Le lettere di Cicerone, specchio della sua anima

L’Epistolario è l’opera di Cicerone che più di ogni altra risulta rivelatrice dell’umanità vera di quest’uomo grande e complesso nei suoi molteplici interessi: la quantità di lavoro da lui svolta come avvocato, uomo politico e scrittore è quasi inconcepibile; spesso fu irresoluto, sbagliò nei giudizi e nella condotta politica, ma egli obbliga alla simpatia per la nobiltà dei suoi scopi, la dignità della sua vita privata e la ricchezza delle sue doti umane e intellettuali.
Goethe ha scritto che "le lettere appartengono ai momenti più notevoli che uno può lasciarsi dietro, rivelatrici di ciò che acquieta o addolora, come tracce di un’esistenza e di uno stato d’animo". Questa esigenza di intima analisi è la caratteristica fondamentale dell’epistolario ciceroniano, che assume il valore di documento di una delle più forti e spiccate individualità del mondo romano. Le lettere non sono solo rivelatrici della molteplicità dei sentimenti, spesso anche contraddittori, ma soprattutto della complessa varietà delle esigenze dell’uomo nella tormentata drammaticità degli avvenimenti. Giustamente il Norden, in proposito, ha scritto: "Nella raccolta delle lettere ciceroniane è dato scorgere come una tragedia, nella quale una vita piena di speranze e di delusioni, di buoni propositi e di disperazione, di onorevoli aspirazioni, viene calpestata dalla necessità della storia". Ed è significativo che all’epistolario di Cicerone si rifaranno gli antichi e i moderni, da Plinio il Giovane a S. Agostino, da Ugo Foscolo a Giacomo Leopardi.
Specchio dell’anima e dei tempi sono dunque queste lettere, la cui importanza è veramente eccezionale, non solo, come si è detto, sul piano umano e psicologico, ma anche storico, per la quantità di notizie dirette e indirette che riguardano quel periodo così difficile e che rivelano i complessi rapporti politico culturali all’interno della classe dirigente romana; senza di esse non avremmo documenti fondamentali, anche di parte avversa. In particolare, le lettere degli anni 50 48 a.C. ci informano sulle paure, sulle indecisioni, ma anche sulla fondamentale onestà mostrata da Cicerone nel momento cruciale della guerra civile tra Cesare e Pompeo. Cicerone, infatti, dichiara in varie lettere all’amico Attico di aver preso posizione a favore di Pompeo, tuttavia senza smettere l’opera di rappacificazione. Cicerone visse con grande sofferenza questa scelta, poiché ammirava Cesare, uomo di raffinata cultura, ma doveva combatterlo perché intravedeva nella sua vittoria la fine della repubblica e per difenderla doveva appoggiarsi a Pompeo, di cui non ammirava la rozzezza da soldato e che vedeva sostenuto dalla parte più retriva del Senato.
Di tutto questo l’Epistolario è la testimonianza più ricca e più autentica, anche quando si tratta di lettere scritte da personaggi diversi, che Cicerone inserisce accanto alle sue, forse proprio perché le ritiene illuminanti per i momenti e le scelte che sta vivendo. E’ il caso della famosa lettera Ad Atticum IX, 7. Sarebbe interessante conoscere le ragioni che hanno indotto Cicerone a riportare questa lettera, che in realtà è di Cesare, scritta nel 49 a.C., in cui dal condottiero che si avviava alla vittoria completa su Pompeo, si annuncia la nova ratio vincendi basata sulla misericordia e sul perdono, fondamento di tutta la sua propaganda durante la guerra civile. In questa lettera Cesare risponde ad una lettera di due suoi sostenitori, Oppio e Cornelio Balbo, che lo hanno invitato a procedere sulla linea di una "politica del perdono", già provata nei confronti di Domizio sconfitto a Corfinio.
Cesare apre la sua lettera con parole di compiacimento per le parole dei suoi interlocutori: "Mi rallegro assai per la vostra piena approvazione dei mio modo di agire… e già spontaneamente avevo deciso di mostrarmi il più clemente possibile e di darmi da fare per riconciliarmi con Pompeo (si noti come Cesare rivendica a sé il primato di queste scelte di clemenza e di mitezza). Tentiamo in questo modo di riconquistare gli animi di tutti e di rendere duratura la mia vittoria, mentre gli altri (l’allusione è a Mario e Cinna, non si allude a Silla perché Cesare esclude che possa imitarlo per la sua crudeltà) non poterono sfuggire all’odio dei cittadini proprio perché troppo crudeli nella vittoria…Questo sia il nuovo modo di vincere, munirci di tolleranza e di generosità". E aggiunge che ha catturato Magio, prefetto di Pompeo, ma, confermando i suddetti criteri, lo ha subito lasciato libero; lo stesso ha fatto con due prefetti dei fabbri. Spera che questi uomini di Pompeo, per gratitudine, lo esortino affinché "preferisca essere amico a me piuttosto che a quelli che sempre furono ostili sia a lui (Pompeo) sia a me; proprio per i comportamenti di costoro la repubblica è caduta in questo stato". Cicerone capiva che ormai era tempo di accettare i cambiamenti che la storia imponeva; ma se fino ad ora aveva temuta la forza e la durezza del vincitore, questa lettera appare a Cicerone la promessa di una politica di moderazione e di tolleranza, a cui anch’egli avrebbe in futuro potuto aderire in quanto costituiva una garanzia di pace duratura; e Cicerone, che era stato sempre fautore di questi valori e di concordia fra le classi, coglie immediatamente l’opportunità di potersi riappacificare con Cesare, giustificando così il mutamento del proprio atteggiamento politico.
L’esempio più significativo di questo nuovo atteggiamento è costituito dall’orazione Pro Marcello: per la verità è solo un’orazione di ringraziamento per un perdono già elargito, non una perorazione per un favore da ottenere. Il perdono già concesso commuove Cicerone, lo conferma nelle speranze nutrite nella clemenza di Cesare e da questi sentimenti concomitanti nascono le parole così celebrative per il vincitore.
Emerge così, accanto ai sentimenti più semplicemente e modestamente umani, l’uomo politico, che non sa distaccarsi da quella che è la sua vera ragione di vita e ci dà pertanto una infinità di notizie e di occasioni per meglio conoscere i suoi tempi e gli uomini che più hanno contribuito a fare la storia del I sec. a.C. Se naturalezza e varietà fanno di queste lettere un raro capolavoro della letteratura universale, il suo interesse storico e politico ne fa un documento di primaria importanza, per un periodo decisivo della storia di Roma.
 

Giornale di Brescia, 2.1.1996.