Giornale di Brescia 14 aprile 1987. Articolo scritto in occasione della presentazione del volume di Vittorio Messori “Inchiesta sul cristianesimo”.
Benedetto Croce, che pure volle essere il filosofo dello storicismo assoluto, proclamava apertamente la superiorità della rivoluzione cristiana non solo su quante altre la precedettero nel corso del cammino umano, ma anche su quelle che la seguirono. Ciò che ci si deve chiedere è se un giudizio del genere, lo si voglia o no, suoni come un’implicita affermazione della sconcertante, sublime trascendenza di Cristo, che quello slancio vitale ha immesso nell’umanità. Il fatto è che con Gesù Cristo – il “piccolo ebreo”, come lo chiamava Nietzsche – bisogna fare i conti.
Vittorio Messori è di nuovo tornato a fare i conti con il personaggio chiave della storia umana nel volume “Inchiesta sul Cristianesimo”, ponendovi come sottotitolo, a scanso di equivoci, la domanda che nel Vangelo un apostolo rivolge a Cristo:“Sei tu il Messia che deve venire?”. Non si tenta, quindi, di compiere una scorribanda attraverso i secoli, per rintracciare miserie e grandezze dell’una o dell’altra cristianità, ma si pone al centro della discussione un solo interrogativo: quello sulla realtà di Cristo e su ciò che la sua parola ha significato e significa per noi, per l’Occidente e, più semplicemente, per ogni uomo.
Giornalista di razza, che ha collaborato per anni attivamente a “Stampa Sera” e a “Tuttilibri”, Messori è di formazione laicista. Poco a poco ha preso tuttavia coscienza della dimensione metafisica e religiosa dell’uomo, senza lasciarsi intimidire dai pregiudizi e dalle preclusioni di una mentalità storicistica o scientista. E da quando la sua intelligenza si è aperta alla fede, egli si è rifiutato di porre sotto silenzio la domanda religiosa che, in modo o nell’altro, tutti ci coinvolge, in maniera esplicita o sottintesa, pur con sensibilità diverse e a un differente livello di approfondimento. Dalla decisione di muovere incontro al fatto cristiano, non per curiosità erudita, ma per verificarne il valore di verità, ha preso l’avvio una ricerca meditata, attenta alle motivazioni di chi dubita o rifiuta non meno che alle voci di quanti consapevolmente hanno posto il Cristo dei Vangeli a fondamento della propria vita. Ne è risultato un libro drammatico e appassionante, rigorosamente documentato, scritto non a tavolino, attraverso cioè altri libri, bensì mediante l’incontro diretto con persone vive, che non eludono i problemi e non si nascondono dietro espressioni di comodo e sorrisi di circostanza.
Aprono il volume gli alfieri del “no” a Cristo. Uno di loro è Umberto Eco, il semiologo che si diverte col suo allegro nominalismo nichilista. Ma Eco prende in giro innanzitutto gli zelanti, che esultano per i suoi falsi storici, e, in fin dei conti, apprezza di più quanti hanno compreso come sia massiccia la dose di “veleno” – il termine è suo – immessa dai suoi scritti nei super-market della cultura di largo consumo. Eco non concede nulla “al sistema incoerente e illogico della propaganda ateistica” e ricorda la risposta che il ciabattino spagnolo dette ai missionari di certe sette che lo avevano avvicinato: “Non credo nel Dio cattolico, che è il solo vero, perché mai dovrei credere al vostro?”. Tra gli agnostici vanno annoverati anche lo scrittore Leonardo Sciascia e lo storico Luigi Firpo. E tuttavia il primo dichiara: “leggo i Vangeli; e anche spesso. Ne tengo una copia in città, a Palermo, e l’altra nella casa di Racalmuto, a portata di mano. Non c’è quasi giorno che non lo riprenda”. E il secondo: “Bisogna pure che noi laici ci decidiamo a riconoscere la straordinaria importanza dell’esperienza religiosa”. Il laico Firpo, sì, è ben lui a dolersi che i costi della crisi seguita al Concilio siano stati altissimi (“Sembra che il cattolicesimo debba decomporsi”) e che le “teologie politiche” non abbiano colto la dimensione trascendente come fulcro della fede.
Sul fenomeno della conversione, Messori interpella illustri testimoni francesi: l’ex-marxista Andrè Frossard, figlio del Gramsci francese, che ogni mattina pubblica un corsivo sferzante sulla prima pagina di “Le Figaro”; lo scrittore Louis Pauwels, già leader prestigioso del neo-paganesimo della destra più radicale; e Aaron Jean-Marie Lustiger, ebreo, figlio di ebrei polacchi, che ha portato la stella gialla sulla giubba e ha perduto la madre ad Auschwitz, ora cardinale arcivescovo di Parigi. Sono casi che fanno pensare, ma le pagine migliori del libro sono a mio avviso quelle dedicate ad altri personaggi. Ad esempio, all’ebreo David Flusser, studioso eminente di Gesù, a cui non sfugge affatto il carattere rivoluzionario del protagonista del Vangelo rispetto alle coordinate della tradizione giudaica. D’altra parte la profonda ammirazione per i fratelli maggiori nella fede non può farci condividere l’obiezione che essi muovono alle chiese cristiane di aver sempre più nettamente distinto Cesare e Dio, la comunità religiosa e i compiti politici. Cosa, questa, che un acuto studioso di politica, Gianfranco Miglio, definisce “la più straordinaria novità del Cristianesimo”.
L’adesione aperta al Cristo dei Vangeli e alla Chiesa cattolica è testimoniata nel volume del Messori da due tra i maggiori maestri del nostro secolo, Arturo Carlo Jemolo e Jean Guitton. L’uno storico e giurista eminente, una delle rarissime personalità che sia divenuta forza costitutiva della coscienza democratica del Paese; l’altro filosofo e studioso delle più alte esperienze religiose, da Newmann a Paolo VI. Entrambi sereni cultori della ragione critica e grandi cristiani. In loro compagnia, il lettore farà bene a sostare, come quando si va in montagna e ci si ferma a godere un panorama a cui la straordinaria limpidezza del cielo conferisce la capacità di darci il presentimento dell’infinito.
I laicisti che si portano appresso il peso di un’eredità di sospetto e persino di disprezzo nei confronti del Cristianesimo – e chi di noi non ha qualcosa da ripudiare? – possono trovare fortemente stimolanti e perfino graffianti le riflessioni di due pensatori come Pietro Citati ed Elèmire Zolla; ma nessuno li accuserà di ignoranza dal punto di vista laicista perché anch’essi sono partiti da una cultura del rifiuto nel loro itinerario spirituale. Un’ultima connotazione. C’è un gruppo a sé, atipico per così dire, di spiriti che meritano un ascolto particolare. Messori li chiama “i cattolici non credenti”; il primo termine spetta loro in qualche modo di diritto per il rispetto che portano verso il mistero, per il senso cristiano delle loro grandi scelte morali, per l’apprezzamento pieno e l’accettazione cordiale dell’eccezionale apporto cristiano alla civiltà europea e universale. In Italia possono, a giusto titolo essere chiamati così Geno Pampaloni, Giovanni Arpino e Claudio Magris. Messori avrebbe potuto aggiungere a quei nomi un altro: Nicola Abbagnano. Ebbene, non è azzardato dire che pochi uomini e pochi credenti amano come loro la prospettiva cristiana della vita, a cui pure non hanno dato sul piano religioso il loro assenso. Chi scrive questa nota stima e ama quegli uomini. Non si possono, infatti apprezzare veramente – come diceva Pascal – se non due generi di persone: coloro che, avendolo trovato, servono Dio con tutte le loro forze e coloro che, non avendolo trovato, lo cercano gemendo.