Come Gesù, Socrate non ha scritto nulla e tuttavia egli è uno di quegli uomini che non solo hanno rinnovato profondamente una civiltà, quella a cui appartenevano, ma la civiltà umana in quanto tale. Socrate lo ha fatto sia attraverso la scoperta delle categorie dell’universalmente umano nella logica e nella morale, sia attraverso la ricerca razionale di Dio. In Socrate, inoltre, c’è qualcosa di più: c’è l’esempio di una vita interamente spesa al servizio della città, il suo farsi “cliente della verità”, quella verità testimoniata dall’incomparabile opera di risveglio delle coscienze, dalla sua povertà materiale, e infine dal suo andare incontro alla morte con la serenità del giusto il quale sa che la sua sorte è nelle mani di Dio. Ci si chiede: com’è possibile individuare la personalità, il metodo di Socrate, il suo apporto filosofico dal momento che del suo passaggio in questo mondo probabilmente non rimane altra traccia che qualche statua in marmo (egli stesso era figlio di uno scultore)?. La questione delle “fonti socratiche” acquista, pertanto, grande importanza e si capisce perché sia stata discussa così a lungo; ma la complessità della questione non sta di per sé ad attestare una sua presunta non solubilità.
Le fonti in realtà sono tre, ed ognuna ha una sua funzione nel lumeggiare l’uno o l’altro aspetto del messaggio socratico. Senofonte, un generale straniero sincero ammiratore dell’ateniese, non fu mai tra gli intimi del gruppo socratico. Il suo ricordo di Socrate, affascinante anche se riduttivo, è nei “Memorabili”. Platone è un genio di straordinaria potenza speculativa ed originalità, che ha fatto del maestro il protagonista di quasi tutti i suoi dialoghi, volendo così affermare che le sue stesse dottrine, nel loro nucleo centrale, sono sorte nel suo spirito come sviluppo e giustificazione dell’insegnamento e del paradigma di vita di Socrate. C’è, infine, la fonte rappresentata dai precisi riferimenti a Socrate che un altro genio di prima grandezza, Aristotele, a sua volta discepolo di Platone, fa nelle sue opere. Aristotele, in cui la competenza si sposa ad una eccezionale acutezza di giudizio, spesso ritorna alle posizioni originarie di Socrate per confutare alcuni aspetti del platonismo e per valorizzare al meglio gli acquisti della revisione del sistema operata dal Platone della vecchiaia.
Qual è, dunque, la conclusione cui il dibattito è pervenuto? Eccola. Il Socrate di Senofonte è, sì, Socrate, ma non tutto Socrate. È un Socrate in qualche modo inferiore al vero. Platone è dunque necessario per capire Socrate; ma in Platone c’è assai di più. Socrate ispira sempre Platone e l’accento, lo slancio dei dialoghi platonici vengono da lui; ma il loro ordito teoretico è di Platone, le dottrine del platonismo sono oltre il socratismo e in qualche caso anche diverse. Nei suoi dialoghi, Platone rivive Socrate così profondamente che i progressi della sua riflessione – a cominciare dalla dottrina delle Idee – sono proposti con la voce del Maestro; e tuttavia, si deve dire che se il discepolo non scorda mai il Maestro, evita accuratamente di confondere i tratti della sua figura intellettuale, e lo fa in ogni dialogo, sia pure in modi diversi, ivi compreso il ricorso esplicito al mito e all’intervento di altri personaggi (ad esempio, Diotima nel Convito). Sì che se Platone è impensabile senza Socrate, a rigore solo l’opera prima del ventottenne Platone, cioè l’”Apologia di Socrate”, ci dà la “verità socratica” colta in una situazione esistenziale drammatica come l’accusa, la difesa in tribunale, la sentenza di morte. Di quel testo, brevissimo, gli spiriti liberi e forti di ogni tempo hanno fatto e faranno il loro breviario, essendo uno dei più alti e virili della letteratura mondiale.
In sintesi, la soluzione “classica” del problema delle fonti socratiche è quella che il nostro Zuccante prospettava già nel 1909 in questi termini: “Completare Senofonte per mezzo di Platone; temperare Platone per mezzo di Senofonte; ricorrere ad Aristotele quando si tratti di definire la parte rispettiva di Socrate e di Platone”. Socrate col suo rifiuto a scrivere voleva soprattutto ricordarci che la verità non si acquista senza fatica, senza concentrazione interiore, senza una ricerca associata ad un libero, continuo, aperto confronto. Ma ci sarebbe oggi il ricordo di Socrate se alcuni amici e discepoli Senofonte, Platone, Aristotele – non avessero fissato con lo stilo e con l’acqua nera i discorsi che esprimevano quel pensiero e quella dottrina?
Chi fu veramente Socrate, descritto con l’aspetto di un Sileno, brutto di fuori e bellissimo di dentro? Occorre tener presenti alcuni aspetti della vita e della forma mentis di Socrate, e non solo il suo metodo e le sue dottrine, per un approccio al segreto di quella personalità così inquietante e liberatrice, dotata di scaltrita dialettica e di una spiritualità altissima, tale da condurre alla soglia del Vangelo.
Socrate nacque in Atene nel 470 a.C. dallo scultore Sofronisco e dalla levatrice Fenarete. Apprese l’arte paterna, ma ben presto rinunciò all’esercizio dell’arte per dedicarsi alla speculazione filosofica, alla quale era stato guadagnato da Archelao, discepolo di Anassagora. Straordinaria era la sua capacità di concentrazione di pensiero. È noto l’episodio osservato da Alcibiade e dai commilitoni all’accampamento di Potidea: da un’alba all’altra rimase in continua meditazione, forse in preghiera. Serenamente sapeva resistere ad ogni privazione (freddo, sete, fame, caldo), ma anche allegramente gareggiare con gli amici nel dar prova di bere, per esempio, senza che gliene derivasse alcuna menomazione nella forza del pensiero. Fedone ci racconta che l’indovino e fisionomo siriano Zapiro riconobbe nel volto di Socrate i segni di una forte sensualità. E poiché i discepoli riuniti intorno a Socrate elevavano contro questa opinione delle vivaci proteste, egli li fece tacere soggiungendo: “Zapiro ha visto giusto, solo che mi sono reso padrone di tale desiderio”.
Dalla moglie Santippe ebbe tre figli, ma la sua vita coniugale non fu del tutto tranquilla. Il discepolo Antistene si meravigliava che Socrate sostenesse la natura femminile in nulla inferiore alla maschile, essendo marito di Santippe, “la moglie più riottosa di quante sono, sono state e saranno”. A lui Socrate rispose: “Io, che voglio usare e conversare con gli uomini, mi sono acquistato costei ben persuaso che se io la sopporterò, non vi sarà uomo con cui non mi sia facile stare”. Pure Socrate sapeva ispirare ai suoi figli il massimo rispetto per lei; il dialogo fra Socrate e il figlio Lamprocle, adirato con sua madre per la sua asprezza, è significativo. “Tu sai benissimo che tutto quello che ti dice tua madre non te lo dice perché ti vuole alcun male, ma perché ti vuole tanto bene quanto a nessun altro… Tu, dunque, se hai senno, supplicherai gli dèi che ti perdonino, se in qualche caso hai mancato verso tua madre”.
Socrate inoltre combatté contro il pregiudizio che considera il lavoro manuale inferiore rispetto al lavoro intellettuale; mantenendosi in ciò figlio del popolo, egli fu innovatore assai più radicale di ogni altro filosofo dell’antichità greca e romana.
È impossibile separare la vita e il destino di Socrate dalle vicende della sua città, Atene. Socrate fu il filosofo che seppe mirabilmente congiungere interiorità e socialità, etica e politica, distacco da ogni calcolo e passione civile, disinteresse totale e assunzione di responsabilità anche politiche quando ad esse fosse stato chiamato. Critico implacabile della demagogia e della corruzione politica, non per questo Socrate si schierò con i reazionari. Quando i Trenta Tiranni, volendolo compromettere, gli ordinarono di arrestare con quattro altri un loro avversario, Leonte, Socrate oppose un netto rifiuto. La disobbedienza a chi esercitava in quel momento l’autorità politica gli parve doverosa, ma quella volta non la pagò con la vita. Ancora sotto i Trenta, nel 404 a.C., Crizia, che pure era stato in dimestichezza con Socrate, fece votare una legge che lo prendeva di mira: si proibiva di insegnare ai giovani l’arte dei discorsi. Socrate, invece, continuò. Lo mandarono a chiamare e Crizia gli mostrò la legge. Socrate allora lo investì con la sua ironia: “Quando proibite di insegnare l’arte dei discorsi, intendete discorsi ragionati o sragionati? I primi no di certo; e questi ultimi è chiaro che bisogna cercare di correggerli”. E ancora: “Mi proibite di discorrere con i giovani? Sì, ma ditemi: fino a quale età si è giovani?”.
Due anni prima, nell’agosto 406 a.C., gli ateniesi conseguirono una splendida vittoria navale presso le isole Arginuse. Alcune navi, però, furono gravemente danneggiate e molti marinai perirono. A causa di una forte tempesta, le navi superstiti non poterono tornare sul luogo per raccogliere le salme. C’era il rischio di perdere l’intera flotta per recuperare i cadaveri. Ma in correlazione a ciò, i generali furono tratti in giudizio dinanzi al Consiglio dei Cinquecento. In quel giorno si celebrava la festa della famiglia e ogni vuoto era perciò sentito con raddoppiato dolore. I parenti dei morti insepolti delle Arginuse andavano in giro vestiti a lutto e con la testa rasa. Il loro risentimento scatenò quello della moltitudine e il Consiglio era ormai pronto a cedere. Solo contro tutti, rischiando la vita, si alzò Socrate ed ebbe il coraggio di sfidare il demos a difesa della sua convinzione giuridica dell’assoluta incolpevolezza dei generali. Il verdetto, purtroppo, fu quello che la suggestione popolare impose; ma pochi anni dopo il principale fautore della proposta demagogica fu esiliato, un atto di accusa venne presentato contro gli altri mestatori e si riconobbe che Socrate aveva avuto ragione.
Quale fu, dunque, l’atteggiamento di Socrate verso la vita pubblica e la politica dal momento che il daimonion gli aveva imposto di non fare politica perché solo così avrebbe potuto assolvere la sua “divina missione”? Socrate non si sottrasse mai ad alcun incarico al servizio della città, ma non lo cercò mai di proposito perché credeva fermamente nella priorità di valore del lavoro educativo e del risveglio personale, che mettono in moto non i meccanismi del consenso, ma la ragione di chi entra in dialogo con se stesso e con gli altri. Lo Stato giusto per Socrate nasce, innanzitutto e sempre di nuovo, nella coscienza dei cittadini decisi a vivere senza menzogna. si capiscono allora le addolorate parole che Socrate pronuncia nell’”Apologia” 31/d: “Per uno che intenda veramente combattere l’ingiustizia il suo posto non è nella vita pubblica”. Socrate è dunque il primo, altissimo esemplare di quegli uomini di pensiero e di alto sentire che noi oggi chiamiamo “disorganici”, perché felicemente non omologabili all’uno o all’altro sistema e capaci di equilibrare solitudine e testimonianza, senza cedere in nulla alla chiacchiera ideologica e alla brutalità di un potere disancorato dai grandi valori. Quale fine poteva essere riservata per un “tipo sospetto” come Socrate, per un “politico impolitico” come lui da uno Stato corrotto e da una società in parte distratta, in parte conformista e plagiata dal potere, se non quella di fargli bere la cicuta?
Giornale di Brescia, 5.3.1993. Articolo scritto in occasione della rappresentazione scenica dell’”Apologia di Socrate” da parte di Carlo Rivolta.