Le recenti parole del Papa, che nei giorni più torridi dell’ estate ci hanno ricordato che la pioggia è un dono di Dio, ci hanno portato a riflettere in chiave spirituale sulla positività, gratuità, essenzialità di questo elemento vitale. In termini più laici l’ intuizione metafisica di Montale ci aveva detto, in Gloria del disteso mezzogiorno della raccolta Ossi di seppia, che "la buona pioggia è di là dallo squallore, / ma in attendere è gioia più compita". Risalendo nel tempo, si può affermare che da sempre la sapienza umana, anche precristiana greca e romana, ha sottolineato gli aspetti benefici dell’acqua e della pioggia che la reca.
Basta aprire quella miniera di notizie che è la Naturalis Historia di Plinio il Vecchio per rendersene conto. Il secondo libro della monumentale opera di Plinio è di argomento cosmografico: nella prima parte si dedica soprattutto a quella che per noi è l’astronomia, poi il trattato passa alla geografia, occupandosi dei quattro elementi costituivi dell’universo, cioè acqua, aria, terra e fuoco. Il tono complessivo della narrazione pliniana è entusiastico, tutto proteso com’è alla celebrazione della Natura, madre benevola degli uomini, secondo i principi della dottrina filosofica stoica. All’interno del mondo naturale, è la terra soprattutto a meritare, secondo lo studioso comasco, l’appellativo di madre: perché è tutta positiva, in qualunque modo la si consideri.
L’acqua invece presenta aspetti duplici, perché essa, scrive, può indurirsi in grandine, rigonfiarsi in flutti, abbattersi in torrenti; e può essere anche salata, se raggiunta dalla vampa del sole, che brucia e consuma ogni cosa. A questo punto Plinio si lancia in una sottile, ma insieme curiosa teoria, emblematica del modo di raccontare dell’ autore, che spesso riporta acriticamente quelle notizie che trova scritte nelle innumerevoli fonti utilizzate.
La teoria è questa, legata all’ influsso delle stelle sulla nostra vita: il sole è stella maschile, che col suo calore prosciuga i liquidi; invece la luna è stella femminile, depositaria del soffio vitale, nutrimento della terra, apportatrice di vita quando si avvicina e negatrice della stessa quando si allontana. L’acqua soggiace all’azione di entrambi gli astri; dove prevale il sole, essa scompare perché asciugata, oppure, se riesce a restare, risulta salata, come avviene nel mare; viceversa, se prevale la luna, si hanno le acque dolci, quelle delle sorgenti, dei fiumi, dei laghi. L’acqua salata risulta più amara e più densa; invece, più leggera è quella dolce.
Sulla base di questa distinzione, Plinio può credere a strane notizie a proposito di una circolazione di acque dolci al di sopra di acque salate, che accadrebbe nel nostro lago di Garda. Infatti nel Benàco (il nome Garda non compare nella latinità classica, ma solo da quella altomedievale in poi) si verificherebbe secondo la fantasia della Naturalis Historia una sovrapposizione di correnti dolci, più leggere, a quelle più pesanti del fondo: perché, come nel Lario e nel Verbano, il fondo assomiglia a un mare e le acque ne hanno le caratteristiche, mentre il Mincio (che Plinio considera anche immissario del Benaco), l’Adda e il Ticino sono totalmente costituiti da acqua dolce e con questa caratteristica la immettono nei rispettivi laghi.
La positività dell’acqua dolce porta a numerosi, incredibili fenomeni, che Plinio racconta per il gusto della narrazione piacevole e con la consueta disinvoltura acritica. Esisterebbero dunque fiumi che scorrono sotto il mare, per ribrezzo verso le acque salate: è il caso della fonte Aretusa di Siracusa, dove arriva l’acqua del fiume greco Alfeo, transitato sotto le onde dello Ionio. Oppure esisterebbero fiumi che colorano gli animali che vi si abbeverano, per cui c’è il Melas della Beozia che rende nere le pecore assetate, mentre il Cefiso dell’Attica le fa uscire bianche e lo Xanto dell’Asia Minore rossastre. In realtà si tratta di tentativi di spiegare il nome del fiume, che esprime un colore: Melas significa nero e Xanto è fulvo, ad esempio.
Un’ultima amenità può risultarci oggi utile: nel Salento, presso la città di Manduria c’è un lago, pieno d’acqua fino ai bordi, che non cala mai di livello, neppure se vi si attinge. Noi non lo sapevamo, ma ora sarà bene segnarlo subito a chi di dovere, vista la siccità di quest’estate.
Giornale di Brescia, 2.8.2003.