Si è proprio scelta la via metodologicamente più corretta: far precedere la pubblicazione integrale dei documenti relativi all’argomento che si vuole indagare, e con una precisa delimitazione cronologica, per aprire la strada ad ulteriori ricerche e raffronti. Più rigorosa dal punto di vista filologico è la rassegna dei testi e delle fonti, più agevole può procedere la ricerca. Questo è l’indirizzo che si è dato l’Istituto Paolo VI, il Centro internazionale di studi e documentazione sorto nella nostra città. Di qui il duplice ordine di pubblicazioni: per un verso l’impegno editoriale di riproposta dei testi montiniani, per un altro lavori di approfondimento e giornate internazionali di studi su singoli temi quali, ad esempio, Paolo VI e la modernità nella Chiesa o Il ruolo di G.B. Montini – Paolo VI nella riforma liturgica (e speriamo di poter presto disporre degli atti dell’incontro svoltosi a Parigi il 27 gennaio scorso su Paolo VI e l’arte).
Al primo gruppo di pubblicazioni appartiene l’ultima, recentissima opera riguardante il delicato, decisivo periodo milanese; ed è un testo rivelatore delle più profonde disposizioni spirituali del vescovo Montini, non un mero omaggio alla pietà mariana del futuro papa. Se il messaggio montiniano sul tema religioso e lavoro era, nello stesso tempo, un magistero inequivocabile su certe direttive di fondo e un incessante tentativo di capire meglio i problemi e di cercare vie nuove, la testimonianza di fede e la spiritualità di Montini emergono in tutta la loro luce e forza anticipatrice nei discorsi e negli scritti del periodo 1955 – 1963 Sulla Madonna (Ed. Studium, Roma, in collaborazione con l’Istituto Paolo VI, Brescia, pp. 228). Sono testi pensati in stretta connessione all’attività pastorale dell’arcivescovo, ma nulla in essi è fuori posto o meramente occasionale. In quegli anni, in cui il fervore mariano non era privo di eccessi e di esagerazioni, spesso francamente irritanti, Montini – che da sua madre aveva ricevuto il dono di essere iniziato al culto della Vergine, frequentando quotidianamente il santuario di S. Maria delle Grazie, prossimo alla sua abitazione – opera un serio, appassionato, poetico ritorno alle origini, ritrovando così anche il linguaggio giusto per ricollocare il mistero della piccola ebrea nella cultura dell’uomo contemporaneo. I discorsi e gli scritti sono dettati dalla preoccupazione di situare Maria al suo posto nella vita della Chiesa, senza eccessi e negligenze, senza enfasi e minimizzazioni. Si avverte in questo la sensibilità teologica ed ecumenica di una famiglia spirituale sempre tanto cara a Giovanni Battista Montini: quella dei Filippini di Brescia, in particolare di padre Giulio Bevilacqua.
Nel volume Sulla Madonna piace riscontrare nell’autore dei discorsi e degli scritti che vi sono raccolti il continuo ricorso alla liturgia, i cui passaggi fanno da tramite per un rinvio ai testi biblici concernenti Maria. L’attento ascolto del dibattito in corso sulla donna – erano quelli gli anni in cui cominciava ad emergere la polemica del femminismo – porta Montini ad accentuare la dimensione antropologica del mistero di Maria. sono tra i temi più costanti del suo insegnamento «lo splendore dell’umanità di Maria» e il principio cattolico della cooperazione umana alla redenzione, «cooperazione che Dio stesso ha voluto, impegnando immensamente il contributo umano». Nell’introduzione al volume, René Laurentin, che è forse il maggiore studioso di mariologia, insiste particolarmente sulla ripresa da parte di Montini della prospettiva ecclesiologica in cui Ambrogio poneva Maria, «ecclesiae typus», cioè immagine ideale, archetipo e modello della Chiesa. Ma le notizie per noi più interessanti sono quelle concernenti le vere fonti in cui più schiettamente Montini si riconosceva. È bello venire a sapere che il papa dell’esortazione apostolica Marialis cultus, del 1974, amava e citava Maurice Zundel, ma meditava intensamente autori e maestri come Louis Bouyer, Jean Giutton e soprattutto Henri De Lubac, allora in forte anticipo sui tempi malgrado la loro serena e profonda ortodossia. Il padre De Lubac, che Giovanni Paolo II ha voluto divenisse cardinale, aveva scritto da poco, nel ’53, un testo mirabile, Meditazione sulla Chiesa: libro in cui alla censura puntigliosa, dalla quale era assediato, dava la prova che la sua teologia contemplativa, così nutrita di cultura e di storia, era al di sopra di ogni sospetto e di ogni discussione. A Montini piaceva molto quel libro, da arcivescovo prima, e da papa poi, al punto da farne oggetto di lettura e di meditazione nei pomeriggi domenicali. Quel libro, a cui sono tornato di recente anch’io, oggi lo si può leggere nella coedizione Jaca Book-Paoline e non ha perso proprio nulla della sua verità e freschezza.
Un’ultima annotazione. Montini sente la bellezza del mistero di fede rappresentato da Maria, umile ed alta. Una bellezza che si identifica con la sua umiltà e si «distende in un dramma», una bellezza che si rivolge alla miseria del mondo. Una bellezza che suggerisce al vescovo di Milano la citazione del verso di Keats: Una visione di bellezza è una gioia per sempre.
Giornale di Brescia, 25 novembre 1988.