É cominciato l’ultimo decennio del secolo ed è tempo di bilanci: occorre misurare il cammino percorso e cogliere nel presente ciò che annuncia il futuro, meglio ciò in virtù del quale il futuro è già in mezzo a noi. Bilanci del genere sono stati tracciati in filosofia, nella storia civile, in storia dell’arte, nelle scienze. Mancava però, in un ambito che si rivela sempre più decisivo per chiunque voglia interrogarsi sull’avventura umana e sul ruolo della fede cristiana in essa. Ebbene ora la lacuna è stata colmata con un’opera di grande respiro, La prima che sia apparsa in Europa e nel mondo, non avendo nessuno tentato finora di realizzare un progetto così impegnativo: La Teologia del XX secolo, edita dalla Queriniana di Brescia scritta dal bresciano Rosino Gibellini.
La Teologia del XX secolo si apre significativamente con le parole con cui nel 1930 il filosofo Ludwig Wittgenstein firmava la premessa al manoscritto delle Osservazioni filosofiche: “Questo libro sia scritto in onore di Dio, se oggi, queste parole non suonassero sciocche, se non fossero cioè malamente intese. Vogliono esprimere che il libro è stato scritto con buona volontà e nella misura in cui non è stato scritto con buona volontà e dunque per vanità o altro, il suo autore vorrebbe saperlo condannato. Egli non può purificarlo da queste scorie, più di quanto ne sia puro egli stesso”. Parole nobilissime che onorano Wittgenstein che le scrisse e il nostro Gibellini che le fa sue nell’atto di consegnarci, dopo tanti contributi su singoli autori e correnti, il suo opus maius, l’opera delle sua piena maturità.
Il Novecento teologico si apre, cronologicamente, in un’aula dell’Università di Berlino, dove il teologo Adolf Harnack teneva, una volta alla settimana, nel semestre invernale 1899-1900, ad un folto uditorio di circa seicento studenti di tutte le facoltà, un ciclo di sedici lezioni sull’essenza del cristianesimo. Quelle lezioni, stenografate da uno studente, furono raccolte in volume a Lipsia, nell’anno 1900 con il titolo, divenuto celeberrimo, L’essenza del cristianesimo. Due ex discepoli di Harnack, pur apprezzando i grandi meriti del metodo storico critico e la norma della “veracità radicale”a cui esso si ispira, entrarono ben presto in polemica con il maestro. Per loro la teologia scientifica, di cui Harnack era l’ultimo e più autorevole esponente, aveva smarrito il tema proprio della teologia, che è la parola della rivelazione di Dio, considerando il cristianesimo come un fenomeno intramondano. Io non so fino a che punto il tentativo di individuazione dell’essenza del cristianesimo per via storica meritasse i rilievi critici dei due ex discepoli, ma quei due ex discepoli si chiamavano nientemeno che Karl Barth e Rudolf Bultmann. Il primo ci ha dato con L’Epistola ai Romani, nell’edizione del 1919 e più ancora in quella del ’22, il testo più rappresentativo della teologia dialettica, che ha impresso uno straordinario impulso, grazie anche alla riscoperta di Kierkegaard, all’affermazione della trascendenza di Dio e del primato della sua Parola. Il secondo, Bultmann, sarebbe poi divenuto il caposcuola non solo e non tanto della demitizzazione della Bibbia – “la demitizzazione è termine certo insoddisfacente” riconosceva il teologo tedesco – quanto della “teologia esistenziale” di cui i quattro volumi Credere e comprendere (1933-1965) costituiscono il frutto più alto.
Gibellini conduce il lettore all’interno dei grandi dibattiti teologici con straordinaria capacità di sintesi e con limpida chiarezza di esposizione, ma soprattutto mosso dalla passione della verità, cioè in primo luogo dal bisogno di capire “l’anima di verità” della prospettiva teologica che egli di volta in volta va esaminando. Gibellini non si sottrae affatto al compito, per altro sempre difficile, di un giudizio di valutazione, ma quel giudizio non nasce mai da un “pre-giudizio”; nasce dall’esame critico dei testi e dell’esperienza religiosa, così come dal confronto con i grandi temi della cultura del nostro tempo e con le esigenze più profonde dell’umanità di oggi. Con questo spirito l’autore ci fa entrare in dialogo reale e proficuo con le “teologie del genitivo”: teologia della cultura, delle secolarizzazione, della storia, della speranza. Né meno interessanti, sono le esplorazioni di campi quali la teologia ermeneutica (Ernst Fuchs, Gerhard Ebeling) e la cosiddetta teologia politica (Jurgen Moltmann, Johann Baptist Metz), o del complesso di problemi che designiamo con due rapporti: quello fra teologia e modernità (con le grandi intuizioni e le piste indicate da Dietrich Bonhoeffer) e quello tra esperienza umana e fede in Gesù Cristo (Edward Schillebeeckx).
Un capitolo di particolare interesse è quello in cui si traccia il cammino della teologia cattolica dalla controversia modernista, alla svolta antropologica, per così dire da Alfred Loisy a Karl Rahner. Ma tra l’uno e l’altro, e francamente ben oltre quei due nomi assurti a simboli, c’è il mirabile apporto di una mezza dozzina di autentici maestri, le cui opere dovrebbero essere oggi più che mai pane quotidiano per quanti intendano essere cattolici consapevoli, interiormente liberi da ogni chiusura, immuni dalle tentazioni sia delle mode culturali, che dell’estrincesismo e dall’integralismo. Li chiamo per nome e cognome: Maurice Blondel (di cui la Queriniana proprio in questi mesi ha ristampato opere introvabili quali la Lettera sull’apologetica e Storia e dogma; Henri De Lubac, il maggiore tra i Padri della Chiesa del nostro secolo; Jean Danièlou, Yves Congar, Urs von Balthasar, Romano Guardini.
Delle cinquecentosessanta pagine che compongono il volume quasi duecento sono dedicate al contributo che viene dalle nuove teologie: la teologia della liberazione come si è sviluppata soprattutto nell’America Latina; la teologia nera, dalle origini ai nostri giorni; la teologia femminista nelle sue diverse correnti; l’irruzione della teologia africana e asiatica. Il panorama di tali prospettive teologiche appare da queste pagine estremamente complesso e variegato. Sono teologie in pieno svolgimento, su cui è assai difficile disporre di una documentazione rigorosa; sì che il lettore attento può facilmente indovinare quanta fatica sia costata a Gibellini darci di esse un inquadramento che è insieme esatto ed esauriente.
Da che cosa deriva il rilievo molto forte dato a queste tematiche? Esso è tutt’altro che casuale. Nasce infatti sia dalla conoscenza diretta che Gibellini ha delle persone che le affrontano al più alto livello, sia dalla consapevolezza che quelle tematiche riguardano da vicino la stragrande maggioranza dell’umanità. Insomma dopo il Concilio Vaticano II, con cui comincia una nuova epoca nella riflessione teologica, è esploso l’universalismo del cristianesimo e si è sempre più manifestata la mondializzazione della Chiesa.
Ma il Concilio è segnato in modo irreversibile anche dalla svolta ecumenica. E lo è a tal punto che oggi per i cattolici il modello ecumenico da perseguire nella teoria e nella pratica sembra configurarsi come “unità nella fede e unità-diversità delle sue formulazioni”. Insomma è giunta l’ora di coniugare la loro “cattolicità” con le “diversità” del pluralismo cristiano. Il rischio è bello, la speranza grande.
Giornale di Brescia, 12.11.1992. Articolo scritto per la presentazione del libro “La teologia del XX secolo”, edito dalla Queriniana.