Si torna a dibattere intorno alla Costituzione, a seguito delle polemiche nate per le modifiche previste alla seconda parte del testo. Alcuni mesi fa le controversie riguardavano invece il preambolo della Costituzione europea, per via della mancata menzione delle radici cristiane del continente. Nella redazione approvata si parla precisamente di «eredità culturali, religiose e umanistiche dell’Europa», e il preambolo al testo si apre con una citazione di un passo di Tucidide, lo storico della guerra del Peloponneso. La frase lì riportata in greco e di seguito tradotta è tratta da un passo famoso dell’opera storica, quello in cui Tucidide fa pronunciare a Pericle, all’interno di un epitafio per i caduti in guerra, una grande celebrazione della democrazia ateniese. In quell’elogio di Atene, Pericle dice che la Costituzione della città si chiama democrazia perché il potere non è nelle mani di pochi, ma dei più. La collocazione in apertura del testo europeo è quanto mai opportuna: la nuova Costituzione viene inserita all’interno di una storia della democrazia, che riconosce in Atene la sua origine. Poco importa che tradurre con la parola Costituzione il termine greco politeia di Tucidide sia impreciso, visto che il concetto di Costituzione è ignoto al pensiero politico e giuridico greco; ma in effetti, trattandosi del preambolo della Costituzione europea, è chiaro che i nostri legislatori volevano rifarsi al concetto politico greco più vicino, anche se non esattamente corrispondente. Il greco moderno usa la parola Sýntagma per indicare la Costituzione: questo è anche il nome della piazza più importante di Atene, quella in cui si trovano sia il Parlamento, sia il monumento al milite ignoto, custodito dai celebri soldati in costume macedone, detti euzoni. Sýntagma significava al tempo di Pericle classe sociale, ordinamento, ma anche esercito schierato: Isocrate, parlando dell’antico modo di governarsi ai tempi del consesso dell’Areopago, dice che quello era il sýntagma tes politeias, cioè il sistema di governo, naturalmente di Atene. Da quel concetto di ordine, di organizzazione interna, di struttura costitutiva, nasce la parola che oggi traduciamo come Costituzione, intesa come legge fondamentale dello Stato. Ma nell’accezione moderna, così come noi la usiamo, la parola Costituzione è stata impiegata solo a partire dagli anni tra la fine del XVIII secolo e l’inizio del successivo, quando per Costituzione si cominciò a intendere in Europa la carta dei diritti fondamentali, il documento delle libertà civili e dell’ordinamento dei poteri. Il nuovo significato del termine soppiantava quello latino, da cui linguisticamente deriva. Infatti constitutio significava a Roma qualcosa di molto diverso. In termini giudiziari essa indicava il momento in cui si costituiva una causa, attraverso il contrasto tra le due parti, una di accusa e l’altra di difesa. In ambito politico, invece, la constitutio era la legge imperiale. Il principe dettava la sua volontà al popolo per mezzo della constitutio, che poteva assumere forme e nomi diversi (l’edittto, il mandato, il decreto, il rescritto), ma che aveva comunque valore legislativo. La più celebre constitutio fu la concessione nel 212 d.C., da parte dell’imperatore Antonino Caracalla, della cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell’impero: e fu una Constitutio Antoniniana. Su questi argomenti ha scritto recentemente un saggio molto illuminante Franco Casavola, presidente emerito della Corte Costituzionale. Il saggio è apparso come editoriale dell’ultimo numero (6, 2004) della rivista «Studium», dell’omonima casa editrice romana. Ne ricavo e condivido alcune affermazioni significative: «Le costituzioni occupano un posto dominante in quell’orizzonte della vita collettiva che congiunge politica e diritto. Ma in alcune fasi storiche esse si caricano di una valenza che non è soltanto politica e giuridica». Dopo di ciò, l’indagine si sposta a individuare questo significato, anche oggi proponibile. Ne risulta una valenza etica in senso lato, cioè come deposito di un sistema di valori che informano o dovrebbero informare la vita della società. Per quanto riguarda l’Italia, questi valori si trovano più chiaramente espressi nella prima parte della carta costituzionale, in quei primissimi articoli che contengono gli undici principi fondamentali della Repubblica. Sono quegli articoli che, come scrive Casavola, dimostrano che «la persona umana preesiste allo Stato e dunque la repubblica non crea né attribuisce, ma riconosce i diritti che l’uomo già per sua natura possiede, e ne dichiara la inviolabilità».
Giornale di Brescia, 3.4.2005.