che allora eravamo giovani, disporre finalmente, grazie alla fatica di Cornelio Fabro, della traduzione dal danese del «giornale dell’anima» di Kierkegaard, autentico Socrate del Nord. Kierkegaard è, infatti, uno dei pensatori universali del cui tormentoso pungolo abbiamo sempre più bisogno in un’epoca come la nostra.
Tra i grandi libri della Morcelliana occorre ricordare Il dramma dell’umanesimo ateo di Henri De Lubac (1949). In esso il lettore ripercorre, testi alla mano, il tragico cammino dell’ateismo da Feuerbach a Nietzsche, la grottesca consacrazione dell’umanità ateizzata e sproblematizzata nello scientista Comte ed il duello Nietzsche-Dostoevskij. Effettivamente nel Dante russo l’ateismo è spinto all’estremo, assai prima di Nietzsche, ma è anche nello stesso tempo radicalmente confutato. In quel libro sono da meditare in particolare le pagine su Socrate, che per Nietzsche è il preludio alla decadenza e secondo Kierkegaard è l’«Antico Testamento», il preannuncio sublime di Cristo presso i Greci.
Di Romano Guardini vennero allora tradotti due libri che ebbero un notevole impatto: Il mondo religioso di Dostoevskij (1951) e Pascal (1956). Il discorso di Guardini su quei geni che sono anche dei «grandi cristiani», fa emergere sia i diversi ambiti dell’esperienza umana, sia il loro reale convergere sulle domande fondamentali dell’esistenza, sui temi eterni della natura e del destino dell’uomo. Con il suo Pascal, Guardini tocca forse il punto più alto nella pratica del metodo fenomenologico finalizzato all’intuizione della verità nel mondo interiore dell’uomo e nell’interpretazione del messaggio cristiano. I libri di Guardini tracciano itinerari di passione e di scoperta, riproponendo ad ogni lettore, attraverso stimoli culturali diversi ma tutti di alta qualità, il significato della sua decisione e del proprio valore di fronte a sé e agli altri, ma anche di fronte a Dio perché, in ultima analisi, solo chi conosce Dio, conosce l’uomo. Di qui la spontanea carica educativa di scritti come La fine dell’epoca moderna, Il potere, L’essenza del cristianesimo, L’esistenza e la fede, Lettere sull’autoformazione. la parola di Romano Guardini risalta per la calma assenza della controversia e per la sua visione dell’ortodossia, che è cattolica in quanto universale, inclusiva cioè e non esclusiva, capace di penetrare fino in fondo l’umano proprio perché idonea ad integrarlo nel compimento cristiano. Nella lotta contro la presente negazione di Dio, Guardini ci ha insegnato che il confronto deve essere condotto sempre sul terreno dell’avversario. Si deve dimostrare che il mondo, con la sua pretesa assoluta, contraddice se stesso; che esso non può volere il regno dell’uomo, senza oltrepassare allo stesso tempo i limiti stessi di tale regno; che esso, ignorando l’ultima realtà, non può rimanere sempre attaccato alla penultima, per così dire, senza perdere anche quella. E poiché il compito di realizzare un’esistenza cristiana non è affidato all’uomo in genere ma a noi, figli dell’epoca moderna, la risposta all’appello evangelico deve dunque scaturire dalla profondità dell’esistenza storica dell’uomo moderno. Guardini lottò contro l’ateismo, il totalitarismo, l’idolatria tecnologica, cioè contro quelle illusioni tragiche che portano l’uomo moderno alla schiavitù spirituale, al caos, al demonismo. Egli sapeva che il mondo storico è proiettato «in avanti» e la risposta all’interrogativo «che cosa ne sarà?» è inseparabilmente bipolare per ogni cristiano, chiamato a congiungere ed a testimoniare una speranza trascendente ed una responsabilità immanente, assunta con virile coraggio.
Ebbero larga diffusione anche le opere di altri pensatori: Sertillanges, con Il cristianesimo e la filosofia (1948) e soprattutto con i due volumi su Il problema del male (1951 e 1954), che rimangono tuttora insuperabili nella trattazione di una questione che è di per sé un tormento; il tomista laico tedesco Joseph Pieper, con le sue nitide, profonde pagine sulle virtù fondamentali e Sulla speranza; e soprattutto il francese Jean Daniélou, uno degli spiriti più larghi e penetranti del Novecento, autore di due opere di eccezionale importanza che riescono a darci il senso spirituale che pulsa negli avvenimenti della storia dell’umanità: Il mistero della salvezza delle nazioni (1954) ed il Saggio sul mistero della storia (1957). Furono veri e propri eventi editoriali la traduzione nel ’52 dei Dialoghi delle Carmelitane di Bernanos e l’avvio della pubblicazione del rigoroso Commento al Nuovo Testamento noto in Germania come Regensburger Neues Testament, nel ’56; nel ’57 si iniziò la pubblicazione della teologia morale di Häring La legge di Cristo.
A vivificare l’attività editoriale concorre anche, a partire dal 1946, l’anno in cui fu fondata la rivista mensile «Humanitas», i cui direttori fino al 1960 furono Michele Federico Sciacca per la filosofia, Mario Marcazzan per la letteratura, Giulio Bevilacqua per la problematica religiosa e Mario Bendiscioli per la storia. Tra i quaderni di «Humanitas» apparvero ben presto Autobiografie di giovani del tempo fascista (1947), La psiche germanica (osservazioni sulla psicogenesi del totalitarismo) di G. Lami (1948) ed il breve denso saggio La persona ed il bene comune di J. Maritain (1948). Unitamente agli intellettuali delle altre nazioni europee, cristiani e non cristiani discutevano liberamente in «Humanitas» temi a cui furono dedicati altrettanti numeri speciali: La cultura oggi ed i suoi problemi (agosto-settembre ’49), Cattolicesimo e marxismo (maggio ’50), Che cos’è l’Europa (agosto- settembre ’50), La Germania oggi (aprile ’51), Idea europea e concetto di nazione (ottobre- novembre ’56). Vi sono in quei fascicoli non solo scritti «datati», il cui valore si esaurisce appunto nell’attestare un certo orientamento degli animi, ma anche scritti in cui si esprime una nobile ansia di chiarezza morale ed intellettuale, un’ardita prospettazione del futuro. La rivista informa assiduamente sulla persecuzione nazista alle chiese cristiane, rivaluta il cattolicesimo liberale e Rosmini, difende apertamente Maritain dall’ingiusto attacco di P. Messineo, esprime giudizi critici attentamente meditati su P. Gemelli e sui Patti Lateranensi. Ma il libro che meglio sa renderci la temperie spirituale di quel tempo, in cui così forte si avvertiva il bisogno del rinnovamento religioso e civile, rimane Equivoci – Mondo moderno e Cristo del filippino Giulio Bevilacqua, uscito nel 1950. Lo scritto più significativo di Padre Bevilacqua si apre sul celebre saggio, d’intonazione scopertamente bergsoniana, «Religione dinamica e religione statica». In quel libro chi scrive vede ancora adesso non solo l’eco affascinante di un tempo a suo modo eroico, ma vi sente il canto gioioso dell’avvenire. Quell’avvenire avrà presto un nome: Concilio Vaticano II.
III-1960 – 1995: il nuovo corso della Morcelliana: la storia a tutto campo e il dibattito conciliare
Con il 1960 ha inizio il nuovo corso della Morcelliana. I fondatori avevano esaurito il loro compito e cedevano il passo, anche per ragioni di età, alla nuova generazione. Stefano Minelli, figlio dell’avvocato Fausto, assumeva allora la direzione della casa editrice e della rivista «Humanitas». Nel mutato clima politico e culturale, e soprattutto religioso, con l’avvento di Giovanni XXIII e con il pontificato di Papa Montini, le esigenze di fondo che avevano caratterizzato i primi trentacinque anni dell’editrice, dal 1925 al 1960, potevano trovare finalmente una più diretta esplicitazione e sviluppi di alto valore innovativo per il Paese e per la Chiesa.
L’editrice dedicò grande attenzione, grazie anche alla presenza di Gabriele De Rosa, alla storia civile e politica dei cattolici italiani, né meno rilevante fu la decisione di pubblicare l’Opera omnia di Maritain e Guardini. Appassionato fu l’impegno con cui prima si cercò di alimentare, con apporti di notevole valore, il dibattito conciliare, e poi di sorreggere l’immenso lavoro intrapreso dalla chiesa cattolica per una nuova auto-coscienza della sua missione nel mondo. Il Concilio fu veramente una mirabile primavera dello Spirito e quelli furono anni di grandi speranze, di slanci generosi e anche di conquiste che ci auguriamo irreversibili. I tre volumi di Raniero La Valle e quelli del rosminiano Carlo Riva, ora vescovo, ci dettero la cronaca viva degli avvenimenti conciliari. Fu allora che fecero il loro ingresso alla Morcelliana Yves Congar, Urs von Balthasar e, tra i protestanti, Wolfhart Pannenberg. Né si può passare sotto silenzio l’impresa di far conoscere in Italia quella sorta di teologia moderna che è Sacramentum Mundi, diretta da Karl Rahner.
A parte qualche eccessivo credito concesso all’uno o all’altro collaboratore, va riconosciuto alla Morcelliana il merito di non esser caduta nelle panie del progressismo scriteriato, la cui superficialità e rozzezza alimentò la crisi post-conciliare, una delle più spaventose che la Chiesa abbia affrontato nel corso bimillenario della sua storia. Occorreva non cedere assolutamente al riflusso conservatore, e più spesso apertamente reazionario, che tentava molti; ma occorreva altresì resistere con altrettanta determinazione al puerile miraggio della Gerusalemme celeste realizzata miracolosamente in terra dalla dittatura redentrice. Come dimenticare che per tanti, che pure si dicevano cattolici, la suprema regola era l’ubi Lenin ibi Jerusalem di Ernst Bloch? A contrastare gli opposti estremisti, che minacciavano di distruggere la coscienza cattolica, si levarono allora due voci di intensa passione e di profetica lucidità: Maritain con Il contadino della Garonna e l’oratoriano francese Louis Bouyer con il suo graffiante Cattolicesimo in decomposizione, e l’una e l’altra opera furono pubblicate dall’editrice bresciana.
L’altro filone, come già si è accennato, che segna fortemente la terza fase della Morcelliana, è lo sviluppo a tutto campo della ricerca storica. Gli studi storici abbracciano un arco di tempo di oltre un millennio, dal L’Europa nell’età medioevale dal 900 al 1250 di K. Hampe ai nostri giorni. Spiccano due opere di eccezionale interesse: Alle origini dello spirito laico di G. De Lagarde e Storia della tolleranza nel secolo della Riforma di J. Lecler. Un’opera che rimarrà tra i classici della storiografia è poi la Storia del Concilio di Trento di H. Iedin. Marcocchi sviluppa il tema La Riforma cattolica, con netta preferenza per «il momento dell’iniziativa dal basso». Grande successo ha poi avuto l’opera di G. Martina Storia della Chiesa – Da Lutero ai nostri giorni, in quattro volumi, notevole per lo sforzo di obiettività. Tra i documenti di storia e, a nostro avviso, di spiritualità il primo posto va ai libri sull’eroica resistenza di cristiani tedeschi alla statolatria razzista di Hitler. La via tedesca di Fr. Muckermann, Bernhard Lichtenberg, un martire cristiano contro il nazismo di O. Ogierman, le lettere alla moglie di H. James von Moltke pubblicate col titolo Futuro e Resistenza, La Rosa Bianca di R. Guardini. In questa rassegna occorre, infine, dare il giusto rilievo a due scritti di Alcide De Gasperi: Lettere sul Concordato e i due volumi De Gasperi scrive. L’epistolario fa sì che rispetto al De Gasperi della politica prenda corpo il De Gasperi della storia, perché delinea dello statista un’immagine assai più ricca di sfumature e più profonda di quella accreditata dal suo stesso partito e dagli avversari. Le novità dell’ultimo periodo appaiono numerose, tuttavia occorre almeno elencare le altre di cui non è stato possibile far cenno: lo sviluppo dato alle «Scienze umane», la preferenza per opere di chiara impostazione ecumenica, il rilancio di Newman e di Rosmini, l’amicizia delicata nei confronti del mondo ebraico a cui è dedicata la collana «Shalom», le varie collane di filosofia e quelle di «Religione e cultura».
In conclusione, il bilancio dei settant’anni di vita dell’editrice bresciana attestano una presenza di cui sarebbe ingiusto dissimulare il ruolo. La Morcelliana è stata sostanzialmente capace di darsi uno stile ed una precisa ragion d’essere nel mondo della cultura. La vita individuale e sociale ha bisogno di linfe e di reattivi, ma gli uni e le altre scaturiscono solo dalle sorgenti più pure della spiritualità e dalla fatica di pensare.
I libri della Morcelliana ci aiutano a risalire alle prime e a praticare il nostro mestiere di uomini.
Giornale di Brescia, 4, 5 e 6 ottobre 1995.