Quando gli antichi eruditi greci e romani si chiedevano se fossero i principi contrapposti dell’anomalia o dell’analogia a far sorgere il linguaggio, si ponevano in termini retorici un interrogativo che potremmo banalizzare così: sono le cose, cioè la realtà in cui viviamo, a creare le parole, oppure sono le parole a interpretare, guidare, suggerire la realtà? Le risposte, degli antichi e dei moderni, sono sempre state diverse. Innanzitutto alcuni propendevano e propendono o per l’uno o per l’altro punto di vista. Molti invece affermavano allora e ribadiscono anche oggi che sono veri entrambi gli aspetti, pur se in misura diversa: se è innegabile che, di solito, sia la realtà a creare il linguaggio, è però altrettanto vero che a volte avviene il contrario, soprattutto con i nomi propri: sono alcuni nomi infatti a spiegare altri nomi di persona e quindi a influenzare col loro significato, in qualche misura, la realtà storica. Prendiamo il caso del taglio cosiddetto cesareo. Ogni buon dizionario spiega l’aggettivo ricorrendo a una frase di Plinio il Vecchio, che scrive che esso si chiama così (in latino era sectio caesarea) perché Giulio Cesare sarebbe nato caeso matris utero, cioè col parto mediante incisione del ventre materno. L’aggettivo cesareo del parto verrebbe dunque da Cesare: però tutti notano che la notizia di Plinio si basa su di un gioco di parole, che non può essere casuale. Il gioco consiste nell’accostare il participio caeso (che significa tagliato) non solo all’aggettivo caesareus, ma anche al nome di Caesar: quindi il futuro uomo politico, nato in questo modo, porterebbe un cognome che ne indicherebbe il tipo di nascita. Ma sappiamo che il cognome non è nato con lui, perché era già così per i suoi antenati, a partire dal padre che si chiamava esattamente come il più famoso figlio. Forse allora la spiegazione va rovesciata, per giungere alle conclusioni opposte: cesareo significa quello che sappiamo non perché Cesare sia nato così, ma perché l’aggettivo contiene la radice del taglio, della cesura, delle cesoie. Dunque la definizione di taglio cesareo ci dice due volte la stessa cosa: è un taglio che taglia. Del resto esempi di doppioni del genere non mancano in italiano: si pensi all’economia domestica, dove si dice due volte il nome della casa, la prima volta in greco (eco- è la trasformazione di oikos, casa) e la seconda in latino: domus. Oppure si pensi al legame religioso: ma anche la religione è etimologicamente un legame (da religare). E come spiegare dunque il cognome di famiglia dei Cesari, visto che il parto non c’entra più? La risposta viene dal confronto linguistico: sembra che la radice sia di origini etrusche, e quindi questo ci porta in altre direzioni, fuori dalle etimologie tradizionali. Un secondo esempio di rovesciamento delle solite etimologie ci viene offerto dal nome della città di Roma, che secondo la tradizione, e come tutti abbiamo studiato a scuola, sarebbe stato foggiato da Romolo sul suo personale, dopo essersi imposto sul fratello Remo. Quindi la parola Roma deriverebbe da Romolo: così vuole la leggenda della fondazione. Ma la storia linguistica ci dice esattamente il contrario: data l’esistenza assodata del nome di Roma, noto ormai da tempo, quando nel IV-III secolo a.C. vennero a formarsi le leggende sulla sua origine, fu inventato insieme ad esse il nome del suo fondatore, Romolo, modellato sul nome della città. Quindi prima venne il nome di Roma, poi quello di Romolo. La glottologia ci spiega ora non il nome del fondatore, ma il nome della città: e ci dice che viene da Rumon, che era il nome etrusco del Tevere. Roma è dunque la città del Tevere, l’antico Rumon. Sorte analoga ha la storia del nome della gens Iulia, la stirpe dei Cesari di cui s’è detto anche prima. Virgilio ne ricostruisce l’albero genealogico, dicendo che essi discendono da Iulo, figlio di Enea e quindi capostipite dei Romani. Ma per fare questo ha bisogno di inventare il nome Iulus quale appellativo di quello che noi conosciamo come figlio di Enea, col nome di Ascanio. Certamente la tradizione e il modello omerico non conoscevano il nome Iulo: creandolo, Virgilio ha voluto indirizzare la storia contemporanea verso pretese origini troiane, che erano funzionali alle celebrazioni della famiglia in quel momento regnante a Roma.
Giornale di Brescia, 9.11.2004