Fa una certa impressione, leggendo le testimonianze letterarie religiose dei secoli imperiali, constatare la radicalità della testimonianza cristiana nei confronti del mondo pagano. Sono due mentalità alternative che si confrontano senza che si intraveda una possibilità di incontro o di accordo; eppure le forme in cui si esprime questa prima poesia cristiana sono quasi sempre di derivazione pagana, perché frutto dell’elaborazione secolare delle scuole di retorica. Anche in questo fatto sta uno dei paradossi che caratterizzano la nascente produzione cristiana, che è portatrice di un contenuto radicalmente innovatore all’interno di forme letterarie tradizionali. Per rendercene conto adeguatamente, possiamo leggere i testi contenuti nella nuova raccolta di Inni Preghiere Cantici, curata da Ugo Trombi, recentemente uscita presso la Morcelliana di Brescia con una premessa di Claudio Moreschini. Trombi ha selezionato, all’interno dell’imponente produzione cristiana dei secoli tardoantichi e medievali, un buon numero di testi che vanno a costituire questa antologia di più di quattrocento pagine: il lettore può con essa spaziare dal IV secolo di Ilario di Poitiers e di Ambrogio fino al XIII-XIV di Jacopone da Todi. Ugo Trombi, già docente di Lettere nei Licei, ne ha curato anche la traduzione, che viene proposta a fronte dell’originale latino in forma agile e moderna, tale da risultare accessibile al lettore pur in presenza di testi a volte impegnativi. Si diceva della radicalità della prima testimonianza cristiana: la possiamo constatare, ad esempio, leggendo l’inno ambrosiano dedicato ai santi Vittore, Nabore e Felice, tre soldati africani martirizzati a Lodi ai tempi di Diocleziano. «Non dardi di ferro cercano i soldati di Cristo, non armi: cammina difeso da solida armatura chi possiede la vera fede. Per il soldato di Cristo, scudo è la fede e la morte è vittoria», scrive la traduzione del testo di Ambrogio. Qui troviamo, insieme al superamento del luogo comune antico della conservazione eroica dello scudo, l’immagine di una dimensione diversa, che propone parametri innovativi per valutare il bene e il male, e quindi per dirigere i comportamenti umani: e per di più erano Mauri di stirpe e stranieri alla nostra gente, commenta S. Ambrogio, consapevole della diffidenza serpeggiante a Milano nei confronti degli stranieri. Ma questi advenae, stranieri che provengono dalle sabbie infuocate, si propongono nella Gallia Insubre di allora come i depositari di una solidità morale ormai in crisi tra i nativi della regione. Questa dimensione alternativa del messaggio cristiano di fronte al mondo sarà la stessa che farà esclamare a Bernardo di Chiaravalle «O stupefacente vanità! O lacrimevole amore delle ricchezze! O veleno amaro, perché intossichi tanta gente?». La grande massa di testi presente in questa raccolta è certamente un’offerta preziosa al lettore, che può sondare e scegliere in vista dei suoi approfondimenti. E con piacere, e stupore insieme, vi si possono trovare i testi originali di molti inni e sequenze a noi noti per via liturgica o perché divenuti preghiere tradizionali, come il Salve Regina che è di Hermann il Paralitico, autore dell’XI secolo, o il Veni Creator Spiritus di Rabano Mauro, nato a Fulda nell’VIII secolo. Trombi ci fa scoprire anche l’autore del Pange Lingua, cioè Venanzio Fortunato, o ci permette di leggere di Vipone il Victimae Paschali laudes, la celebre sequenza della liturgia pasquale. Un’altra constatazione interessante viene a noi dalla vastità geografica di questa produzione, che abbraccia tutti i territori dell’Europa cristiana, allungandosi dalla Spagna di Prudenzio all’Anglia di Beda il Venerabile, e comprendendo soprattutto la Germania, la Gallia e l’Italia. Non manca una voce femminile, costituita da Herrat di Landsberg, badessa di Hohenburg in Alsazia, le cui poesie religiose sono raccolte in un Hortus deliciarum, un giardino delle delizie che costituisce una sintesi di conoscenze in diversi campi. È un titolo, questo, che ben si presta anche per definire l’antologia che abbiamo in mano: ciascuno vi può attingere un miele dolcissimo.
Giornale di Brescia, 10.3.2004