Ha senso attribuire una collocazione politica a un genere letterario, a una scuola filosofica, a una tendenza culturale? In generale credo di no, perché distribuire etichette di un determinato colore può esporre a facili smentite o suscitare sorprendenti reazioni. Tuttavia, e questo vale per alcuni generi letterari dell’antichità, è possibile individuare alcune linee di tendenza anche ideologica, che costituiscono come delle regole per definirne la collocazione politica: ma come tutte le regole, possono conoscere anche abbondanti eccezioni. Un esempio per tutti: nell’età imperiale romana si può vedere la filosofia come la cultura dell’opposizione al potere e la retorica, invece, come lo strumento del consenso. Ma, una volta data questa regola, subito scatta l’eccezione, costituita dalla figura di Marco Aurelio, che fu imperatore e filosofo insieme. Qualcosa di analogo avviene per la retorica, la cui collocazione nei secoli è di diversa coloritura politica. Non c’è dubbio, innanzitutto, che la retorica sia nata da istanze democratiche, sia nel mondo greco sia in quello romano. La sua origine è tradizionalmente collocata in Sicilia, al tempo della caduta delle tirannidi di Terone e Trasideo ad Agrigento e di Ierone e del fratello Trasibulo a Siracusa. I tiranni avevano operato delle deportazioni, dei trasferimenti di popolazione e delle espropriazioni per assegnare lotti di terreno ai mercenari; quando vennero rovesciati dalle forze democratiche, negli anni che vanno dal 480 al 465 circa a. C., si ebbero in Sicilia numerosi processi per ripristinare i diritti di proprietà confiscati illegalmente. Si trattava allora di convincere le giurie popolari della bontà delle rivendicazioni degli antichi proprietari, e per convincere bisognava essere eloquenti: a tale scopo sorsero le prime scuole di retorica, che insegnavano l’arte del parlare in tribunale. Comparvero così i primi maestri e insieme i primi manualetti (detti Téchnai) a uso di chi dibatteva in giudizio: come iniziatori di quella tecnica retorica conosciamo i nomi prima di Còrace e poi di Tisia, alunno del quale fu poi il giovane Gorgia, destinato a diventare il celebre sofista. La retorica ebbe dunque questo avvio di natura giudiziaria, suscitata dalla sollevazione antitirannica. Secondo la testimonianza di Aristotele, ad Agrigento fu invece il filosofo Empedocle a guidare la transizione dalla tirannide alla democrazia, indirizzando il popolo con la saggezza del suo eloquio: e fu, evidentemente, un apporto retorico di tipo non giudiziario, ma più esplicitamente politico, rivolto alle decisioni da prendere in quel momento. Fu l’origine del «genere deliberativo della retorica».
Anche a Roma le origini furono di stampo democratico, e risalgono all’inizio del I secolo a. C. Conosciamo il nome del primo maestro di retorica, Plozio Gallo, e sappiamo che i primi esperti in questo campo, i cosiddetti Retori latini, godevano di un grande successo presso i giovani, che avevano colto nel loro insegnamento la chiave per aprire la strada politica e giuridica nella città. Ma ciò suscitò la diffidenza della classe senatoriale, che aveva inteso quel successo retorico come presupposto per una democratizzazione delle vie di accesso al potere. Dopo un anno di scuola dei Retori latini, fu emanato un editto da parte dei censori in carica, che riprovavano quel tipo di insegnamento, perché i giovani, così lamentavano, trascorrevano le giornate nell’ozio; i censori inoltre bollavano la nuova scuola come un’occasione di «sfacciataggine» e come una innovazione pericolosa dal punto di vista sociale. Con questi presupposti relativi alla nascita della retorica, è difficile spiegarne il rovesciamento di posizioni politiche nei secoli successivi. Possiamo solo affermare, sinteticamente, che se ne impadronì anche quella classe senatoria che all’inizio la osteggiava, ormai convinta della sua utilità: si comprese che era strumento di persuasione, di propaganda, di organizzazione del consenso. I maestri di retorica finirono per allinearsi alle posizioni del potere, ormai divenuto da repubblicano a imperiale. Nel primo secolo d. C. i nuovi retori propagandavano ormai l’idea e la missione dell’imperatore, e sarebbe stato proprio uno di loro, Quintiliano, ad assecondare culturalmente la repressione di Domiziano nei confronti dei filosofi.
Giornale di Brescia, 13.7.2004