Quale fu l’atteggiamento di Erasmo di fronte a Lutero e di Lutero verso Erasmo? Grazie alla pubblicazione dell’epistolario erasmiano, disponiamo di documenti che gettano una luce non dubbia sulle ragioni di fondo che avvicinano e separano, attraverso tappe successive, colui che fu il più autorevole propugnatore della riforma cattolica e l’iniziatore della riforma protestante.
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Erasmo pubblicò tante opere, ma del grande umanista spesso si dimentica che egli fu eminente biblista, autore di scritti spirituali, infaticabile editore della Patristica. Egli svolse un lavoro immenso nella esegesi del Nuovo Testamento e per la conoscenza dei classici del pensiero cristiano, e non certo in un’atmosfera di sereno raccoglimento; al contrario, imperversava la bufera ed egli vi si trovava in mezzo. Negli anni in cui esplode la protesta di Lutero e la divisione dei cristiani si va paurosamente approfondendo, Erasmo è, suo malgrado, in una posizione difficile, che ognuna delle parti in conflitto quasi inevitabilmente fraintende e cerca di strumentalizzare prima, di combattere poi. Così, alla fine, il grande umanista è costretto a impegnarsi direttamente in un serrato confronto sia con i luterani, sia con gl’integralisti cattolici.
L’anno successivo alla pubblicazione erasmiana del Nuovo Testamento in greco e nella versione latina, nel 1517, Lutero affisse alla porta del castello di Wittenberg le 95 tesi. Erasmo ne inviò una copia all’amico Moro, aggiungendo che non vi trovava nulla di riprovevole a parte una certa asprezza di tono. Giudicava invece sciocca e del tutto inadeguata la confusione delle tesi compiuta dal domenicano Silvestro Prierias e ingiusto il violento attacco del teologo tedesco Giovanni Eck a Lutero, che fino a quel momento aveva parlato con moderazione del potere del pontefice. Le tesi dicono cose approvabili da tutti, salvo alcuni punti relativi alla dottrina del purgatorio. «Io non condanno le indulgenze – precisa Erasmo – ma il loro sudicio traffico, destinato a riempire i forzieri, non a stimolare la pietà» (Opus epistolarum Desiderii Erasmi Roterodami, ed. Percy Stafford Allen e altri, Oxford, 1906 – 1958; vol. V, 1299). Esistono dunque obiettivi comuni e comuni analogie tra alcuni punti del programma erasmiano di riforma morale e religiosa e certi aspetti della protesta di Lutero. Malgrado la tensione degli animi, pur mettendo in conto le strumentalizzazioni e i fraintendimenti a cui si esponeva, Erasmo lo riconosce con grande franchezza scrivendo a Filippo Melantone, il giovane grecista fattosi compagno di Lutero (op. cit., IV, 1113), e allo stesso Zwingli: «Mi pare di aver insegnato io stesso quello che insegna Lutero, ma senza paradossi ed enigmi» (op. cit., V, 1334). Ma, appunto, gli enigmi e i paradossi dottrinali, a cui si intrecciava in Lutero l’esigenza riformatrice, vennero alla luce nel volger di pochi anni e diventarono fin troppo numerosi.
L’umanista cristiano amava pensare a Lutero come al vigoroso campione che attacca con coraggio degenerazioni e abusi della cristianità e della prassi ecclesiastica, preoccupato solo di liberare la chiesa dalle sue impurità: insomma, come è stato ben detto da Pierre Mesnard, «Erasmo amava in Lutero l’Erasmo che avrebbe potuto essere».
Tra i due uomini che avrebbero rappresentato agli occhi dei posteri le due riforme, quella cattolica e quella protestante, ci fu anche uno scambio di lettere. Lutero scrive direttamente ad Erasmo la sua prima lettera il 18 marzo ’19 perché desidera ottenerne l’appoggio, ben conoscendo il credito immenso di cui l’umanista gode nel mondo intellettuale. In precedenza, Lutero aveva confidato a uno dei suoi partigiani le sue riserve su Erasmo in questi termini: «Sto leggendo il nostro Erasmo. Di giorno in giorno la mia simpatia per lui diminuisce. Temo che non faccia abbastanza conto del Cristo e della grazia di Dio… In Erasmo le cose umane prevalgono su quelle divine» (Martin Luthers Briefwechsel I, Weimar, 1930, p. 90). Qui tuttavia fa ad Erasmo un sacco di complimenti. «Spesso converso con te, e tu con me, Erasmo, nostro decoro e nostra speranza, benché ancora non ci siamo incontrati. Non c’è in questo qualcosa di prodigioso? No, non è un miracolo, è una cosa di tutti i giorni. E c’è qualcuno il cui santuario intimo non sia occupato da Erasmo, che non sia istruito da Erasmo, sul cui spirito Erasmo non regni? Mi rallegro di scoprire, tra gli altri doni del Cristo, l’avversione che ispiri a tanti… Mi congratulo con te che piaci profondamente ai buoni e altrettanto dispiaci a coloro che vogliono tenere da soli i primi posti».
Erasmo gli risponde il 30 maggio con una lettera cortese in cui si fanno tre importanti precisazioni. La prima è questa: «Fino ad ora non è stato possibile toglier di testa alla gente l’idea del tutto falsa che i tuoi scritti siano stati frutto di una specie di dettatura mia, e che io sia, come pretendono chiamarmi, il vessillifero del tuo partito». La seconda è: «Per parte mia, finché potrò, resterò neutrale». La terza esprime in modo delicato la sua preoccupazione più grande, quella di veder rovinato l’impegno per la riforma dall’abbandono dello spirito cristiano e dei mezzi che quello spirito comanda: «Bisogna badare che il nostro cuore non si corrompa per il risentimento, o per l’odio, o per la sete di gloria. Quest’ultima ci minaccia anche in mezzo al nostro zelo fatto di pietà».
La ricerca di una conciliazione.
Quando si rivolge a corrispondenti cattolici a cui può confidarsi a cuore aperto, Erasmo insiste con forza sul dovere della chiesa di Roma di individuare onestamente quei punti su cui Lutero ha ragione e di ricercare sul resto, prima che sia troppo tardi, una onorevole intesa per evitare sia lo scisma che l’esplosione della violenza. Al riformatore tedesco manca certamente la misura nel linguaggio e talora anche nelle decisioni; ma non si può negare – scrive Erasmo a Willibald Pirckheimer – che «un simile ingegno sembrava dover essere un mezzo insigne per proclamare la verità del Vangelo» e che la sua opera rischiava di essere rovinata anche a causa della esasperazione prodotta in lui «dalle furibonde campagne di certuni».
A Erasmo agl’inizi della protesta di Lutero, preme molto far capire alla gerarchia cattolica e al potere politico che non si trattava di «una bega tra frati» e che il teologo di Wittenberg meritava la più attenta considerazione. Il 19 ottobre 1519 nella lettera inviata ad Alberto di Brandeburgo, arcivescovo di Magonza, Erasmo ricorda che è troppo facile emettere superbe condanne prima di aver esaminato con la serenità dovuta i problemi in discussione e la parte di verità contenuta nella protesta luterana. Erasmo si batte apertamente perché non si impieghino contro Lutero i procedimenti inquisitoriali, giacché la cosiddetta «maniera forte» non può conseguire in religione che tristi risultati. «È cristiano, io credo, trattare Lutero in modo da impedire, se innocente, che fazioni disoneste lo annientino. Se è nell’errore, mi auguro il suo ravvedimento, non la sua dannazione» (op. cit., IV, 101).
Nell’estate del ’20, però, gli eventi cominciarono a precipitare. La folla papale Exurge Domine del 15 giugno condannava ufficialmente 41 errori di Lutero. Quella bolla apparve ad Erasmo un errore, un diktat, un documento che «non si accordava affatto con lo spirito gentile di papa Leone» (op. cit., IV, 365) e che avrebbe potuto avere conseguenze disastrose per l’unità della chiesa. In settembre Erasmo scrisse al papa in persona ed ebbe il coraggio di esprimersi in termini che suonavano come riserva sulla bolla. Il tasto su cui si batte Erasmo è: prima di condannare Lutero e minacciargli la scomunica, occorre conoscere, comprendere le sue idee e, quando è il caso, confutarle. «Gli spiriti liberi e nobili si rallegrano di venire istruiti, ma non vogliono essere costretti». Il grande umanista invita, insomma, a fare ogni sforzo per cercare un margine di discussione e tenere aperto un canale allo scopo di scongiurare la tragedia.
Di qui anche la sua proposta di istituire una corte arbitrale: esperti di grande prestigio – nominati da Carlo V, Enrico VIII e Luigi d’Ungheria – avrebbero sentito Lutero e poi emesso il verdetto. Il progetto nasceva dalla paura del peggio e tendeva ad evitare irrigidimenti e condanne, ma non trovò accoglienza. Erasmo, d’altra parte, era persuaso, e forse non a torto, che fino a quel momento nessuna delle verità fondamentali della fede fosse stata negata da Lutero e che, dunque, la riconciliazione fosse ancora possibile. La speranza di Erasmo ricevette una dolorosa smentita quando apparve, ancora nel ’20, La schiavitù babilonese, l’opera in cui Lutero sanciva per la prima volta il suo distacco dalla chiesa cattolica. Erasmo, però, non volle arrendersi e decise di proseguire nella sua azione che possiamo chiamare «ecumenica ante litteram».
Giornale di Brescia, 25 settembre 1992.