Quando Agostino scrive il libro X delle “Confessioni”, il libro-capolavoro sulla memoria, analizza il suo stato presente, come ha fatto per i suoi atti e sentimenti passati, con spietata onestà, ma anche con la solita, schietta, prorompente umanità. Egli conosce la bellezza di una vita di totale servizio a Dio e ai fratelli, ma scorge nelle pieghe della sua coscienza debolezze che ancora lo umiliano; o anche tendenze in sé buone, che però possono diventare occasioni di godimento così intenso da requisire lo slancio dell’anima.
Agostino, che si sa assai sensibile al piacere estetico, riconosce di essere “soggiogato più tenacemente dall’arcana, eccitante corrispondenza tra i sentimenti dell’anima e il canto, la musica” (X, 33, 49). Nessuna meraviglia, dunque, se incominciò, forse poco dopo il battesimo, come parte della progettata enciclopedia delle arti liberali, e dovette concludere di lì a qualche anno, un trattato intorno alla musica, il “De Musica”. Il “De Musica” non è, come può sembrare, una semplice divagazione del suo autore, ma l’affascinante accavallarsi di temi e interrogativi svolti e ripresi instancabilmente, fino a sconcertare il lettore moderno, sospinto da Agostino a scoprire la bellezza prima di tutto entro la trama e la misura dei movimenti sonori del verso. Fedeli alla scelta metodologica operata da parecchi anni a questa parte, Luigi Franco Pizzolato e Giovanni Scanavino hanno voluto che la XX Settimana Agostiniana Pavese quest’anno fosse dedicata alla lettura e al commento di un testo del grande pensatore, il “De Musica” appunto, con l’aiuto di studiosi competenti sia in storia della musica che in metrica latina, capaci di penetrare il linguaggio dell’Africano quanto mai ricco d’illuminazioni ed espressivo di un pensiero che si apre di continuo alle profondità dell’uomo interiore. Coloro che ci hanno introdotto all’intelligenza del “De Musica” sono stati per il I libro Giulio Cattin, dell’Università di Padova, per i libri II-V, Guido Milanese, della Cattolica, e Ubaldo Pizzani, di Perugia, per il VI libro.
Agostino dette forma dialogica al “De Musica”, ma solo per servirsi di un espediente più idoneo di altri a spingere a fondo la problematizzazione delle questioni affrontate. Mirando a dotare le scuole di un libro che potesse entrare in un curriculum scolastico comune a cristiani e pagani, il punto di partenza è un procedimento quasi scolastico; ma quello che si guadagna nel corso della ricerca, pur utilizzando suggestioni pitagoriche e più precisi spunti platonici, è rivelatore del mondo dell’autore. Agostino, fruitore di musica troppo appassionato, ama tanto il canto liturgico, fin dal tempo in cui “ritrovava la fede”, da temere che il fascino della voce e della musica faccia dimenticare il significato delle parole. Cattin vede in ciò non lo scrupolo di un cristiano che sa di essere troppo sensibile al piacere estetico, ma qualcosa di più: la percezione dell’ambiguità degli effetti della musica nell’anima di chi ascolta. La musica è, infatti, ambivalente: può suggerire languore ed estenuazione, destare l’euforia sentimentale o sospingere l’uomo al di sopra di se stesso. Per Agostino la musica è arte se nasce da un’autentica elevazione interiore e se riesce a comunicare spontaneamente il desiderio e l’esperienza, almeno ad un certo tipo di ascoltatori. Infatti solo se l’ascoltatore è pronto a cogliere la bellezza di un canto o di un brano musicale, la tendenza che è in lui a percepire l’armonia dei movimenti sonori si attualizza.
La sezione tecnica del “De Musica” comprende i libri centrali dal II al V, è stata brillantemente studiata da Guido Milanese. In quei testi di marcata tecnicità ritmica e metrica si constata la continuità e insieme l’opposizione tra il mondo antico e il tardo-antico, porta d’ingresso del medioevo. Secondo Agostino, nei diversi aspetti in cui si organizza l’esperienza umana si deve cercare e rendere il più possibilmente esplicita la nascosta azione di un interno logos, cioè del principio di organizzazione. Vi è anche una disciplina che spinge a comporre in un tutt’uno l’atto inventivo del poeta e il materiale liturgico, fonetico, prosodico e si chiama appunto musica. Una cellula ritmica – una “figura d’accompagnamento”, diremmo noi moderni – può essere ripetuta all’infinito dallo strumentista addetto alle percussioni, senza che ne lasci intuire i limiti interni e le articolazioni. La situazione muta quando il materiale ritmico, di per se stesso ripetibile senza limitazione, viene sottoposto alla mensura, ad un metron appunto. Una linea melodica, infatti, consiste nell’organizzazione riconoscibile – come un inizio, uno svolgimento ed una fine – del materiale ritmico. Più in alto, il verso presuppone e organizza il metro.
Era precisa e dichiarata intenzione di Agostino far seguire all’indagine sul ritmo quella sulla melodia; tuttavia l’abbandono del progetto originario, quello dell’enciclopedia si pensa abbia indotto l’Africano a raccogliere le fila del discorso già svolto in un libro di notevole impegno speculativo, il VI del “De Musica”, di cui Ubaldo Pizzani ha fornito una penetrante interpretazione. L’analisi del rapporto tra coscienza e ritmo è di una finezza ancor oggi sorprendente. Ci sono ritmi fuori di noi, anche se sono accolti dagli organi di senso: uno stillicidio, ad esempio. Altri sono in noi, come il battito cardiaco e il respiro. I ritmi del canto e della musica, dei versi, mettono in moto quella capacità, che un po’ tutti abbiamo, di valutare se si tiene il tempo e il minore o maggior grado di convenienza dei diversi suoni nella loro successione.
Agostino si spinge a un’indagine, che avrà grande rilievo per lo sviluppo del suo pensiero filosofico, sull’origine della sensazione. Il corpo in tale prospettiva diviene indispensabile strumento di perfezionamento per l’anima stessa, la quale “come non può raggiungere la pienezza del suo essere senza Dio, così non può attingere la piena perfezione senza l’apporto del suo corpo”. La musicalità è una dimensione della vita umana e l’uomo dà una cadenza ritmica a molte delle sue operazioni. Agostino indulge ad una successiva matematizzazione della musica, ma è anche vero che nessuno più di lui ha visto il ruolo squisitamente attivo del soggetto che fa musica o di essa si nutre. Per lui è il bisogno di armonia che si effonde dall’anima a trasformare il ritmo di un verso o una frase musicale in un fatto spirituale e, ad un certo livello, in presentimento della Bellezza in sé. Che è un altro nome di Dio.
Giornale di Brescia, 15.5.1988.