Le recenti tragedie sul mare hanno riproposto la drammatica realtà di uomini disperati che cercano l’approdo in nuove terre, nella speranza di migliori condizioni di vita. Il fenomeno della trasmigrazione dei popoli non è di oggi, ma esiste da sempre, da quando il bisogno alimentare, oppure le condizioni socio-politiche, o ancora l’eccesso di popolazione in rapporto al territorio sfruttabile, hanno dato il via a questo tipo di viaggi. Anche la storia e la poesia greca ci parlano con più voci di colonizzatori ricchi e insieme di naviganti poveri, di viaggi rischiosi e di avventure di ogni genere durante la navigazione.
Soprattutto nelle fasi più remote della sua storia, l’uomo greco antico, di fronte alla tragedia marina, non attribuisce le colpe alle navi, al carico o all’imperizia dei marinai, ma trasfigura la vicenda con l’aiuto di un repertorio mitologico: intervengono allora le più svariate divinità a determinare l’esito favorevole o meno di spedizione, di una traversata delle acque, o di un approdo in un’ altra terra ultramarina. Si sa che il mito, nella fase arcaica del pensiero greco, è una specie di travestimento della realtà naturale: perciò lo è anche quando si tratta di una tempesta marina, di un naufragio o di un intervento salvifico.
L’Odissea di Omero, così ricca di episodi che si svolgono sul mare (basta pensare ai viaggi del protagonista) offre molti esempi di come il mito interpreta e spiega gli episodi che accadono durante la navigazione.
Ripensiamo al celebre pericolo per i marinai rappresentato da Scilla e Cariddi, i due mostri che la tradizione collocava nello stretto di Messina. Anche Ulisse doveva passarvi, evitando di cadere nelle braccia dell’ uno e dell’ altro: cioè, diremmo noi, facendo in modo di non sbattere con la nave contro le scogliere contrapposte, col pericolo di una risacca che attirava la nave e la inghiottiva tra i flutti. Quando la manovra non aveva successo, accadevano, e di frequente, le sciagure.
Di fronte a queste pericoli, qual era la spiegazione omerica, cioè del mito greco in quella remota fase? Era quella che parlava dei due famosi mostri contrapposti, uno (Cariddi) che inghiottiva le acque del mare, e poi le rigettava, facendo gorgogliare le onde; quando le riassorbiva, la scogliera mugghiava spaventosamente. Per chi si accostava troppo dall’ altra parte, Scilla come un mostro animale, dotato di tre file di denti e sei colli, afferrava i marinai, che una volta sbalzati dalla nave, finivano contro la roccia dove venivano divorati.
Ma se questo rischio venne evitato da Odisseo, non così accadde in altre circostanze, in cui anch’egli fece naufragio. La tempesta sul mare che incontrò mentre stava navigando verso Itaca, proveniente dall’ isola di Ogigia, era una normale vicenda dovuta a uno sconvolgimento meteorologico, con momenti di paura che si alternavano alla speranza di salvezza, in un’altalena di situazioni e sentimenti. Ma il mito, anche in questo caso, traveste il racconto poetico in maniera diversa.
Il fatto è raccontato nel quinto libro dell’ Odissea, quando l’eroe greco sta per giungere in patria con una zattera, dopo lunghi anni di assenza. Ma lo scorge il dio del mare Posidone, al quale egli ha accecato il figlio Polifemo: da qui la vendetta del padre, che scatena la tempesta di quelle acque di cui è sovrano. Le onde impetuose e ribollenti sbalzano Ulisse dalla zattera e lo scagliano lontano, dove sta per scomparire tra i flutti; ma ora è un’altra divinità a intervenire, in questo caso Atena. La dea della civetta è da sempre protettrice del re di Itaca, e anche ora si prodiga a suo favore: fa cessare i venti e il mare trova un po’ di tranquillità. Ma prima ancora era stata un’altra divinità a muoversi a compassione di Odisseo, cioè Ino Leucotea. Questa l’ aveva esortato a lasciar perdere la zattera troppo lontana, e a volgersi invece a nuoto verso la riva, protetto da un velo divino, fornito dalla stessa. É una sorta di appoggio, che trattienea galla il malcapitato e gli permette di nuotare.
Sono gli dei dunque a decidere le vicende umane, sulla terra e sul mare, naturalmente: l’uomo è in balia di queste forze (anche se esiste un accenno di volontà e di determinazione umana), dal cui atteggiamento dipende lo svolgersi favorevole degli eventi o il determinarsi delle tragedie, altrimenti incomprensibili.
Giornale di Brescia, 30.6.2003.