Un fenomeno significativo del nostro tempo, così interessante e contraddittorio, è, da un lato, il dissolversi di antichi confini, un allargamento delle nostre conoscenze a ciò che è lontano e, dall’altro lato, una tenace ignoranza di ciò che è, o dovrebbe essere, a noi vicino, una diffidenza sistematica per l’eredità culturale, storica e religiosa della civiltà in cui pure affondano le nostre radici. Questo atteggiamento mentale è assai diffuso anche in un campo complesso e poliedrico come quello religioso. Dalla World Christian Encyclopedia (Oxford, 1982) apprendiamo che su questa terra vivono quattro miliardi e duecento milioni di uomini e che di essi un miliardo e 400 milioni si dichiarano cristiani, 723 milioni musulmani, 583 milioni indù e 274 milioni buddhisti. Queste cifre, che vanno senza dubbio aggiornate, anche perché nel conto non è incluso il miliardo di cinesi, sono indicative della straordinaria presenza del fattore religioso; tuttavia l’aspetto oggi più impressionante, dovuto in parte anche alle correnti migratorie della fine del XX secolo, almeno per noi europei, è la compresenza crescente in uno stesso territorio di religioni diverse dalle confessioni cristiane (cattolici, ortodossi e protestanti), sì che oggi – e i media sono lì a dilatare il fatto, contribuendo così essi stessi ad accrescerne l’effettiva consistenza – i fedeli di altre religioni compaiono sempre più numerosi nel nostro Paese, nella nostra città, in fabbrica, a scuola e talora persino nella medesima strada. La situazione esige autocoscienza della propria identità religiosa e apertura mentale, capacità di documentarsi su testi di prima mano, sincera disposizione al dialogo inter-religioso; solo così, infatti, potranno essere evitati, o perlomeno essere circoscritti, il fanatismo settario, l’intolleranza e, cosa non meno grave, l’eclissi della ragione, la diffusione delle superficialità e delle insensatezze di un sincretismo pasticcione, che sembra fatto apposta per alimentare quell’atmosfera di incredulità psicologica che ci circonda. Di qui la necessità di offrire ai lettori una visione panoramica di alcune grandi religioni, che sia sottratta al folklore, essendo mirata solo alla individuazione delle idee basilari e delle corrispettive forme di esistenza.
La religione in India è “un collettivo di religioni”, collegate tra loro dal comune spazio geografico, dalla storia, dalle condizioni socio-economiche, dalle relazioni culturali. Da un lato vi è la consapevolezza che una molteplicità di posizioni è legittima a chi cerchi un proprio cammino di accesso alla divinità; dall’altro lato, però, la molteplicità è tale solo in superficie, perché vi è una evidente analogia di riti, credenze, pratiche di vita ascetica, così come di pregiudizi e tabù. “Lo sfondo comune che consente questa unità nelle differenze – osserva Francesca Brezzi – è la religione vedica (con la lingua sacra, il sanscrito), un patrimonio di credenze e liturgie proprio degli Arii, cioè di quella gente originaria dell’Asia centro-occidentale che si stanziò in India nella prima metà del II millennio a.C., questa popolazione fu anche progenitrice di tutte le stirpi indoeuropee, ed è significativo che la religione vedica mostri notevoli somiglianze con le credenze greco-romane e germaniche” (Le grandi religioni, Newton-Compton, Roma, 1994). Attualmente, gli induisti sono la terza comunità religiosa mondiale, dopo i cristiani e gli islamici, rappresentano il 13% circa della popolazione: la quasi totalità di induisti (99%) vive in Asia Meridionale, in particolare nella Repubblica Indiana, dove costituisce la maggioranza, permeando profondamente la vita sociale e politica. In seguito ad emigrazioni l’induismo è diffuso anche in Asia, in Africa e in America Latina, ha dato luogo a forme significative di sincretismo a Bali, mentre in Europa è conosciuto più per 1a presenza di nuovi movimenti religiosi come gli Hare-Krisna, Ananda marga, Meditazione trascendentale ecc.
La più antica fase della religione indiana è quella vedica, dal notne dei Veda, cioè dei testi sacri. La compsizione dei Veda non può essere ricondottaa uno stesso periodo, ma la parte più antica, i Rigveda, comprendenti 1028 inni per circa 10.000 versi, si pensa risalga al 1500 a.C., a tremilacinquecento anni fa. La parola Veda staa significare “conoscenza”, “sapere”, “scienza”, ciò che poeti e veggenti hanno per così dire captato dalla fonte eterna e affidato ai loro discepoli. La società – secondo i Veda – si divide per decreto divino in quattro caste: quelle superiori, di carnagione chiara, che assolvono le tre funzioni sociali tipiche (autorità spirituale, potere temporale e produzione dei beni economici) e la massa di coloro che sono destinati a servirle, i sudra, i non ariani o ariani impuri: braccianti, nullatenenti e schiavi. L’uomo della religione vedica è un homo hierarchicus. Solo le tre caste superiori hanno diritto al nome di ari, cioè “signori della terra”. La casta dei sacerdoti è designata col nome di brahmana; o brahmani, ed è costantemente associata a quella dei nobili: sono loro a “sorreggere e governare l’universo”. Il pantheon vedico abbraccia innumerevoli dèi, la gerarchia dei quali muta nel succedersi delle epoche e secondo il prevalere dell’uno o dell’altro culto. Sotto divinizzate le forze della natura: il Padre Cielo, la Madre Terra, il Sole, il Vento, la Pioggia, l’Alba danzante ecc.. La mitologia vedica è certamente all’origine di tutte le mitologie indo-europee, comprese quelle germaniche e mediterranee. II ritualismo è fortemente accentuato sì che la celebrazione del sacrificio comunica la consapevolezza liberatrice del carattere, illusorio, magico, dell’universo (maya) e il lasciarsi assimilare all’energia universale (Brahmana), sino a fondersi con essa dopo la morte. Per chi, invece, non perviene a quel traguardo, c’è il ritorno sulla terra per reincarnarsi in un animale o in un essere umano, in un ciclo di nascite e morti senza fine e senza gioia. Di qui il diffuso rispetto per gli animali e persino l’attribuzione del carattere sacro ad alcuni di essi (la mucca, ad esempio). Un altro aspetto tipico della religione vedica è la corrispondenza tra microcosmo e macrocosmo, e quindi anche tra l’atman, l’anima che è nell’intimo di ciascuno, e l’energia cosmica, il Brahman, concepito ora come forza immanente al mondo, per cui ci sarebbe un unico atman Brahman, ora uno Spirito che si oppone alla materia, che è il punto di estrema degradazione di un processo emanatistico tanto necessario quanto prodotto inconsapevolmente.
Giornale di Brescia, 11.11.1994.