Seneca scrive all’inizio dell’epistola 18 che dicembre è il mese in cui la città di Roma sudat particolarmente. Sudat in senso metaforico: si affanna, si dà da fare in tutti i sensi, sia nel lavorare, sia nel prepararsi alla grande festa. La festa in arrivo era quella dei Saturnali, che si svolgevano per tre giorni a partire dal 17 dicembre; poi la loro durata venne progressivamente allungata, fino ad arrivare anche al 24 dicembre: perciò comprendevano il solstizio invernale, alle cui soglie invece, in origine, si fermavano. Seneca lamentava la dissolutezza dilagante a Roma durante quella festa. In effetti, dopo il primo giorno, dedicato a diversi riti sacrificali in onore di Saturno, nei seguenti la folla, abbandonato il lavoro quotidiano, si dava a feste simili a orge e a un’allegria sfrenata, a volte anche trasgressiva. Il problema vero però era, secondo la critica del filosofo, che anche i giorni lavorativi di dicembre che precedevano i Saturnali erano all’insegna di una vera e propria frenesia per la festa, e tutto si faceva in funzione di essa. Concludeva Seneca: una volta dicembre era un mese, ora invece è tutto l’anno, vista l’estensione del divertimento a ogni circostanza possibile, al di là del calendario. La prima caratteristica dei Saturnali era l’astensione dal lavoro; la seconda che in essa si svolgevano distribuzioni di cibo alla plebe e festeggiamenti, anche se questi erano di per sé frequentissimi, visto che occupavano almeno la metà dei giorni del calendario romano: in questo caso si trattava delle feste dette anche dei Brumalia, cioè dei giorni più brevi dell’anno (la bruma era la brevima dies, cioè il dì più corto). Come terza caratteristica si può aggiungere l’abitudine di scambiarsi i doni all’interno della famiglia, soprattutto pupazzi, bamboline e candele di cera, e inoltre pani a forma di statue di divinità e di animali, come le nostre colombe pasquali. Una parte della critica vede nei doni in occasione dei Saturnali l’origine dello scambio natalizio dei regali. Ma, soprattutto, era rilevante un’altra caratteristica di quei giorni: cioè lo scambio dei ruoli tra padroni e schiavi. Si organizzavano infatti dei banchetti, durante i quali il posto d’onore era riservato agli schiavi, serviti a tavola dai loro padroni che indossavano il pilleo, cioè il berretto dei liberti: ed era concessa la più totale libertà di parola, anche quando gli schiavi criticavano i difetti di chi li comandava. Era la libertas Decembri, come scrive Orazio in una satira: una antica tradizione, a lungo mantenuta, che faceva sì che Davo, uno schiavo del poeta, si azzardasse in quella occasione a dirgli ciò che altrimenti non avrebbe mai osato. Tutto avveniva nella cornice di un grande banchetto, che dava origine a bevute più abbondanti del solito, oltrepassando freni e misure consuete: è sempre Orazio a stupirsi di ricevere la visita di un filosofo, che gli appare stranamente sobrio nonostante i Saturnali. Catullo, anche se non sembra indulgere particolarmente ai banchetti, esulta di questa possibilità di festa, tanto da definire questi giorni come i migliori dell’anno. Anche lui però deve subire il rovesciamento tradizionale dei rapporti sociali, perché gli viene inviato un regalo sgradito: un’antologia di poetastri rivali, che Catullo considera una sorta di raccolta di veleni in rima. L’origine della trasgressione dei Saturnali viene ricondotta alle feste antichissime in onore del dio Saturno, giunto secondo il mito nel Lazio delle origini a portare la felicità e l’abbondanza dei raccolti senza la fatica del lavoro. Si trattava, nella credenza popolare romana, di una sorta di età dell’oro da ogni punto di vista, poi bruscamente interrotta dalla scomparsa del dio, che si diceva recatosi altrove. In ricordo di Saturno sarebbero stati istituiti questi giorni di beato disordine, considerati necessari per conservare il senso delle origini felici e superare la paura invernale. Come abbiamo visto, venivano celebrati alla vigilia del solstizio d’inverno, quando la paura attanagliava gli uomini per la progressiva brevità della luce solare, come se questa non dovesse più tornare a riscaldare e illuminare la vita degli uomini. I Saturnali erano una forma di reazione, dunque, alle varie nature di angoscia esistenziale: la festa, i doni come espressione di affetto reciproco, l’inversione dei rapporti sociali ne erano gli ingredienti.
Giornale di Brescia, 16.12.2003.