In Cattolica il magistrato che ha combattuto i clan dei Casalesi.
Sono troppo facili le infiltrazioni nell’economia e nella politica
«Non credo che "La Piovra" abbia portato disdoro all’Italia: non si delegittima lo Stato facendo operazioni di verità». Le polemiche d’attualità si sono inevitabilmente infiltrate nel dialogo che Raffaele Cantone ha intessuto ieri all’Università Cattolica con gli studenti liceali e universitari, nell’ambito della serie di incontri sul tema «Legalità alla prova. Tra testimonianze ed esperienze educative», organizzati dal Centro studi per l’educazione alla legalità della Cattolica.
Cantone è stato accolto dal direttore del Centro, Luciano Caimi, e in serata è stato ospite alla Pace della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura. Ha parlato della sua esperienza di magistrato della Direzione distrettuale antimafia di Napoli dove è stato impegnato, dal 1999 al 2007, nella lotta contro i clan camorristi del Casalesi. Ne ha scritto in un libro di successo, «Solo per giustizia», edito l’anno scorso da Mondadori. Per gli studenti ha sintetizzato in una parola il fenomeno mafioso e la sua penetrazione nella società: «Consenso. Le mafie generano grande consenso e hanno la possibilità di direzionarlo, ad esempio per influenzare il voto. Mafiosi e camorristi occupano gli spazi che lo Stato lascia liberi. Diventano punti di riferimento per chi cerca lavoro, prebende, appalti e subappalti, e il cittadino può rivolgersi a loro anche per risolvere i piccoli problemi quotidiani. L’imprenditore mafioso è favorito sul mercato: non deve confrontarsi con banche, sindacati, concorrenza».
«Le mafie scimmiottano lo Stato»
Cantone individua proprio nella compenetrazione tra criminalità e imprenditoria il salto di qualità compiuto dalla camorra negli ultimi anni. «Dopo il terremoto in Campania del 1980, la camorra ha cominciato a fare intermediazione con l’impresa. Si è trasformata in una struttura imprenditoriale, che copia i meccanismi del Welfare. Tutti gli affiliati ricevono lo stipendio, ci sono casse comuni per le famiglie in difficoltà. Le mafie scimmiottano lo Stato nei meccanismi di sostentamento sociale, ne copiano il sistema economico: come a Secondigliano, la più grande piazza di spaccio europea, dove è cresciuta un’economia parallela basata esclusivamente sulla droga». Agli affari si accompagna la ferocia: «In Campania non c’è una struttura criminale piramidale con un’autorità centralizzata, ma tante strutture autonome che tendono da un lato a trasformarsi in colletti bianchi, dall’altro a usare sempre più la violenza per aumentare il consenso e rafforzarsi».
«Contro il crimine, attenzione costante»
Nella lotta alla criminalità organizzata, i momenti di entusiasmo si alternano a pericolosi cali di interesse. «Quando diminuisce l’attenzione, anche l’intervento repressivo ne risente. Ma la repressione da sola non basta: bisogna condurre una battaglia culturale per il rispetto delle regole, spezzare il legame con imprese e istituzioni». E non delegittimare l’immagine della magistratura: «L’impegno di un gruppo di magistrati della Procura distrettuale antimafia di Napoli ha permesso di fermare la frangia degli scissionisti casalesi, che uccideva ogni giorno. Allora quei magistrati vennero definiti dal ministro Maroni "un grande esempio di lotta alla mafia". Oggi chiedono l’arresto di un politico (Nicola Cosentino, ndr) e diventano dei brocchi». La camorra, ammonisce Cantone, non è radicata solamente al Sud. «Un tessuto economico sano rappresenta un argine alla criminalità. Ma le infiltrazioni possono essere di diverso tipo. C’è il denaro acquisito con attività criminali che viene immesso nell’economia legale. E chi ha scaricato illegalmente i propri rifiuti in Campania? Sono stati imprenditori spregiudicati del Nord, che hanno colto l’occasione per risparmiare e non si sono fatti tante domande. Su questi temi non c’è molta sensibilità».
Ogni cittadino, invece, può dare un contributo: «Anche avere gli occhi aperti è un grande risultato. Ci vuole un’attenzione critica verso il rispetto dei diritti democratici o nella richiesta di un alto standard politico e sociale, che elevi il livello morale complessivo».
L’impegno, lui, lo ha toccato con mano. «Il mio libro è nato dopo molte conversazioni con Roberto Saviano, che me lo suggerì dicendo che sarebbe stato interessante raccontare dall’interno il lavoro dell’Antimafia. È servito soprattutto a dare nome e cognome a tanti invisibili che fanno il loro dovere con dignità: giudici, poliziotti, finanzieri, magistrati, carabinieri, che costituiscono la vera spina dorsale dell’Italia. Ho conosciuto uomini che credono fermamente nella lotta alla mafia e pensano che fare il proprio dovere sia una garanzia di dignità individuale». A che punto è la lotta? «Non c’è una risposta netta. Non abbiamo sconfitto la mafia, ma abbiamo fatto grandi passi avanti. Oggi non c’è un solo capomafia libero: sono prigionieri o costretti a una dura latitanza. C’è maggiore pressione e interesse dell’opinione pubblica. Ma dobbiamo intervenire sulle infiltrazioni nell’economia e nella politica. Ci vuole anche speranza, una visione ottimista, e la capacità di riconoscere che l’altro non è sempre un nemico. Io penso che alla fine ce la faremo, anche se non so dire quando».
Giornale di Brescia, 4.12.2009