La prima fase della commedia greca è chiamata antica e così viene distinta da due momenti di commedie più recenti, cioè quella di mezzo e la nuova. Ma viene detta anche commedia politica, perché è caratterizzata da una forte tensione di questa natura negli autori più rappresentativi, che erano Eupoli, Cratino e soprattutto Aristofane. Questa fase antica della commedia si esplicò soprattutto nella seconda metà del V secolo a.C., e per buona parte coincise con gli anni della guerra del Peloponneso, combattuta tra il 431 e il 404. Si contrapponevano allora in Atene una fazione politica aristocratica con tentazioni anche oligarchiche e una democratica-popolare, con risvolti anche populistici. Il primo partito era in genere favorevole a una linea di accordo con Sparta, in cui vedeva un sistema politico abbastanza omogeneo alle proprie aspirazioni, mentre il secondo voleva la lotta a oltranza con la città rivale.
E’ in questo contesto che si colloca la produzione di commedie di Aristofane, che si svolse per un lungo arco di anni (dal 427 al 388 a.C.) e che spesso rivela anche noi lettori moderni la vivacità e persino la ferocia del dibattito politico e culturale di allora. La democrazia ateniese permetteva il franco esplicarsi del pensiero attraverso la parrhesìa, cioè la libertà di parola, praticamente quasi senza timore di reazione o di querela da parte di chi era oggetto dell’ attacco. Quella libertà artistica ateniese più tardi sarebbe stata riconosciuta anche dal poeta romano Orazio come caratteristica peculiare per l’ espressione di quelle forme di poesia.
Tuttavia potevano e possono esistere anche le ricadute sociali di determinate prese di posizioni e di talune affermazioni delle commedie: il messaggio veicolato dalla poesia non risulta senza effetto, perché il valore dell’ artista che lo invia può moltiplicare la diffusione dell’ idea collegata. Può così accadere che la testimonianza di una forma di lotta politica non sempre coincida con la trasmissione di valori ad essa collegati: spesso le commedie di Aristofane ci mostrano la sua sostanziale indifferenza di fronte alle idee e alle motivazioni; valgono, nella sua visione, solo gli interessi personali, che spesso diventano individualistici ed egoistici. Non c’è vera tensione ideale, né sincero patriottismo ateniese: invece emerge da molte commedie il qualunquismo dell’ autore, la sua ricerca di una comicità che si rivela grossolana, ma che è di grande effetto sul pubblico perché legata spesso all’ oscenità.
Per di più, in alcune sue opere Aristofane ha esercitato un effetto negativo sugli spettatori ateniesi, nel senso che ha portato all’ insulto nei confronti dell’ avversario e alla legittimazione dell’ attacco personale anche violento. Allora come oggi si potrebbe obiettare che il valore artistico della satira politica trascende il significato specifico dell’ aggressione: ma in qualche vicenda ateniese si è poi vista anche la ricaduta concreta della propaganda di Aristofane. E’ il caso di una delle commedie più significative, le Rane, rappresentate (con grande successo) all’ inizio del 405; in essa il dio della tragedia, Dioniso, scende agli Inferi per riportare in vita il poeta migliore, che si rivelerà essere Eschilo. Questi rappresenta infatti il passato della città, contrapposto al presente incarnato da Euripide: il passato è immancabilmente migliore del presente, secondo un luogo comune con cui anche Aristofane vuole mostrare tutto il male della situazione contemporanea.
Nel quadro di questa visione generalizzata in negativo (tutti sono disonesti e delinquenti, mentre in passato era vero esattamente il contrario) viene attaccato pesantemente anche Socrate, accusato di fare discorsi futili e inutilmente solenni: passare il tempo con Socrate, canta il coro verso la fine della commedia, è azione dissennata, mentre ben altri sono gli uomini positivi per la città. Aristofane aveva attaccato Socrate già in altre opere precedenti, soprattutto nelle Nuvole, che sono del 423: a diciotto anni di distanza ritorna l’ aggressione al filosofo, in un contesto della commedia nel quale all’ uomo politico Cleofonte, irriso da Aristofane come Socrate, viene augurata la morte con la cicuta.
Un anno dopo le Rane, l’ augurio mortale di Aristofane si realizzò per Cleofonte, che fu costretto dai Trenta Tiranni a bere la cicuta; dopo altri cinque anni Socrate andò incontro alla stessa morte, vittima di una forma organizzata di ostilità alla quale anche la propaganda di Aristofane non era stata estranea.