Ho avuto la fortuna di conoscere Fulvio quando avevo 16 anni e quindi di avere fatto con lui e con la sua famiglia un lungo tratto di strada. Quasi tutto questo periodo è stato caratterizzato anche dalla presenza nella nostra vita della Cooperativa Cattolico – democratica di Cultura (CCDC), che insieme all’indimenticabile Maestro Matteo Perrini, tanto Fulvio quanto io abbiamo avuto il piacere e l’onore di accompagnare sin dalla costituzione. Da giovanissimi abbiamo fatto parte del Consiglio di Amministrazione, mai un centro di potere ma sempre e solo uno spazio di responsabilità, gratuità e servizio.
Mi sarebbe quindi molto facile ripercorrere questa traiettoria ultratrentennale sotto l’angolo visuale del contributo che Fulvio ha dato alla CCDC, perché forse come pochi altri posso ricordare quanto sia stato decisivo. Mi limito qui a ricordare come nel cenacolo di pensiero che grazie a Matteo Perrini è sempre stata la CCDC (un luogo straordinario di libertà), Fulvio ha sempre rappresentato il nostro miglior sensore della sensibilità della gente. Ci ha sempre riportato alla necessità di fare cose ambiziose che richiamassero molte sensibilità, per cercare di incidere il più profondamente possibile sulla nostra città. Anche per questo si è sempre “speso” in prima persona perchè la Cooperativa rappresentasse una realtà originale di dialogo con le diverse culture.
Ma sento che, se indugiassi a questi ricordi quasi “istituzionali”, verrei meno a quella che considero invece per me, ma anche per molti amici, la testimonianza umana di Fulvio che ha innervato tutta la sua vita privata e professionale. Vorrei cioè provare questa sera a ri-cordare Fulvio, cioè riportarlo al nostro cuore.
E per fare questo nei limiti esigui di tempo che posso sottrarvi, ho pensato che la cosa migliore fosse andare proprio ai primi anni della nostra amicizia, perché è là che trovo le radici di tutta la sua vita.
All’inizio degli anni Settanta sia Fulvio che io frequentavamo il Liceo Scientifico Calini. Erano anni di grandi tensioni, per certi versi pieni di fermenti positivi di cambiamento, ma anche dominati da tanto fanatismo ideologico e dall’intolleranza. È proprio in quegli anni che con Fulvio ed altri amici sentivamo l’esigenza di rompere il conformismo ideologico, l’assurda deriva degli opposti estremismi creando un gruppo di impegno civile, sociale e politico, fortemente ancorato ai valori liberali e del cattolicesimo-democratico. Nasceva così il gruppo di “Iniziativa Democratica” che credo abbia lasciato qualche segno nella vita di molto ragazzi del liceo.
Non è un caso se proprio in quegli anni insegnava nella nostra città ed in quel liceo “un certo prof. Matteo Perrini”, con un amore inguaribile per la filosofia, per i ragazzi e per la verità. Credo di poter dire a buona ragione che Matteo Perrini ha fortemente ispirato quel gruppo di giovani, e che tra quell’esperienza e la CCDC c’è un’evidente continuità di valori e di impegno. Per molti – certo per me e per Fulvio – la continuità è stata così profonda che il passaggio dal gruppo di “Iniziativa Democratica” del liceo Calini alla CCDC è risultato del tutto naturale.
Proprio perché in quella esperienza giovanile ritrovo tutte le ragioni della testimonianza di Fulvio, ma anche tutte le qualità che ne hanno fatto un grande giornalista ed un grande amico, credo che un angolo visuale che ritorna a quel periodo possa offrire una testimonianza originale ed autentica. I tratti di quell’impegno mi pare infatti aiutino ad identificare il profilo umano di Fulvio.
Negli anni Settanta ci voleva coraggio per partire con iniziative così osteggiate dal fanatismo dell’epoca. E Fulvio è sempre stato tra tutti noi un esempio di coraggio nel testimoniare le proprie idee, in un clima ostile talora al confine con la violenza.
Ci voleva grande passione per dedicare gran parte del nostro tempo libero a discutere tra di noi, per stare nella nostra scuola e nella città con idee nuove, con un senso di servizio per tutti e Fulvio non ha mai fatto mancare il suo impegno senza riserve.
Ci voleva anche grande coerenza fra ciò che si diceva ed il modo in cui si viveva. Qui mi pare di dover sottolineare una grande virtù di Fulvio che non ha mai perso il “filo rosso” di una naturale coerenza tra le cose in cui credeva e il proprio stile di vita. Quanta gente, quanti uomini di cultura, della politica e del giornalismo hanno cambiato ripetutamente volte le proprie posizioni per ragioni di convenienza! Quanto bisogno si sente di questo rigore, a tutti i livelli. Fulvio non l’ha mai perso.
Ma proprio in ragione della complessità degli anni Settanta e dei molti fermenti della società civile, che pur convivevano con atteggiamenti vili o aggressivi, ci voleva anche grande capacità di ascolto. Pur tenendo la barra dritta delle nostre convinzioni, non abbiamo mai perso di vista la necessità di dialogare sempre con tutti, di qualunque ispirazione ideologica, per capirne le ragioni e – se necessario – per correggere le nostre posizioni. In questo Fulvio era il più bravo di tutti e credo che facilmente si veda nella sua vita professionale questa cifra, il suo modo di fare giornalismo: totale coerenza con le proprie idee, ma rispetto assoluto di quelle altrui.
Come accade sempre per sostenere i valori che meritano, ci voleva grande spirito di gratuità. Fulvio ha speso tantissimo del suo tempo, prima negli anni di scuola, poi anche nella CCDC, per dare un servizio alla città senza trovare alcuna utilità, senza alcuna convenienza, ma solo per un impulso etico di servizio e di responsabilità.
Ci voleva infine la capacità di far convivere la difesa costante dei propri valori con la mitezza nei rapporti umani. Ecco Fulvio è sempre stato fiero delle proprie convinzioni, ma anche mite nel confronto. Fulvio, un uomo di grande sensibilità, ma anche di grande emotività. Ho sempre avuto la sensazione che preferisse scaricare su se stesso le tensioni della vita e del lavoro piuttosto che sugli altri, anche quando ne avrebbe avuto pienamente diritto e sarebbe stata una naturale inclinazione per molti. Questo suo modo di assumere su di sé le responsabilità e le tensioni, è indice di quel tratto “buono” che piaceva a tutti noi, ma che forse ha contribuito a renderlo più vulnerabile alla malattia.
Ecco: coraggio, passione, coerenza di vita, capacità di ascolto, spirito di gratuità, convinzione profonda nelle proprie idee, ma mitezza nei rapporti umani, mi pare siano le caratteristiche che meglio qualificano chi è stato Fulvio per questa città che, forse, non lo ha del tutto ripagato in proporzione a quanto ha dato. Certamente Fulvio è stato tutto questo per me e per tanti amici. Nell’ultimo scorcio di vita, quando la malattia lo stava aggredendo sempre più, ho rivisto nei suoi occhi tutte queste qualità, ma soprattutto il coraggio (non si è arreso mai al male), la responsabilità (il suo pensiero era sempre alla sua famiglia e a Teletutto) e la mitezza (la bontà dei tratti).
Con questo ricordo lo porto nel cuore e desidero affidarlo anche alla vostra memoria.
NOTA: testo, rivisto dall’Autore, della conferenza tenuta a Brescia il 18.5.2009 su invito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura.