In un mondo in cui diverse e, talvolta, opposte concezioni della vita si contendono il consenso degli uomini, l’educatore sente l’urgente bisogno di veder chiaro in tutto ciò che riguarda in maniera essenziale l’uomo.
Questa esigenza è un dovere di umana sincerità verso se stessi, una pregiudiziale indispensabile al compimento dignitoso e consapevole della propria opera nella scuola.
L’educatore, pertanto, è chiamato a ravvivare di continuo in sé quella forza d’ingegno e rettitudine d’intenzione che lo rendono capace di rappresentarsi tutte le cose solo dal punto di vita per cui esse possono giovare all’interiore elevazione sua e di coloro che gli sono affidati.
Così, in spirito di verità e amore, egli affronta, per sé e per i suoi ragazzi, il problema della vita, dalla cui soluzione dipende l’efficacia e il valore di tutta l’educazione.
Dal punto di vista proprio dell’educatore noi ci chiediamo: è legittima l’educazione morale e religiosa nella prima età?
La tesi negativa del Rousseau
Il problema fu ampiamente di scusso dal Rousseau, la cui tesi negativa è così efficacemente riassunta nel IV libro dell’Emilio: «A quindici anni Emilio ignora se ha un’anima, riguardo alla morte non sa ancora bene che cosa sia, di Dio potrebbe farsi un’immagine superstiziosa: forse è ancora troppo presto parlargliene a diciotto anni. Sarebbe meglio che non avesse alcuna idea della divinità che averne idee basse, fantastiche, indegne di essa».
Il Ginevrino teoricamente rimanda alla giovinezza l’inizio della formazione morale e religiosa propriamente detta, perché prima l’educando non sarebbe in grado d’intendere i grandi problemi della vita morale ed i superiori motivi filosofici e teologici della religione (posto che tali titoli ci siano realmente e che possano essere fatti valere).
Ogni prematuro, positivo orientamento etico-religioso si risolverebbe in violazione di libertà, in adulterazione della coscienza.
La teoria della tardiva comparsa della ragione nell’uomo è uno dei presupposti del laicismo negativo ed è certamente giusto lumeggiare, ai fini di un’educazione consapevole dei suoi limiti e dei suoi mezzi, la prevalenza di questa o di quella facoltà nell’una o nell’altra età dell’educando; ma tale disuguaglianza – non necessariamente viziosa, come supponeva il Gerdil – assolve ad un compito provvidenziale nello sviluppo della ragione. Il fanciullo, aprendosi alla vita, guarda innanzi tutto al mondo per conoscere la sua posizione in esso; la sua razionalità in boccio si forma prima le condizioni necessarie per potersi poi gradualmente «spiegare» fino alla compiutezza.
Ordine di sviluppo e ordine di valore
L’ordine di sviluppo delle potenze è inverso rispetto all’ordine del loro valore e il predominio dell’attività sensibile nella prima età postula l’esigenza di un intervento attivo, armonizzatore, tempestivo dell’educatore: l’uomo va educato fin dalla nascita.
L’opera dell’educatore, che è appunto opera di orientamento e d’integrazione delle facoltà dominanti nel concerto di tutte le altre, non sarebbe possibile se nella natura dell’educando non fossero compresenti quelle potenze al cui risveglio ed esercizio si fa appello perché l’educando raggiunga l’equilibrio consentito alla «sua» età.
«… Quell’error che crede che un’anima sovr’alta in noi s’accenda» ha infettato il sensismo, per via di Rousseau, tutto il movimento pedagogico moderno che discende dalla rivoluzione dell’Emilio, e ha depauperato spaventosamente il fanciullo.
Il fanciullo, si sa, non è l’uomo, ma «in puero homo»: la sua natura non è quella di un animale che si farà uomo per un misterioso salto qualitativo, ma è quella di un animale razionale in cui l’intelligenza cresce con la sua persona, affrontando ben presto i primi aspri conflitti per emergere da tendenze più immediate e perciò più esposte al pericolo dell’irrazionale.
L’intelligenza è costitutiva dell’essere umano in qualsiasi ciclo della sua esistenza: nel fanciullo la ragione se non è «tutta spiegata» non è neppure inesistente.
Essa non spunta improvvisamente come un fungo, né quel risultato esclusivo dell’esercizio di quei mezzi atti a prepararla, ma è immanente ad ogni attività del fanciullo, in una attualità sempre più arricchentesi.
Il laicismo rousseaunista confonde i più fondamentali interessi e bisogni dell’anima umana e la coscienza riflessa che il fanciullo non può avere di essi: in Rousseau, primo romantico, rivive il dogma cartesiano delle idee chiare e distinte, una delle concezioni più assideranti e astratte della ragione umana. Un siffatto equivoco deriva dallo stesso errore di chi pretendesse che si ragioni bene solo dopo aver studiato le… leggi della logica o di chi sostenesse che il fanciullo debba essere alimentato solo quando abbia acquistato una coscienza… critica e riflessa del suo bisogno di nutrirsi e dei mezzi più adeguati per soddisfarlo.
E ciò è in contraddizione con il principio fondamentale della stessa rivoluzione pedagogica rousseauiana, caratterizzata dal Claparède proprio come educazione funzionale, onde il soggetto in tanto si forma le sue attitudini e facoltà in quanto se ne rende padrone, esercitandole secondo i bisogni della vita e l’incremento delle sue forze.
Il fanciullo depauperato
«Avete forse atteso che il vostro figliuolo – incalza la Necker – sapesse con precisione in che consiste la paternità, per rendergli caro e sacro il nome di padre?
Un giovane cigno cresciuto lontano dall’acqua non avrà l’idea distinta dell’acqua, ma languirà senza di essa. Così è l’anima nostra; può vivere senza adorare Dio, ma vive languida e disseccata e, spesso, cade nella superstizione. Ciò che è più importante nella vita deve avere antica origine, deve cominciare con la vita stessa» .
Il fanciullo «piccolo animale bipide», incapace di rappresentarsi un fine morale e di dare inizio agli atti volitivi, è un mito che si va sempre più diffondendo tra noi, grazie ad una certa psicologia di addestramento che ignora lo spirito e perciò la presenza, in ogni attività che riguarda l’uomo, di una nota intraducibile ed incommensurabile di appartenenza ad una persona libera che si conquista o si perde.
Non si tratta di salvaguardare con la dignità spirituale dell’uomo un idolo, ma di professare una psicologia vera in cui – come scrive lo Zunini – la preoccupazione di ricostruire le genesi degli eventi psicologici non ci distragga dall’osservare il significato originalissimo che, nel caso concreto, questi assumono per il soggetto che li vive, e il loro carattere manifestativo non solo del meccanismo psichico ma anche della realtà ontologica, della natura dell’uomo. All’azione educativa spetta dire su questo punto la parola più documentata e decisiva; e questa dà ragione a chi non nega al ragazzo l’umanità.
Le leve della prima educazione morale diretta
La verità è che nell’anima del fanciullo c’è un bisogno connaturato di crescita spirituale oltre che fisica. Gli anni che si succedono sono per lui motivo di gioia. «Io, sono grande!»: il fanciullo pronuncia spesso queste parole e, quando lo fa, è felice di affermar se stesso, i suoi diritti, magari, le sue proteste.
Quell’ambizione irrequieta, quell’ansia di crescere che gli urge dentro, la sua ragione in boccio, la sensibilità del suo cuore ai motivi affettivi, la stessa facilità con cui il bimbo finalizza tutto, rendono facile all’educatore l’illuminazione etica: il fanciullo tende ad agire in virtù della elezione del meglio, perseguito ed amato come legge interiore del suo svolgimento .
A veder bene, l’inizio più semplice della vita morale del bimbo sta proprio nel chiarire subito al piccolo educando il concetto di fortezza, purificandolo dall’imitazione passiva e dalla tendenza egoistica; l’istinto di appropriazione non appartiene soltanto al campo, esplorato dalla psicanalisi, della vita dei sensi, ma anche al campo della vita spirituale, nelle sue radici che soltanto più tardi e solo parzialmente potremo afferrare.
Vi è, insomma, un «precosciente dinamismo spirituale» (Maritain) che tocca all’educatore risvegliare, liberare, condurre ad una sempre più consapevole esplicazione: è un punto di partenza che si rivela a chi amorevolmente tratta coi bimbi e che fa pensare alle fonti primigenie della ragione e della volontà.
La realtà morale del fanciullo
Chi ha la gioia di vivere tra i fanciulli sa che essi non stimano chi pargoleggia con loro, vogliono essere trattati con ragionevolezza e con fiducia, sono lieti se resi partecipi dei motivi superiori di ciò che ad essi si chiede o si consiglia e, nello slancio della volontà e dell’amore, possono essere per i giovani e gli adulti un richiamo ed un modello .
Il «voglio» non è sempre pronunciato dal bimbo e dal fanciullo ad appagamento dei suoi istinti capricciosi: entro la sfera della sua esperienza il fanciullo dà giudizi di valore (di una severità che ci dice quanta sia la sua sete di coerenza) perché egli si rappresenta ed aderisce al «devo».
E se frequenti sono nella prima età i momenti di crisi è perché il bimbo ha una volontà ancora assai debole e bisognosa d’irrobustirsi, di crescere con lui.
Si ha poi un bel dire: «Emilio ignora se ha un’anima, riguardo alla morte non sa cosa sia»; Anche il dolore e la morte il fanciullo conosce ben presto, e talvolta in maniera tragica, se vive in questo mondo, e deve essere da noi guidato a lottare contro le sventure, a dare una risposta a certi aspetti dell’esistenza che gli appaiono angosciosi.
I massimi problemi non sono evitabili nemmeno dai ragazzi, che, pur nella loro instabilità e spensieratezza, li avvertono con una sensibilità tutta particolare.
La vita morale, così intima all’uomo da esserne l’ansia fremente che ne condiziona tutte le ascese,e la luce rischiaratrice delle sue azioni, in ogni momento implica un giudizio concreto, ma di valore oggettivo ed universale: tale valutazione diventa validamente giustificata, efficace ed operante solo attraverso la motivazione profonda di quelle verità eterne che da venti secoli interiormente trasformano milioni di anime, e che costituiscono l’anima della civiltà e la via di salvezza per tutti gli uomini di buona volontà.
Pedagogia e Vita, marzo 1953.
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