Impegnarsi in un confronto sulle domande fondamentali dell’uomo intorno all’Incondizionato, prendendo sul serio l’altro “per mezzo di un dialogo ragionevole, che sia condotto tra religioni disposte a realizzarlo”: in ciò consiste, oggi più di ieri, secondo Bernhart Casper, la sfida per noi cristiani, “traumatizzati dalla globalizzazione, ma toccati dall’amore infinito di Dio”. Così si è conclusa la stimolante relazione “Quale dialogo tra le religioni?” tenuta mercoledì scorso alla Pace dall’autorevole Filosofo della religione, noto in Italia soprattutto grazie alla Morcelliana.
L’incontro, organizzato dalla Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura in collaborazione con l’Ufficio Pastorale per l’Ecumenismo e i Padri della Pace, ha visto la partecipazione di un pubblico numeroso in buona parte (ma non solo) dotato di una certa dimestichezza con il linguaggio filosofico. Casper, con un argomentare rigoroso ma anche una nota di dolcezza, espressione di quel “cuore grande” riconosciutogli un giorno dall’amico Lévinas, ha accompagnato tutti nella comprensione del suo pensiero: sul che cosa intendiamo con “dialogo” (parola esposta, come capita a quei vocaboli che sono sulla bocca di tutti, al rischio di interpretazioni non univoche) e sul dialogo tra i Cristiani e le altre religioni.
Attraverso una riflessione sulle filosofie che hanno limitato il linguaggio al solo discorso scientifico riferito a oggetti constatabili e sulle successive prese di posizione contro tali restrizioni (“Ci si inganna se si ritiene che ciò che viene conosciuto per mezzo di tale linguaggio sia tutta la realtà che può essere conosciuta dall’uomo che ragiona”), Casper, con riferimenti ai filosofi Rosenzweig, Ebner e Lévinas, ha introdotto quello che viene chiamato “pensiero dialogico”, ben più in grado di dare ragione della realtà: per poter parlare, e quindi anche per poter pensare, io ho bisogno di un “tu” che abbia qualcosa da dire in quanto se stesso e in un modo che io non posso anticipare e devo anche prendere sul serio il tempo: ho bisogno che tra me parlante e la realtà altra – quel “tu” che può essere l’interlocutore ma che potrebbe essere anche, in una ricerca fisica o biologica, quella parte di realtà che desidero indagare – “accada qualcosa”: l’accadere del dialogo porta l’io e il tu ad un futuro nuovo dove non si è più se stessi o, meglio, si è se stessi in un modo più profondo.
A questo punto, Casper ha affrontato il tema della serata ricordando, innanzitutto, che la religione cristiana è già in sé dialogica perché il “venire alla fede” è una risposta alla Parola di Dio che ci interpella e in secondo luogo perché l’atto di fede cerca un colloquio di testimonianza (“Guai a me se non annunciassi”, dice Paolo). “Ma quale può essere un dialogo esplicito con gli appartenenti ad altre religioni?”, si è chiesto il relatore. Questo è impossibile, e non è adeguato alla serietà della relazione religiosa, se assume le forme di un negoziato o di un dibattito parlamentare da concludersi con votazioni a maggioranza ed anche se è espressione di autoaffermazione. Dovrà essere, invece, un dialogo di testimonianza, ragionevole e di richiesta-ricerca, vale a dire un dialogo in cui è coinvolto tutto il mio esserci e tutto l’esserci dell’altro; in cui metto in gioco la ragione, ossia la dote più elevata che possiedo in quanto uomo; in cui ricerco una comprensione sempre più profonda della relazione religiosa entro cui vivo.
La Voce del Popolo, 6.2.2009.