Primo: non vanificare il problema
La disciplina è uno di quei problemi che, dopo aver dominato la riflessione pedagogica, oggi tende a vanificarsi, mentre la realtà della scuola ci obbliga, quotidianamente, a uscire da una prassi consuetudinaria che è ancora negativa sotto molteplici aspetti, e ad acquistare nuova consapevolezza dell’efficacia educativa o diseducativa dell’ordinamento disciplinare che riusciamo ad attuare.
Col pretesto di dire cose profonde, si va spesso a finire nel vago; e così in molti si è generata la convinzione che d’ordine, di disciplina è inutile occuparsene perché «la disciplina è qualcosa d’impalpabile; una specie di misteriosa irradiazione della personalità dell’educatore a quella dell’educando». L’erroneità di siffatta affermazione è pericolosa perché cela un’anima di verità, già messa in evidenza dal nostro Gabelli in “L’istruzione in Italia”. «Il maestro – notava acutamente il Nostro – deve essere stimato come uomo e come maestro. La stima che godesse come uomo, ma non come maestro, non sarebbe sufficiente… Tutte e due sono necessarie come parti di un solo tutto». E nondimeno «a volte persone reputatissime tanto come maestri, piene di ingegno, di cuore, colte, atte a insegnare, incespicano, per così dire, in questo primo e umile gradino della scuola. La stima, in altri termini, se è la prima condizione per riuscirvi, non basta. Rimane perciò a chiarire che cosa essa richieda in aggiunta, per farsi valere e per conseguire il suo pieno effetto». Insomma la padronanza di sé, la tensione morale, la cultura e l’umanità del maestro sono condizioni necessarie, ineludibili perché in una scuola possa nascere e consolidarsi una interiore adesione ad una giusta norma di vita, ma ciò non vuol dire che siano sufficienti. Occorre anche conoscere il grande dibattito pedagogico – da Locke in poi, e soprattutto nell’Ottocento – sui «premi e castighi» e contro la «scuola del bastone», le esperienze di autogoverno nella scuola e la molteplicità dei fattori fisiologici, psicologici e sociali determinanti l’indisciplina, che sta alla disciplina come sua controfigura e possibilità negativa sempre presente.
Il problema della disciplina non può ignorare, infatti, il fenomeno della indisciplina, poiché non sempre si realizza l’auspicata convergenza di tutte le volontà («compositio voluntatum in bono» – «ordinatio omnium ad bonum commune»): essa è un risultato gradualmente acquisibile, non un dato immediato ed iniziale. I limiti didattici si sperimentano pure nella disciplina, a causa della caratteristica instabilità della psiche infantile, per rilassamento dell’attenzione e dell’impegno, per difformità tra l’accoglimento intenzionale d’una regola di vita e un comportamento ad essa coerente.
C’è il momento in cui la disciplina diventa necessità di arrestare l’indisciplina, e cioè la selvaggia sfrenatezza che erompe qua e là, ponendo in pericolo la futura personalità del fanciullo e alimentando atteggiamenti anti-sociali in un’intera scolaresca; allora la disciplina si esplica come governo e la fermezza pensosa del maestro deve farsi valere.
Schola sine disciplina molendinum est sine aqua
La disciplina è un’esigenza che i fanciulli avvertono, ma a cui da soli non sempre riescono a dare esecuzione. Il manifestarsi spontaneo del bisogno della disciplina, nella sua fase embrionale, è stato descritto in modo esemplare da Tolstoi. Gli scolari di Jasnaia Poliana sono intenti alla lotta libera e non la smettono se non quando alcuni di essi, desiderosi di far lezione col maestro, diventano insofferenti del chiasso, e invitano i compagni a finirla. Qui il maestro è fisicamente presente, ma la sua autorità è inoperante, manca ogni manifestazione positiva del suo volere; pure gli scolari hanno sperimentato che è impossibile istruirsi se non si verificano certe indispensabili condizioni di ordine e di raccoglimento. La situazione disciplinare della scuola tolstoiana è risolta sul filo del rasoio, nel «paradosso» pedagogico del non-intervento ed è, perciò, precaria a tutti gli effetti, malgrado la forza polemica della sua protesta contro l’oppressione di certi metodi dittatoriali e caporaleschi; la verità che emerge dal paradosso è però semplice, evidentissima: non c’è scuola senza disciplina. La questione è una sola, dunque: in che consiste la saggia disciplina e in che modo la disciplina diventa coefficiente educativo di decisiva importanza.
Nel linguaggio, così colorito d’immagini vivide e intuitive, Comenio citava il detto popolare boemo: «Una scuola senza disciplina è un mulino senz’acqua». «Ed è vero – commentava – perché se a una scuola tu levi la disciplina, necessariamente se ne deve rallentare tutto l’andamento… Non per questo si deve tirare la conseguenza che la scuola deve essere piena di gridi, di percosse e di lividi, ma piena di vigilanza e d’attenzione da parte degli insegnanti e dei discenti. E invero che altro è la disciplina se non un modo sicuro di rendere gli scolari veramente scolari? [Disciplina enim quid est nisi modus certus, quo discipuli vere discipuli efficientur?]. Sarà dunque bene che l’educatore conosca e il fine e la materia e la forma della disciplina» . La disciplina è una condizione immanente della istruzione e della educazione; essa non caratterizza un momento o l’altro del processo educativo, non si può limitare soltanto all’infanzia, ma accompagna e contribuisce a render possibile ed efficace tutta l’opera educativa. Herbart, malgrado alcune oscillazioni del suo pensiero, ha colto una grande verità quando ha osservato che «un governo (Regirung) che non educhi opprime l’animo; ed una educazione (Erzihung) che si disinteressasse dei disordini dei fanciulli, ignorerebbe i fanciulli stessi». Non si può fare un’ora sola di lezione senza tenere, con mano ferma e al tempo stesso leggera, le redini del governo.
La disciplina come governo e la elevazione del governo ad autogoverno
Senza dubbio Herbart nel delineare il concetto di disciplina come governo non riesce a darne una giustificazione coerente e ad articolare con chiarezza la disciplina con gli altri momenti del processo educativo; pure vi è nella sua dottrina qualcosa di valido, che va reso esplicito.
Governo e educazione sono inseparabili, inscindibili ed in rapporto di reciproca integrazione ed implicazione; ma il governo mira innanzitutto ad assicurare l’ordine in una scuola ed in tal senso impone una sua priorità, innegabile se si vuole «far scuola» sul serio.
Insomma, perché l’alunno passi alla considerazione interiore della legge è necessario che un abbozzo di legge ci sia e sia fatto conoscere almeno nelle sue fondamentali norme di razionale evidenza e di funzionale concretezza, subito, nell’atto stesso del primo stabilirsi del rapporto educativo a scuola. «Un ordine – scrive il Casotti – anche solo esterno, ma intelligentemente mantenuto, ha il grande vantaggio di rendere possibili, a suo tempo e luogo, i metodi detti attivi, i quali conducono l’alunno verso un nuovo ordine libero perché consapevolmente voluto e attuato da lui» (“Didattica”, I, Ed. La Scuola, 1956, p. 90).
Il governo ha sempre valore educativo, ma il suo sviluppo perfettivo è graduale, per cui non si deve cercare all’inizio quello che si va conquistando a poco ogni giorno.
Reso possibile il colloquio e l’incontro, in un’atmosfera di serenità e di attesa fiduciosa, la determinazione dei contenuti concreti dell’ordinamento disciplinare di una classe prende corpo con naturalezza. La molteplicità delle mansioni e dei compiti richiesti da una comunità che lavori comporta l’impegno di tutti, in ruoli intercambiabili secondo opportune scadenze, in un impegno che ora è individuale e ora è di gruppo, sempre però di alto valore sociale come servizio reso alla comunità scolastica di cui si è membri attivi. Questo dispiegarsi della vita di scuola in comunità operante con precise e bene individuate responsabilità – da cui nessuno sia escluso – è una di quelle realtà umili eppur grandi per il profondo significato etico che l’anima. Qui la disciplina, finalmente, sorge non come codice di proibizioni, ma come organizzazione del lavoro scolastico e indicazione di compiti etico-sociali: come l’ascetica non è lo studio accurato dei peccati, di cui si finisce per sentirne l’attrazione e persino l’ossessione, ma l’esercizio positivo delle virtù, così la disciplina non è più una summa di minacce e di equazioni tra reati e punizioni, ma un modo di vivere insieme e di lavorare insieme nell’attuazione di alcuni principi essenziali intimamente sentiti come giusti. Il Förster e il Modugno – in opere che restano classiche, e tra esse in primo luogo “Il Vangelo della vita” del primo e “Azione e scienza della vita” del secondo, ambedue edite da «La Scuola» di Brescia – hanno mostrato come i ragazzi possano essere aiutati a scoprire, induttivamente, la ragione delle regole alle quali debbono dare espressione ben definita e debbono voler obbedire per via di persuasione. L’immediato collegamento della disciplina scolastica a profonde esigenze etiche di vittoria sulle pressioni egoistiche dell’io inferiore e di responsabile solidarietà con gli altri nella legge intimamente accolta offre l’occasione unica di saldare il pensiero e l’azione, il giudizio speculativo e quello pratico, l’intenzione e la situazione, utilizzando gli obblighi della vita associata come mezzo di formazione del carattere morale ed un esercizio di vita civile. È quanto ne “Gli ideali della vita” (Ed. Bocca, 1912) William James raccomandava ai maestri: «Non predicate troppo ai vostri allievi, né abbondate in buoni racconti astratti. Attendete piuttosto le opportunità pratiche, afferratele mentre passano, e così, in un atto solo, fate che il vostro fanciullo pensi, senta e faccia. “I colpi della condotta” sono ciò che dà il nuovo assetto al carattere e fa, delle buone abitudini, un tessuto organico».
Non imporre l’ordine puramente dall’esterno, ma stimolare alla collaborazione le forze ordinatrici del carattere dell’allievo, nella convinzione che anche l’ordine e la disciplina si comprendono e si assimilano nel modo migliore se si impara a realizzarli da sé; sostituire al rapporto «maestri autocrati – scolari oppressi e ribelli» un sistema disciplinare in cui non si comandi da despoti e non si obbedisca da schiavi; attuare un comportamento di profondo rispetto per la dignità di colui al quale si comanda, risvegliando il senso dell’onore come onestà morale: ecco le conclusioni a cui concordemente sono giunte la pedagogia contemporanea e la psicologia dell’educazione. I modi di tradurre nella pratica scolastica quei principi e quelle suggestioni variano in rapporto alla personalità del maestro e all’età e alle condizioni dei ragazzi; ma la diversità di metodi e di «sistemi» disciplinari non può, non deve contraddire alla sostanza etica e all’imperativo pedagogico di far sì che risulti interamente falso il motto scherzoso coniato da Bernard Shaw: «L’educazione è la difesa organizzata degli adulti contro i fanciulli».
Scuola di Base, 1 – 2 , 1966.