Giornale di Brescia, 30 settembre 2009
Ricordare oggi, a un secolo dalla nascita, Giuseppe Lazzati (1909-1986) non significa solo fare grata e doverosa memoria di un laico cattolico tra i più grandi che abbia avuto l’Italia nel Novecento: dirigente dell’Azione Cattolica, educatore di tanti giovani, internato nei lager nazisti, membro dell’Assemblea Costituente, impegnato in politica, direttore del quotidiano cattolico «l’Italia», rettore dell’Università Cattolica. Ricordarlo, in realtà, significa pure, o forse soprattutto, chiedersi se c’è una parte del suo insegnamento che possa essere valida per noi oggi: e allora, in effetti, molto ci sarebbe da dire, su più ambiti. Mi limito ad uno solo: la maturità del laicato cattolico nell’Italia, o forse meglio nell’Europa, o forse ancora meglio nell’Occidente cristiano di oggi.
L’Occidente come «terra di missione»
Nel XX secolo infatti, dopo duemila anni di Cristianesimo, ci si rese conto che ormai, per più aspetti, l’Occidente cristiano era diventato Terra di Missione. La parte più ricca del pianeta, quella con lo sviluppo più elevato ed i consumi più alti, aveva quasi completamente reciso il tronco borghese-capitalistico della sua civiltà dalle antiche radici cristiane.
Fu forse innanzi tutto in Francia che ci si rese conto dell’avanzante scristianizzazione. Si parlò della Francia come paese di missione e si lanciò la «Mission de France».
Il Card. Suhard, proprio sulla scorta della situazione d’oltralpe, nella pastorale per la Quaresima 1947 indicava la necessità di recuperare l’analogia con i primi secoli del cristianesimo per riflettere sulle nuove condizioni per l’evangelizzazione. Non una pastorale di scontro e di polemica ideologica ci voleva, dunque, ma di dialogo, di misericordia e di testimonianza di vita. Insomma una nuova missionarietà, senza integralismi, per una nuova evangelizzazione. L’idea chiave era quella del «fermento», del «lievito»: di un’azione cioè dall’interno delle realtà umane, mescolandosi alla pasta.
Tuttavia, allora, solo pochi tra i cattolici si rendevano conto della necessità di tale svolta pastorale: la Chiesa di Pio XII, forse inevitabilmente, era concentrata nel confronto-scontro epocale con il comunismo. E i prezzi pastorali furono alti (a partire, proprio, dalla Francia).
Tra i pochi laici che compresero i processi storici in atto vi fu Giuseppe Lazzati. Senza ovviamente deflettere dall’impegno democratico antitotalitario (antifascista e anticomunista), egli, già nel 1948, scriveva: «Il Cristianesimo è missionario nel senso che esso va verso tutti, non solo per portare il dono suo proprio, ma anche per arricchirsi degli apporti di tutti, al fine di fare compiuto il mistero dell’Incarnazione».
Nel 1957 aggiungeva: «L’azione della Chiesa deve perciò essere una azione che penetra con l’amore che rispetta la libertà ed ottiene il suo successo non con la forza, ma con la carità che è la vera forza. Ecco in qual senso si può parlare dell’”ora dei laici”, delle grandi responsabilità dei laici. Vi ripeto che questa animazione cristiana o la facciamo noi o non la fa nessuno».
Verso il Concilio Vaticano II
Furono, dunque, pensieri come questi di Lazzati che prepararono la strada al Concilio Vaticano II. In effetti, il Concilio, aperto nel 1962 dal Beato Giovanni XXIII, rappresentò soprattutto una chiara presa di coscienza della necessità di una profonda svolta pastorale, in fedeltà al Vangelo e per radicare nuovamente il Vangelo nei cuori: priorità dunque dell’evangelizzazione e della promozione umana.
Non chiusure, ma apertura verso tutti e dialogo simpatetico e misericordioso: per annunciare, con serenità gioiosa, l’universale chiamata alla santità e l’indole escatologica della Chiesa. Per i laici si immaginava una grande e fondamentale missione: animare le realtà temporali, come lievito e fermento; far fiorire il sacerdozio comune in forme ministeriali nuove.
L’ora dei laici
Cosa è successo dopo il Concilio (conclusosi nel 1965)? Nel 1966, Vittorio Peri, uno studioso laico, vicino a Lazzati (e che sarebbe stato poi il co-postulatore della causa di beatificazione di La Pira), pubblicava un libro – con prefazione di Chenu, grande teologo del Concilio – dal titolo «Laicato ministero apostolico», con un primo paragrafo, che ricordava le parole di Lazzati del 1957 e che perciò si intitolava: «L’ora dei laici».
Quasi cinquant’anni dopo Lazzati ed esattamente quarant’anni dopo Peri, nel 2006, al Convegno ecclesiale di Verona, il card. Tettamanzi ha affermato che bisogna accelerare l’ora dei laici. Evidentemente c’è stato qualche problema nell’attuazione del Concilio! Ma al di là di ritardi, lentezze, inadempienze o fraintendimenti, resta l’evidente attualità delle indicazioni conciliari, per più versi anticipate da Lazzati e comunque da lui, subito, abbracciate e attuate. Ecco: la lezione di Lazzati, di Lazzati testimone autentico del Concilio, non è solo alle nostre spalle, nel nostro passato. È davanti a noi.