Dal 18 al 25 di questo mese, cristiani di tutte le confessioni invocheranno insieme, su questo mondo ferito dall’inarrestabile spirale della violenza, la pace di Cristo. Tale, infatti, è il tema assegnato quest’anno, dall’apposita commissione mista, alla settimana ecumenica: «Vi lascio la pace; vi do la mia pace» (Gv 14, 27). L’affermazione di Gesù, completata dalle parole: «Non come ve la dà il mondo» può suscitare un’obiezione di fondo: perché mai questo «mia pace»? Perché la pace dovrebbe dipendere dall’adesione di fede ad una persona, quando invece agli uomini di questa madre terra basterebbe una pace qualsiasi, anche anonima, purché affidabile? La risposta a questa obiezione viene dal contesto evangelico, dal suo spirito sempre aperto in senso universalistico, in coerenza con uno che è «venuto a servire e non a essere servito». La pace di cui Gesù parla e che egli vuole con tutto se stesso trasmettere al mondo è semplicemente quella «pace nella giustizia» proclamata con insistenza dagli antichi profeti nei loro oracoli. E la pace che il Re giusto instaura nel suo regno, difendendo i poveri e i deboli contro le prevaricazioni dei potenti. Secondo Gesù, questa pace nella giustizia si può raggiungere soltanto mediante l’amore di carità. È infatti la carità che fa vedere e capire l’altro, le sue sofferenze, le ingiustizie di cui è vittima, che ci spinge a farci prossimo nei suoi confronti. Senza la carità, si apre la prospettiva di una giustizia senz’anima, impersonale e grettamente numerica; di una giustizia miope e alla fine ingiusta. E dunque la pace vera va cercata attraverso le vie di una solidarietà tesa a ridurre le scandalose disparità esistenti fra i popoli della terra, e cioè all’interno dell’unica famiglia umana. Insegna Sant’Agostino che la vera pace sta nella «tranquillità dell’ordine», e non nella tranquillità che congela il disordine, l’iniquità. La pace di Cristo, dunque, nasce dall’amore di carità, dall’amore proveniente e creativo, che sa perdonare e fa uguaglianza. Questa pace è sempre stata sostenuta dalla Chiesa, particolarmente dai Papi del secolo scorso, uno dei più barbari della nostra storia. Da Benedetto XV, il Papa dell’«inutile strage»; dal Pio XI delle esplicite condanne dei regimi totalitari; dal Pio XII del «tutto è perduto con la guerra»; dal Giovanni XXIII della Pacem in terris; dal Paolo VI della Populorum progressio, dal Papa attuale, che non cessa di ammonire i capi delle nazioni con quella forza quasi irresistibile che nasce dall’estrema debolezza… A questi appelli evangelici fa riscontro la stessa lezione della storia, maestra inascoltata, la quale, appunto in quanto inascoltata, diventa la storia degli errori umani che si ripetono, seminando distruzioni e vittime senza numero. L’alternativa per rompere questi mortali ritorni storici, non può essere che la pace di Cristo e cioè perseguita non secondo la logica delle armi, ma nella più coraggiosa ricerca dell’uguaglianza globale fra gli uomini fratelli, nel bene che vince il male. Azzardo in conclusione un’ipotesi che potrà sembrare ovvia se non ingenua. Non potrebbe (non dovrebbe) l’Unione europea, in coerenza alle sue origini, abbracciare più decisamente e consapevolmente, come compito storico, la forte utopia cristiana e cioè la Pax Christi? Sì mi sembra di vedere, a questo punto, tanti scettici sorrisi. Trovo però, che proprio questo costituisce un’allarmante segnale delle nostre collettive storture mentali: che cioè passi per utopistico cioè che oggettivamente andrebbe riconosciuto come quanto di più realistico esista per l’avvenire del mondo, della famiglia umana.
Giornale di Brescia, 15.1.2004.