Si può riproporre un’opera complessa e problematica di psicologia e analisi antropologica a quasi mezzo secolo dalla sua composizione? Sì, se si tratta di un classico, e classico è quel pensatore che allarga l’orizzonte e dà un suo profondo contributo alla conoscenza della vita. È quanto ha saputo fare, da par suo, Emmanuel Mounier, una delle figure più alte del panorama culturale e filosofico del Novecento, nella sua opera più organica, il “Trattato del carattere”. Il “Trattato” apparve in Francia nel 1947 e in Italia nel ’49, nelle Edizioni Paoline, che ora ne pubblicano una nuova edizione, ovvero – si badi – la nona! Nella sua limpida nota introduttiva Giorgio Campanini ci dà preziosi ragguagli sulla composizione del “Trattato”. L’opera risale al periodo 1942-44, agli anni cioè, in cui la soppressione della rivista mounieriana “Esprit” da parte del governo di Vichy, il drammatico acuirsi della guerra, la forzata stasi delle attività editoriali e culturali, l’impedimento quasi totale di ogni libertà di movimento – senza dimenticare i periodi trascorsi da Mounier nelle prigioni di Vichy e in domicilio coatto – impedivano attività diverse dal pensare e dallo scrivere.
Dal punto di vista filosofico lo stimolo maggiore e remoto alla composizione di un libro del genere venne a Mounier dall’incontro con la fenomenologia tedesca, e in particolare con il pensiero di Max Scheler, a cui si accostò grazie al fraterno e autorevole amico Paul Louis Landsberg. In Mounier, insomma, la grandissima tradizione “moralistica”, nel senso più alto del termine, che caratterizza la cultura francese (Montaigne, Pascal, Rousseau, Péguy, Bergson, Marcel) si incontrò con la fenomenologia di Scheler e con la consapevolezza critica degli apporti che potevano venire dalla psicanalisi a una più larga comprensione della persona. Sbaglierebbe però in modo grossolano chi credesse di vedere in un’opera così imponente un lavoro accademico, con le solite pretese di completezza e di onniscienza. Senza dubbio i problemi affrontati da Mounier sono numerosi e importanti, ma lo stile è sempre sobrio, essenziale, la pagina è punteggiata da osservazioni acute e da immagini efficaci.
Può apparire sorprendente che, proprio negli anni più bui della guerra e in presenza dei fascismi apparentemente trionfanti, un uomo così intensamente partecipe al dramma spirituale della Francia, della cristianità, dell’Europa abbia riservato uno spazio di rigorosa, appassionata riflessione sul grande tema: “che cosa è l’uomo?”, prima ancora di esplorare le linee dell’impegno storico-politico. In realtà le due ricerche sono parallele e contemporanee in Mounier. D’altra parte ogni spirito veramente profondo, per quanto sia afferrato dal discorso politico, sa molto bene che occorre una fondazione pre e meta-politica, senza di cui la politica annega nel politicismo assoluto e nell’asservimento alle ideologie.
I densi capitoli in cui si articola il “Trattato del carattere” affrontano problemi di grandissimo interesse: il mistero della persona, le provocazioni dell’ambiente collettivo, l’ambiente corporeo, le tensioni emotive, la concentrazione vitale, la lotta per il reale, la padronanza dell’azione, l’io fra gli altri, l’affermazione dell’io, l’intelligenza in azione, la vita spirituale nei suoi rapporti con il carattere. Il libro di Emmanuel Mounier rappresenta un’opera fondamentale nella storia della caratterologia, oltre che un punto di sicuro riferimento per la comprensione, per così dire dall’interno, in un momento decisivo della sua genesi, del personalismo francese contemporaneo. Il “Trattato del carattere” non è solo un libro scientifico, è un grande libro di morale e di battaglia per l’uomo. L’autore, del resto, lo dice fin dalla prima pagina: “Nella nostra ricerca non abbiamo voluto solo trattare dell’uomo, ma combattere per l’uomo”.
Giornale di Brescia, 21.7.1990.