Città & Dintorni, 31 agosto 2009
Già la scelta dei termini con cui si ricorda l’avvenimento chiave dell’anno 1989 è significativa: noi in Italia, che sentiamo lontane, e non solo nel tempo, quelle vicende parliamo della caduta del Muro di Berlino, in Germania si parla invece della “Rivoluzione Pacifica”. Proprio questo termine ben evidenzia come la fine della dittatura comunista della Germania dell’Est fu il frutto di una lenta evoluzione, cui parteciparono con uguale impegno e passione sia coloro che aspiravano ad una riforma democratica dall’interno, come oppositori, dissidenti e gruppi di base, sia gli sfiduciati che avevano chiesto il permesso di espatriare all’Ovest, tutti riuniti e sostenuti dalla Chiesa tedesca. Questi attori si incontrarono e unirono le loro migliori capacità in un insolito connubio, specie per un paese del socialismo reale, dando vita ad una miscela esplosiva e pacifica al tempo stesso. Gli attivisti dei movimenti, soprattutto giovani, portavano l’entusiasmo; la Chiesa apriva le sue porte, insegnava il messaggio evangelico della nonviolenza e praticava l’assistenza ai perseguitati in nome della giustizia. In questa Chiesa si sono trovati fianco a fianco pastori protestanti, sacerdoti cattolici, laici cristiani e non battezzati, tutti però assetati di libertà, giustizia e verità. Solo in questo modo si realizzò quello che molti dei protagonisti di allora considerano il miracolo dell’89: il crollo del comunismo attraverso una rivolta pacifica e questo proprio in Germania, il paese che nel corso del XX secolo aveva iniziato due guerre mondiali, aveva realizzato lo sterminio sistematico del popolo ebraico, degli zingari, dei disabili e degli oppositori cioè degli Untermenschen, i sottouomini.
Le vicende della Nikolaikirche (chiesa di San Nicola) a Lipsia, sconosciute alla maggioranza del pubblico italiano, ben presentano il ruolo determinante svolto dall’interazione tra i gruppi di base, gli sfiduciati e la Chiesa sia nella preparazione che nello svolgimento della Rivoluzione Pacifica dell’autunno 1989 e riaprono la domanda sulle radici cristiane dell’Europa, come pure sulla missione della Chiesa nella società. La rilettura di quegli avvenimenti ci ripropone una riflessione di Pietro Scoppola che annotava: “è impossibile immaginare un futuro per le nostre società senza un vigoroso apporto di energie morali… e un vigoroso apporto di energie morali è difficilmente pensabile senza il contributo delle grandi esperienze religiose che possano svolgere un ruolo fecondo di lievito della vita sociale e di animazione della democrazia”.
Le preghiere per la Pace della Nikolaikirche di Lipsia
Il Pastore luterano Christian Führer, parroco di San Nicola dal 1980 al 2008, ci ha raccontato che iniziò nel novembre del 1981, quando con un gruppo di giovani della parrocchia si fece promotore della “Decade per la Pace”: 10 giorni di preghiera per la Pace, come risposta al riarmo delle grandi potenze USA e URSS che pianificavano l’installazione sul suolo europeo, e in particolare ai due lati del confine infratedesco, dei missili a media gittata Pershing e Cruise, appositamente creati per annientare le principali città europee dell’avversario. Tra i giovani raccolti nella chiesa di San Nicola in quella prima occasione i non battezzati erano la maggioranza, eppure seduti intorno ad una grande croce di legno grezzo, posta per terra davanti all’altare, tutti, dopo un canto e dopo aver ascoltato un passo della Sacra Scrittura e il suo commento, trovarono il coraggio di esprimere le loro preoccupazioni o di formulare una preghiera, deponendo poi una candela accesa sullo spoglio legno di quella croce. Col progredire della serata uscivano le aspirazioni di pace e le paure di quei giovani, in particolare il timore che si scatenasse una nuova guerra nel cuore dell’Europa; al tempo stesso la croce di legno grezzo si riempiva di candele accese e si trasformava poco a poco da strumento di morte in simbolo di luce e di speranza. Ai giovani piacque questo incontro, che offrì loro la possibilità di esprimersi liberamente, senza che alcuno li ammonisse che quei loro pensieri non erano conformi alle direttive del partito e non idonei per un bravo cittadino della DDR. La chiesa di San Nicola era diventata l’arca in cui la loro ansia di libertà poteva esprimersi e misurarsi con il messaggio di speranza del Vangelo, in pieno contrasto con la violenza e la militarizzazione della società civile della DDR. Infatti “per gli ideologi della DDR ogni diversità di opinione e di comportamento era definita come controrivoluzionaria e quindi da combattere con ogni mezzo” , come pure l’educazione alla lotta di classe e all’odio iniziavano nella DDR già negli anni dell’asilo infantile, mentre a partire dalla prima superiore di ogni scuola era obbligatorio frequentare le lezioni di arte militare.
La corsa agli armamenti proseguiva all’Est come all’Ovest e i giovani di quegli anni da una parte e dall’altra della cortina di ferro dimostravano come potevano la loro disapprovazione alla politica di violenza dei due blocchi contrapposti. In questo contesto nacque intorno alla Chiesa Evangelica della DDR il movimento per la Pace che aveva come motto ed emblema il passo biblico del profeta Michea: “Forgiate le spade in vomeri”. Alcuni giovani del movimento per la Pace di Lipsia osservarono che per loro non era sufficiente impegnarsi solo 10 giorni all’anno per la Pace e chiesero di tenere una preghiera settimanale, così dal 20 settembre 1982 ogni lunedì pomeriggio alle 17 nella Nikolaikirche di Lipsia si tiene una preghiera per la Pace. In questo modo il messaggio evangelico di amore tra gli uomini, tutti figli di uno stesso Padre e fratelli in Cristo raggiungeva persone che non lo avevano mai sentito e che entravano in chiesa solo perché essa offriva un tetto, uno spazio di libera comunicazione, in cui superare le frustrazioni e le paure della vita quotidiana. Stimolato dalla partecipazione di non credenti alle preghiere per la Pace il Pastore Führer appese in strada un cartello “Nikolaikirche: aperta a tutti” e soleva ripetere: “La Nikolaikirche è una chiesa priva di barriere sia per i disabili che per gli atei”.
Nell’animazione delle preghiere per la Pace si avvicendarono di settimana in settimana vari gruppi impegnati sia nel movimento nonviolento, che in quello per la salvaguardia del Creato, come pure un gruppo di sfiduciati in attesa di espatrio. Questi ultimi si rivolsero al pastore Führer nel 1987 chiedendo semplicemente ospitalità per riunirsi settimanalmente a discutere del loro problemi, perché nel firmare la formale domanda di espatrio, avevano perso tutti i diritti politici e spesso anche il posto di lavoro. Erano considerati dallo Stato cittadini ingrati, che “con il loro comportamento avevano calpestato i valori morali e si erano autoesclusi dalla società”, per i quali non si deve quindi “versare neppure una lacrima” come affermò Honecker nell’ottobre ’89, quando a decine e decine di migliaia fuggivano all’Ovest attraverso il confine austro-ungherese.
La partecipazione ebbe, come in tutte le cose, i suoi alti e bassi. Non mancarono i momenti di tensione tra coloro che aspiravano a rimanere nel Paese per riformarlo dall’interno e quelli che lo volevano solo lasciare, e il più presto possibile. Vi furono occasioni in cui la discussione politica ebbe il sopravvento sulla preghiera e il Pastore Führer dovette alzarsi in piedi su una sedia per chiedere di lasciare San Nicola e proseguire il dibattito fuori in piazza. Sicuramente ci furono infiltrati e provocatori della Stasi, la famigerata polizia segreta, tuttavia le preghiere per la Pace del lunedì pomeriggio a San Nicola proseguirono ininterrotte durante il regime della DDR e continuano anche oggi. Il loro schema era semplice, appositamente scelto per non creare barriere tra chi frequentava la chiesa e chi invece non era neppure battezzato: saluto di benvenuto, un canto, lettura di un passo biblico e suo commento da parte di un pastore luterano o di un sacerdote cattolico, preghiera dei fedeli, annunci e scambio d’informazioni, benedizione e canto finale. Le preghiere dei fedeli, liberamente formulate dai presenti, offrivano l’occasione per esternare preoccupazioni personali, ricordare persone arrestate e fatti di attualità, ad esse si aggiungeva secondo le necessità anche una colletta per contribuire al pagamento delle multe inflitte agli oppositori, come nel caso di Jürgen Tallig condannato a pagare 6.000 Marchi per aver scritto sui muri di Lipsia una frase di Gorbaciov: “abbiamo bisogno della democrazia come dell’aria che respiriamo”.
Anche il tempo dedicato agli annunci era importante, perché in uno Stato dove la censura controllava tutte le pubblicazioni e la polizia segreta raccoglieva costantemente informazioni sui suoi cittadini, era quello un momento in cui poteva circolare una qualche notizia sull’attività dei gruppi dell’opposizione, pur nella consapevolezza che erano comunque presenti, mescolati tra il normale pubblico, anche informatori della Stasi. Nel settembre ‘89 , quando la polizia iniziò una nuova massiccia ondata di arresti, quello spazio degli annunci offriva l’occasione per rendere pubblici i nomi degli arrestati e toglierli così dall’anonimato, altro strumento di violenza psicologica cui il regime sottoponeva gli oppositori. Vi erano infine le bacheche di San Nicola per affiggere richieste di aiuto in generale o di preghiera per superare una situazione personale difficile, per esporre i più intimi sentimenti che agitavano il cuore delle persone. Oltre il valore intrinseco della preghiera queste riunioni settimanali permettevano la condivisione di preoccupazioni e speranze e alimentavano in molti il coraggio morale per proseguire la vita in quel regime così lontano dalle aspirazioni dei suoi cittadini.
L’anno 1989: gli ultimi sussulti del regime
La violenza immanente al regime della DDR si rivelò ancora una volta negli arresti di massa del 15 gennaio ’89, che a Lipsia colpirono un gruppo di attivisti scesi in strada, in occasione della commemorazione ufficiale di Stato dell’assassinio di Rosa Luxemburg e di Karl Liebknecht, per chiedere libertà di opinione e protestare contro la censura che era giunta persino a vietare la pubblicazione della rivista sovietica in lingua tedesca Sputnik e la proiezione di film sovietici, perché portatori delle nuove aperture ispirate dalla perestrojka e dalla glasnost di Gorbaciov. In risposta alla brutalità dello Stato si organizzarono nella Nikolaikirche preghiere quotidiane per gli arrestati. In quegli stessi giorni però una delegazione della DDR partecipava a Vienna alla conferenza della CSCE, l’organismo che aveva elaborato gli accordi di Helsinki e vegliava sulla loro applicazione. Il 19 gennaio ’89 Honecker proclamò che il Muro, il “vallo antifascista”, “resterà anche per i prossimi 50 o 100 anni, cioè fino a quando non saranno rimosse le condizioni che portarono alla sua costruzione”.
Il 5 febbraio ‘89 la polizia di frontiera uccise a Berlino Chris Gueffroy, un giovane ventenne, mentre tentava di scavalcare il Muro. Il suo compagno di fuga Christian Gaudian, ferito ad un piede, fu invece arrestato e condannato a tre anni di reclusione. Solo dopo le proteste internazionali seguite a questa morte, l’ultima di una lunga serie di vittime: 45 uccise dalle mine e dagli impianti di sparo automatici, oltre 200 fucilate, e qualche centinaio di feriti, la DDR sospese l’ordine di sparare a chi cercava di varcare il Muro.
Nel febbraio ’89 a Praga per l’ennesima volta Vaclav Havel fu condannato a nove mesi di carcere; nella Nikolaikirche si espose uno striscione con l’appello “Libertà per Havel e per tutti gli arrestati cecoslovacchi” e si pregò per loro.
In quei primi mesi dell’89 in Polonia Solidarnosc era stata ammessa alla “tavola rotonda” dei colloqui con il governo per stabilire un graduale passaggio pacifico alla democrazia e in seguito alle libere elezioni del giugno Tadeusz Mazowiecki, divenne primo ministro polacco. Il 2 maggio ’89 il governo ungherese aboliva l’ordine di sparare a chi varcava il confine illegalmente e demoliva le barriere di filo spinato lungo il confine con l’Austria, aprendo di fatto una breccia nella cortina di ferro che separava l’Europa comunista da quella libera.
Il 7 maggio ’89 si svolsero le elezioni amministrative per il rinnovo dei consigli comunali in tutta la DDR. La scheda elettorale presentava un’unica lista dei candidati, predisposta dalla SED, il partito unitario socialista tedesco, ed erano esclusi dal diritto di voto tutti coloro che non avevano partecipato alle precedenti elezioni o avevano chiesto l’autorizzazione ad espatriare o erano classificati come noti oppositori del regime. La buona educazione civica richiedeva che il cittadino esprimesse il suo consenso deponendo nell’urna la scheda intonsa senza neppure entrare nella cabina elettorale; l’unico modo per esprimere un voto contrario era la cancellazione rigorosa di tutti i nomi dei candidati; era sufficiente che ne restasse uno per considerare il voto come favorevole. Con queste premesse si era formato un ampio movimento per l’astensione, quale ultima forma di protesta rimasta ai cittadini. I gruppi di opposizione si erano invece attivati in tutto il paese per partecipare al voto e successivamente sorvegliare il corretto spoglio delle urne con propri rappresentanti presenti nei seggi elettorali. Quando già la sera di quella domenica 7 maggio furono proclamati i risultati ufficiali con una percentuale di votanti e di voti favorevoli molto vicina al 99 % fu chiaro a molti che si trattava di risultati fasulli, molto lontani dalla realtà del paese, l’ennesima riprova che il regime non voleva rendersi conto dei cambiamenti in corso nella società. Nelle settimane successive un gruppo di oppositori di Berlino Est proclamò il 7 di ogni mese giornata di protesta contro i brogli delle elezioni amministrative, organizzando mese per mese dimostrazioni, sempre disperse dalla polizia, con il solito seguito di fermi e arresti.
Il 4 giugno 1989 i carrarmati cinesi repressero con violenza la rivolta degli studenti di piazza Tiananmen a Pechino. Immediatamente dopo gli organi di stampa della DDR inneggiarono alla risposta autoritaria che aveva bloccato sul nascere la rivolta controrivoluzionaria. La televisione mostrò la violenza della repressione attraverso i filmati ufficiali cinesi, del tutto in contrasto con i filmati che tanti potevano vedere dalle televisioni della Germania Ovest. Il messaggio era chiaro: anche la DDR non esiterà a stroncare con la forza ogni tentativo di insurrezione. In quegli stessi mesi si formavano nuovi gruppi di opposizione, come Neues Forum, che diffondevano nuovi appelli per una riforma democratica interna alla DDR, come pure vi era un numero sempre crescente di persone che “protestava con i piedi” cioè espatriando o fuggendo nella Germania dell’Ovest sia attraverso l’Ungheria che invadendo le ambasciate della RFT a Praga, Varsavia e Budapest. A fine agosto erano già andate oltre 150.000 persone; in scuole e ospedali si cominciava a sentire la carenza di personale, perché, come documentò un’indagine della Stasi, la maggior parte dei fuggitivi erano laureati o diplomati sotto i 40 anni, che in passato non si erano mai distinti come oppositori o critici del regime e come tali occupavano posti di responsabilità; era gente normale che semplicemente non ne poteva più e se ne andava.
L’autunno dell’89 a Lipsia
A partire dal mese di settembre gli avvenimenti intorno alla Nikolaikirche registrarono un crescendo, sia a causa dell’intervento violento delle forze dello Stato che volevano stroncare le preghiere per la Pace, come pure grazie alla reazione di un numero sempre maggiore di cittadini di Lipsia, che sentivano l’impegno morale di difendere lo spazio di libertà offerto da quegli incontri.
Lunedì 4 settembre all’uscita dalla Nikolaikirche dopo la preghiera alcuni giovani esposero striscioni con appelli come: “Per un Paese aperto di gente libera”, “Libertà di viaggiare anziché fuga di massa”, “Libertà di riunione, libertà di associazione”. Per circa dieci, quindici secondi le telecamere dei reporter occidentali, presenti a Lipsia in occasione della fiera campionaria internazionale, riuscirono a filmare il corteo e gli striscioni, prima che agenti in borghese della Stasi li strappassero, gettando a terra quei giovani. In questo modo attraverso i telegiornali della RFT non solo i tedeschi dell’Ovest, ma anche quelli della DDR in grado di ricevere le trasmissioni dall‘Occidente conobbero le Preghiere per la Pace della Nikolaikirche.
Il lunedì successivo 11 settembre la polizia intervenne arrestando circa 100 persone, che all’uscita dalla Nikolaikirche si erano semplicemente fermate a discutere nella piazza antistante. La settimana seguente, lunedì 18 settembre, il Pastore Führer, prima di congedare l’assemblea, informò che in caso di arresto era opportuno gridare il proprio nome, affinché qualcuno lo raccogliesse e lo riferisse all’ufficio parrocchiale, dove si era pronti a stendere un elenco degli arrestati. Il giorno dopo il sovrintendente luterano di Lipsia Magirius intervenne presso le autorità per chiedere la liberazione immediata di tutti i fermati, come pure di quelli per i quali il fermo si era tramutato addirittura in arresto. Nei giorni che seguirono alcuni giovani ebbero l’idea di esporre sulla facciata della chiesa un manifesto con i nomi degli arrestati scritti a grandi lettere, affinché tutti i passanti potessero leggerli. Questo primo elenco fu strappato molto presto dalla polizia in borghese, si appese allora un altro manifesto, in alto, in posizione sicura dietro le inferriate della chiesa. Presto la gente accorse per leggere i nomi degli arrestati e deporre sul marciapiede, ai piedi di quell’elenco, fiori e candele accese. A quel punto le autorità cittadine iniziarono a pretendere dal pastore Führer che provvedesse a rimuovere senza indugio fiori e candele, perché a loro giudizio costituivano un pericolo per il passaggio dei pedoni. Dopo aver constatato che le loro richieste erano disattese e su quel marciapiede fiori e candele aumentavano di giorno in giorno, l’amministrazione comunale inviò nottetempo una squadra di netturbini, addirittura con uno spazzaneve, per rimuovere la colata di cera delle candele. Svegliato dal rumore dello spazzaneve il pastore poté osservare di persona dalle finestre della sua abitazione come i netturbini anziché fare piazza pulita, eliminassero solo i fiori appassiti e le candele ormai consumate, riassettando invece quanto poteva ancora fare bella mostra di sé. Anche quello fu un piccolo segnale del cambio che stava arrivando, perché forse per la prima volta in vita loro quei dipendenti comunali avevano scelto di disubbidire agli ordini dei superiori per agire secondo la loro intima convinzione. Comunque i segnali positivi erano troppo deboli e isolati, per cui molti o forse tutti si chiedevano: come reagirà il comitato centrale della SED, cosa deciderà Honecker, applicherà una “soluzione cinese” ?
Lunedì 25 settembre la chiesa di San Nicola si riempì di 2.000 – 2.500 persone e sulla porta si appese un cartello “Chiuso per sovraffollamento, chiediamo comprensione, stiamo cercando nuovi spazi”. Christoph Wonneberger, il pastore che con Führer aveva seguito fin dall’inizio le preghiere per la Pace, tenne una predica sulla nonviolenza ispirata dal vangelo “Chi afferra la spada perirà di spada, chi afferra il kalashnikov, deve mettere in conto un colpo alla testa … Chi arbitrariamente toglie agli altri la loro libertà, si troverà presto in un vicolo cieco. … Perciò noi che siamo qui riuniti dobbiamo farci forza della non violenza, anche verso i provocatori nascosti tra noi” . Al termine della preghiera una folla compresa tra le 4000 e le 8000 persone percorse in corteo una porzione dei viali del ring cittadino cantando “We shall overcome” , l’Internazionale e scandendo slogan come “Libertà” e “Autorizzate il Neues Forum”. Anche quello fu un segnale del cambiamento che si stava avvicinando, perché era evidente dal grande numero di partecipanti che oramai il lunedì sera, dopo la preghiera per la Pace, i cortei per le strade di Lipsia coinvolgevano un numero di persone ben superiore a quello dei fedeli raccolti in chiesa e degli oppositori tradizionali. Si trattava di persone che fino ad ora non avevano mai partecipato ad azioni di protesta, ma che avevano vinto la paura instillata dal regime nel corso degli anni. Cittadini, ai quali non era mai stata concessa la facoltà di esprimere i propri pensieri, volevano ora far sentire la propria voce ad uno Stato che, per salvaguardare un sistema ormai paralizzato e in disfacimento, reagiva solo con la violenza e con muto immobilismo. Può anche sembrare strano che in questo contesto si cantasse proprio l’Internazionale, tuttavia, come scrive un diretto protagonista: Martin Jankowski nel suo romanzo dedicato a quegli avvenimenti, quella era una delle poche canzoni che tutti conoscevano e cantare in coro aiutava a sentirsi uniti e dava coraggio per sfilare di fronte ai cordoni di polizia schierata. Nei giorni successivi il giornale di Lipsia riportò il commento di alcuni membri del partito che condannavano l’appropriazione indebita dell’inno dei lavoratori da parte dei dimostranti e dichiaravano di essere pronti a difendere con le armi le conquiste del socialismo.
Dopo questo primo corteo i pastori Führer e Wonneberger furono convocati dal procuratore della repubblica nel carcere di Lipsia e informati che rischiavano un processo come nemici dello Stato se non avessero immediatamente interrotto le preghiere per la Pace.
Il successivo lunedì 2 ottobre la città di Lipsia fu chiusa per i reporter occidentali come pure agli oppositori di altre province, mentre si aprì una seconda chiesa per accogliere tutti i fedeli accorsi alla preghiera della Pace ancora più numerosi della settimana precedente. Il tema delle prediche fu: “Rompere il silenzio, uscire dalla viltà”; il pastore Kaden nella Nikolaikirche ammonì: “Non è il tempo di rischiare, bensì quello di conservare il proprio cuore anche nel confronto con l’avversario politico.” Nella chiesa Riformata invece il sacerdote cattolico Venzke affermò:” La semente è sbocciata e sta portando frutto” . Al corteo che seguì parteciparono questa volta oltre 10.000 persone, un numero così alto che superò le aspettative della polizia, che già dalle prime ore del pomeriggio, in tenuta antisommossa e con i cani, presidiava il centro cittadino. In quella serata proprio sfilando davanti alla Polizia del Popolo, così era il nome ufficiale delle forze alle dipendenze del Ministero degli Interni, echeggiò per la prima volta quello che poi sarebbe diventato lo slogan della Rivoluzione Pacifica: “Noi siamo il popolo”, insieme con “No alla violenza” e “Non siamo teppisti”. Scandendo “Noi siamo il popolo” si proclamò una nuova scala di valori, dopo che per decenni lo Stato in nome del popolo e dell’affermazione del socialismo aveva sistematicamente violato i diritti umani. Quel grido si diffuse rapidamente e già sabato 7 ottobre fu scandito a Dresda da un corteo di oltre 20.000 persone. Anche lo slogan “Non siamo teppisti”, aveva un suo preciso significato, che tutti i cittadini della DDR sia manifestanti, che poliziotti comprendevano immediatamente, perché con quel termine la stampa e il linguaggio del partito bollavano chiunque manifestasse pubblicamente il proprio dissenso.
Sabato 7 ottobre la DDR festeggiò i suoi primi 40 anni di vita con solenni manifestazioni a Berlino Est, cui parteciparono delegazioni di tutti gli Stati socialisti da Cuba alla Cina passando per l’URSS; intervenne anche Gorbaciov. A Lipsia invece numerosi cittadini approfittarono della giornata di festa per andare in centro a vedere la Nikolaikirche, recitare una preghiera, portare un fiore o accendere una candela sotto la finestra della chiesa dove erano esposti i nomi degli arrestati. In successive ondate la polizia intervenne con i manganelli per disperdere le persone che sostavano davanti a San Nicola e arrestò molti di loro. Anche le manifestazioni di protesta che si tennero a Berlino, Dresda e in altre città per chiedere riforme e dialogo si conclusero con l’intervento violento della polizia. All’indomani alcuni medici degli ospedali di Lipsia, dopo la funzione domenicale, riferirono al Pastore Führer che il pronto soccorso aveva trattato un numero spropositato di fratture alla clavicola e alla scapola, evidenti segni lasciati dai colpi di manganello. Questi medici informarono pure che avevano ricevuto disposizione dalle autorità di liberare il maggior numero possibile di letti di ospedale, anche con dismissioni anticipate, allestire sale operatorie pronte a intervenire per trattare ferite da armi da fuoco, sospendere ferie e permessi a tutto il personale; si era pure preannunciato l’invio di grandi quantità di sacche di sangue per trasfusioni. Alle notizie dagli ospedali si era aggiunta poi la voce che nelle stalle della fiera agricola, vuote in quei giorni, erano state ricavate celle di detenzione in grande numero. Era evidente che lo Stato preparava la “soluzione cinese” per fermare la dimostrazione che sarebbe seguita alla preghiera per la Pace del successivo lunedì 9 ottobre. Tutta la DDR aspettava con il fiato sospeso cosa sarebbe successo quel lunedì sera.
Lipsia lunedì 9 ottobre 1989
La polizia, l’esercito, i corpi speciali della Stasi e la milizia volontaria reclutata tra i lavoratori, tutti in assetto da combattimento, i camion idranti presi ai pompieri, i gipponi corazzati presidiavano il centro cittadino fin dalle prime ore del pomeriggio. Nidi di mitragliatrici erano stati piazzati a difesa della sede locale della Stasi, nelle cui celle erano incarcerati e sottoposti a estenuanti interrogatori tutti gli arrestati dei giorni precedenti. La tensione e la paura erano palpabili, come testimonia un volantino diffuso in quelle ore dai gruppi di opposizione: “La manifestazione di lunedì scorso è terminata nella violenza. Abbiamo paura. Paura per noi, paura per i nostri amici, paura per il poliziotto in divisa che ci sta davanti. Abbiamo paura per il futuro del nostro Paese. Dalla violenza nasce solo nuova violenza. La violenza non risolve i problemi. La violenza è disumana. La violenza non può contrassegnare una società nuova e migliore… Oggi sta a noi evitare che la violenza prenda il sopravvento, e da ciò dipende il nostro futuro. Vi preghiamo: non rompete i cordoni di poliziotti, tenetevi lontani dai blocchi stradali! Non gettate oggetti ed evitate slogan violenti! Affidatevi a forme di protesta fantasiose. Ci appelliamo alle forze dell’ordine: non rispondete con brutalità alle nostre intenzioni pacifiche. Siamo un popolo” . Fin dalle prime ore della mattina i telefoni della parrocchia di San Nicola erano sommersi da chiamate di persone che raccontavano, anche nell’anonimato, i loro timori o che ammonivano che la polizia avrebbe sicuramente sparato quella sera. Ogni telefonata portava una nuova tessera che andava a comporre un quadro terribile: scuole e asili infantili chiusi anticipatamente, in fabbrica si consigliava di non andare in centro dopo mezzogiorno e di non uscire di casa quel pomeriggio, da una caserma trapelò addirittura l’informazione che Honecker aveva ordinato di farla finita una volta per tutte con la Nikolaikirche e che gli ufficiali, schierati alle spalle della truppa, non dovevano esitare a sparare per bloccare eventuali defezioni tra i loro uomini. Verso le ore 14 la chiesa di San Nicola cominciò a riempirsi, sebbene la funzione sarebbe iniziata solo alle 17: erano i membri del partito, appositamente inviati ad occupare i banchi per sottrarre fisicamente il posto agli abituali frequentatori delle preghiere per la Pace. Il Pastore Führer, già informato in precedenza da una telefonata anonima, con prontezza di spirito entrò in chiesa per dare il benvenuto ai compagni dicendo: “Entrando avete visto di sicuro il cartello «Chiesa di San Nicola aperta a tutti» e noi prendiamo sul serio il nostro motto, per cui siate i benvenuti, ma vi prego di aver comprensione che gli accessi al matroneo rimangano ancora chiusi per un po’, perché il proletariato sta ancora lavorando e comincerà ad arrivare soltanto dopo le quattro.”
Vista la grande affluenza dei lunedì precedenti quel giorno ben quattro chiese del centro cittadino di Lipsia si erano predisposte ad accogliere i fedeli desiderosi di partecipare alla preghiera per la Pace. Finalmente alle 17 iniziarono le funzioni, a San Nicola la meditazione del pastore fece conoscere anche a quei compagni del partito comandati ad occupare i banchi il messaggio evangelico di Gesù che proclama: “«Beati i poveri» e non fortunato chi è ricco; «Amate i vostri nemici» e non schiacciamo l’avversario; «Così gli ultimi saranno primi e i primi ultimi» e non tutto resta come prima; «Chi perderà la propria vita per me la salverà» e non state ben attenti; «Voi siete il sale della terra» e non voi siete la crema.” . Prima della benedizione impartita dal vescovo Johannes Hempel, appositamente arrivato da Dresda, si lesse l’appello di sei autorevoli cittadini di Lipsia, di estrazione molto diversa, ma uniti da un solo scopo: evitare lo spargimento di sangue. Si trattava del direttore d’orchestra Kurt Masur , di tre alti dirigenti