L’ipotesi originaria dell’indagine era ben definita: svolgere una ricerca empirica sulla dimensione etica e trascendente nella comunità scientifica italiana. Si trattava, cioè, di studiare quali siano la “cultura” degli scienziati, le loro rappresentazioni del mondo, le convinzioni ideologiche e politiche pre e metascientifiche che professano, l’immagine che hanno di sé come singoli e come gruppi, le loro credenze e opzioni di valore, gli orientamenti propri della sfera interiore. La ricerca è stata ideata, scientificamente condotta e reinterpretata nei suoi risultati da due eminenti sociologi, Achille Ardigò e Franco Garelli. La Fondazione Giovanni Agnelli ha altresì pubblicato un primo volume, intitolato “Valori, scienza e trascendenza”, a cui ha fatto seguito, per una felice intuizione dei responsabili della Fondazione Agnelli, Marcello Pacini e Piero Gastaldo, un secondo, in cui l’universo del discorso e l’approfondimento concettuale oltrepassano esplicitamente la sfera empirica per indagare sull’etica della professione scientifica, sui confini tra scienza e trascendenza, sul mistero dell’esistenza umana. I vari collaboratori appartengono a tendenze, com’è ovvio, e ciascuno svolge le proprie riflessioni in completa indipendenza, dando così al lettore l’agio di esercitare il proprio giudizio critico nella varietà delle prospettive che vengono offerte ai diversi livelli della realtà scientifica, etica e religiosa.
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Uno dei pregi di “Valori, scienza e trascendenza” sta nell’aver scelto come campo d’indagine proprio gli scienziati di frontiera, perché le loro risposte diventano inevitabilmente rivelative delle dinamiche emergenti e delle nuove aperture degli scienziati a temi che chiamano in causa il senso della vita. Per questo la ricerca si è indirizzata su tre classi di scienziati (per la più parte, ma non esclusivamente, del mondo accademico): i fisici, i biologi-genetisti, gli esperti di intelligenza artificiale. Sono, infatti, i loro settori quelli in cui la scienza si fa sempre più “scienza applicata” e la riflessione etica circa la responsabilità connessa alle sue applicazioni diventa sempre più necessaria e urgente. L’impressione che si ricava dalla lettura degli ampi saggi di Ardigò e Garelli è che oggi – quali che siano i residui del materialismo ateistico e dell’agnosticismo neo-positivistico – il riferimento al trascendentale e il problema della responsabilità morale sono, insieme all’identità professionale, le coordinate fondamentali per descrivere la fisionomia culturale e umana dello scienziato. La ricerca della natura di ciò che è e i problemi che sono connessi a quell’interrogativo oggi sono presenti in misura considerevole nella comunità scientifica italiana e internazionale. Non sono più un fenomeno di élite, ma una coscienza diffusa. Il rinnovato interesse per i problemi di fondo (ridifinizione dei concetti di tempo, spazio, materia; di ordine e disordine; di origine e di vita; di inanimato e di vivente; di finito e infinito, ecc.), – problemi su cui è incentrato il sapere scientifico – è inoltre rafforzato dalla disillusione nei confronti delle numerose varianti ideologiche delle filosofie della prassi. Gli sforzi conoscitivi degli scienziati – nel loro specifico campo di applicazione – sono avvertiti come aventi la funzione di “anticamera”, di veicolo, di richiamo ad una riflessione o a una problematica che si pone al di là del piano della attualità empirica, che prefigura una realtà oltre le possibilità di comprensione scientifica.
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Una delle conseguenze di questo mutato atteggiamento degli scienziati è che la comunità scientifica nel suo insieme prende atto oggi del decadere di molti motivi di conflittualità fra scienza e fede. Si è venuta, infatti, allargando la convinzione che scienza e teologia siano due modi diversi, ma ugualmente legittimi, per comprendere l’unica realtà rappresentata dal mondo e che entrambe siano più che plausibili. Il 70% degli scienziati ravvisa nel problema del rapporto scienza-fede una questione che non ha perso senso in un contesto di modernità, che non appare insomma morta eredità di altri tempi. L’orientamento che più prevale – fatto proprio da circa il 90% degli scienziati – concilia perfettamente il radicarsi nella specificità del metodo scientifico e l’apertura ad una visione più ampia della vita. Insomma non c’è preclusione nei confronti della fede da parte di uno scienziato che, quando opera professionalmente, si attenga al metodo scientifico. La posizione qui evidenziata appare di indubbio interesse, in quanto prefigura, per la quasi totalità dei soggetti, un atteggiamento di tolleranza e di plausibilità nei confronti di visioni della vita più ampie di quella scientifica (quindi anche nei confronti di un riferimento religioso) a condizione che lo scienziato sia fedele ai canoni della scienza nello svolgimento del suo impegno professionale. Oggi sembra che la comunità scientifica sia refrattaria a considerare scienza e fede nei termini antagonistici, oppositivi in cui le considerava il positivismo. Scienza e fede non sono tra loro inversamente proporzionali, e ognuna delle due dimensioni non può essere annullata dall’altra e neppure subordinata ad essa.
Giornale di Brescia, 17.4.1991. Articolo scritto in occasione dell’incontro con Franco Garelli e Pietro Gastaldo di presentazione del volume “Valori, scienza e trascendenza”.