Il primo libro in lingua tedesca Lutero lo pubblicò nel 1517 e ha per titolo I sette salmi penitenziali (Die sieben Busspsalmen). È l’anno in cui il teologo di Wittenberg rese note le 95 tesi sul valore delle indulgenze e le spedì per lettera all’arcivescovo Alberto di Magonza. Otto anni dopo, nel 1525, in un momento di estrema difficoltà e di isolamento, in cui avvertiva con angoscia di essere scavalcato su ogni questione dall’oltranzismo implacabile di amici e seguaci, Lutero pubblica una seconda edizione di quell’opera, resa possibile perché disponeva finalmente di un testo più esatto dei Salmi 6, 31, 37, 50, 101, 129 e 142 e per un’altra ragione non meno importante: “Anch’io – scrive Lutero nella brevissima nota introduttiva – ho fatto da allora qualche progresso”.
Cinque anni dopo, nel 1530, Papa Clemente VII incorona imperatore a Bologna Carlo V e, alla Dieta di Augusta, Melantone presenta la Confessio Augustana, che oggi appare ai nostri occhi come un documento idoneo ad avviare il dialogo tra i protestanti e i cattolici, ma allora non soddisfece le due parti.
Lutero, che era malandato in salute e non poteva partecipare di persona ai colloqui, soggiornava nei castello di Coburg e fu in quel ritiro che nacque il suo più alto scritto di spiritualità: Il bel ‘Confitemin’ (Das schöne ‘Confitemini’), un commento appassionato e profondo del Salmo 118, che inizia, appunto, con le parole: "Confitemini Domine quoniam bonus" (“Celebrate il Signore perché è buono”).
I due scritti di Lutero sono ora finalmente a disposizione nella nostra lingua con i loro titoli originali, I sette salmi penitenziali – Il bel ‘Confitemini’ nella collana dei Classici della Bur. Il merito di questa pubblicazione, che ci permette di accostare il miglior Lutero, va a uno studioso di grande livello, Franco Buzzi, che ha tradotto e commentato i due scritti e che di Lutero aveva già tradotto e commentato per la San Paolo la famosissima Lettera ai Romani. Tuttavia, da un punto di vista spirituale e come oggettivo contributo al dialogo ecumenico – che ha le sue premesse nella reciproca conoscenza e nello scambio di ciò che di meglio possa offrire ciascuna confessione alle altre – il primo posto va dato proprio a opere come I sette salmi penitenziali e Il bel ‘Confitemini’.
In modo particolare ci permettiamo di sottolineare il valore del secondo dei due scritti: infatti, un vero capolavoro, reso pienamente godibile da Franco Buzzi. Dalla bella introduzione mi limito qui a citare un solo passo, quello in cui si abbozza un parallelo tra Socrate e Lutero. Scrive Franco Buzzi: “La questione del senso dell’uomo non riguarda, in astratto, che cosa egli sia, ma chi egli diventi nella sua storia, teso fino allo spasimo tra cielo e terra, e il ‘guazzabuglio’ irrisolto che c’è nel cuore dell’uomo invoca, oltre la storia, l’eschaton come soluzione finale. Si dice che Socrate considerasse veramente sapiente solo l’uomo consapevole di non esserlo e perciò desideroso di diventarlo. Qualcosa di simile, nel contesto della società cristiana, pensò Lutero a proposito della vera sapienza che chi pretende di essere sapiente, giusto e santo non conosce che cosa siano sapienza, giustizia e santità. In modo meno astratto e più esistenziale: non conosce e non riconosce la propria stoltezza; l’ingiustizia e il peccato che governano la sua vita. A differenza però di Socrate, che in virtù del metodo maieutico riteneva fosse alla portata dell’uomo nascere alla verità, Lutero crede che solo la parola di Dio con la sua potenza divina sia in grado di introdurre l’uomo alla vera conoscenza di sé”.
Finché uno non è colpito dalla parola che Dio stesso scocca nel suo cuore, non sa neppure di non conoscersi.
Giornale di Brescia, 23.1.1999.