Agostino venne a Milano nel 384, come retore imperiale, sollecitato dalla corte al prefetto di Roma, che era allora Simmaco, che fu ben lieto, all’indomani dello scontro con Ambrogio per l’ara della Vittoria, di creare imbarazzi, con l’invio di un eloquente manicheo, al suo amico-nemico vescovo. Vi rimase fino al 387 quando, dopo aver ricevuto il Battesimo, tornò a Roma e poi in Africa.
Egli fu a Milano nel periodo in cui la città era capitale dell’impero: non soltanto una delle capitali, come era avvenuto fin dal 286, con l’avvento della tetrarchia, a causa dell’accresciuta importanza militare della città, della sua vicinanza alle frontiere e dei suoi ottimi collegamenti stradali, ma la capitale di fatto dell’Occidente. La Milano di allora era una città che aveva belle case e vie con bei porticati, un Palazzo imperiale, un teatro, terme e templi; ed era abitata da una popolazione culturalmente e umanamente cordiale (“facunda ingenia et mores laeti”, secondo il poeta Ausonio). Quella città, poi, viveva una grande stagione spirituale, avendo scelto a guida della sua Chiesa un uomo della grandezza di Ambrogio.
Il Colloquio internazionale «Agostino nelle terre di Ambrogio» (Milano, 22-24 aprile 1987) – promosso dall’Ordine Agostiniano, dal Dipartimento di Scienze Religiose dell’Università Cattolica, dall’Istituto Superiore di Studi Religiosi e dalla Fondazione Ambrosiana Paolo VI – ha preso le mosse proprio da una limpida ricostruzione storica di «Milano al tempo di Agostino», grazie alla profonda conoscenza che di quel periodo ha la professoressa Marta Sordi, ordinario di Storia greca e romana alla Cattolica. Un periodo, in particolare, è stato messo a fuoco: il conflitto di Ambrogio con Valentiniano II, presso il quale la madre Giustina appoggiava la richiesta degli ariani, suoi correligionari, di impossessarsi sia della basilica cattolica Porziana, che era fuori le mura, sia della basilica nuova, che si trovava entro le mura ed era la maggiore. Si verificò allora uno dei più clamorosi esempi di resistenza non violenta, perché il popolo presidiò ininterrottamente i luoghi di culto con preghiere e canti e il vescovo non si lasciò piegare dall’assedio dei soldati e dalle reiterate minacce della corte. Ambrogio aveva seguito una linea di condotta che può essere sintetizzata da due sue affermazioni: «Un vescovo non può cedere un tempio che appartiene a Dio»; «Io non posso mettermi a questionare a palazzo perché io gli intrighi di palazzo né li cerco, né li conosco». Per qualche studioso moderno la difesa delle basiliche cattoliche da parte di Ambrogio e dei credenti è atto che umilia il potere politico dello Stato; ma il giudizio che emerge dai fatti è ben diverso. Lo Stato non aveva il diritto, in nome della libertà di culto, di dare agli ariani le chiese dei cattolici. Anche il diritto romano, sempre attento al diritto di proprietà, era chiaro su questo punto. La lotta per le basiliche fu quindi una lotta per la libertà e il popolo milanese visse quella lotta accanto al suo vescovo. In quell’intensa atmosfera religiosa e umana maturò la conversione di Agostino.
Di «Agostino e i personaggi milanesi» ha parlato, con molto spirito e insieme con rigorosa documentazione, Angelo Paredi, prefetto emerito della Biblioteca Ambrosiana di Milano. Dalle Confessioni e da altre opere ci vengono elementi che contribuiscono a delineare il quadro della società milanese in cui si muove Agostino, professore di retorica e oratore ufficiale a corte. Ci sono gli amici che contano nel mondo degli affari e dell’amministrazione statale (il concittadino Romaniano, Verecondo, medico dell’imperatore, Teodoro, Ponticiano ed altri); ci sono le loro donne, spesso più pronte ad accogliere il messaggio religioso, e le donne di Agostino (la madre di Adeodato alla quale l’Africano aveva serbato fedeltà per quattordici anni; la giovinetta della Milano bene con cui fu fatto fidanzare e la prostituta che per breve tempo frequentò il retore prima della conversione). Ma non manca la gente comune nei ricordi di Agostino: l’ubriacone, il giovane sordomuto di grande finezza, quel cristiano poverissimo che aiuta chi ha più bisogno di lui. E Agostino non dimentica chi sorride di lui, illustre professore di retorica, a causa della sua pronuncia: egli è pur sempre un «terrone» proveniente dall’Africa Settentrionale.
Degli intellettuali che costituiscono «il circolo neoplatonico milanese», in quel tempo attivamente presente nella capitale dell’impero d’Occidente, ha parlato, con l’autorevolezza che gli viene riconosciuta universalmente, Aimé Solignac. Circolo, appunto, cioè relazione di amicizia e comunanza di interessi e non accademia; milanese, perché i suoi membri vivono, almeno provvisoriamente, e comunque s’incontrano, a Milano. La figura che sovrasta ogni altra è quella di Simpliciano, forse conosciuto già a Roma da Ambrogio, maestro di pensiero oltre che di fede e di spiritualità anche per il vescovo di Milano. Egli è il punto d’incontro tra Mario Vittorino, iniziatore del neoplatonismo cristiano in Occidente, e gli altri aderenti al circolo; ma è anche la guida discreta e sicura alla conversione religiosa del traduttore di Plotino, così come lo sarà poi per Agostino, che con lui ebbe grande confidenza. Anche il metodo di Simpliciano, quel porre di continuo domande per incitare l’interlocutore a cercare e ad approfondire, è quanto mai consono a quel «pensiero interrogativo» che caratterizza la “inquisitio” agostiniana. Simpliciano è uno di quei grandi che non lasciano scritti non perché non abbiano idee, ma perché ne hanno troppe e soprattutto perché avvertono il carattere inadeguato di ogni formulazione concettuale, necessaria e imperfetta a un tempo. Solignac riconferma le conclusioni del Courcelle: neoplatonismo e Cristianesimo sono intimamente legati per l’élite della Chiesa di Milano e non opposti, anche se il processo di assimilazione del neoplatonismo all’organismo culturale del Cristianesimo procede di pari passo con la coscienza delle correzioni sostanziali da portare a non poche tesi della metafisica di Plotino. Fatto questo limpidamente attestato, meglio che da chiunque altro, proprio da Agostino nelle “Confessioni”.
A questo punto il Colloquio internazionale ha riportato l’attenzione sui due momenti cruciali della permanenza a Milano di Agostino: la conversione e il Battesimo. «L’itinerario spirituale di Agostino» è stato magistralmente analizzato da Luigi F. Pizzolato, ordinario di Letteratura cristiana antica alla Cattolica e appassionato animatore del Dipartimento di Scienze religiose di quella Università, mentre Adriano Caprioli, docente alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, ha svolto una puntuale relazione su «Battesimo di Agostino e immagine di Chiesa». Il percorso spirituale di Agostino a Milano è assai complesso, anche se Agostino stesso si premura di registrare ogni nuova acquisizione e di riepilogare le tappe del cammino, prospettando le difficoltà ancora da superare e i problemi irrisolti. Giunto a Milano come manicheo deluso, incline allo scetticismo, la “desperatio veri” cede a poco a poco il posto alla volontà di una «ricerca più approfondita», grazie agli stimoli che gli vengono dalla predicazione di Ambrogio tra l’autunno del 384 e l’autunno del 385. «Ambrogio – osserva acutamente Pizzolato – seppe conciliare Agostino con la verità, senza deluderlo nel suo atteggiamento di retore, anzi partendo proprio di lì». Il cattolicesimo appare ormai al professore africano non più un coacervo di antropomorfismi e pregiudizi puerili, ma un’ipotesi da verificare e «una grande speranza» (Conf. VI, 11, 18). Ambrogio ridette ad Agostino il gusto della ricerca e la prova che la verità rivelata che la Chiesa cattolica annuncia è «perspicua», cioè profondamente razionale anche quando eccede la misura della nostra ragione. E fu la spinta decisiva anche a cercare sul terreno filosofico quelle verità balenate a lui per la prima volta attraverso la predicazione di Ambrogio. Agostino allora si accostò agli «autori platonici» e poi, al di là di questi, a Paolo, il classico cristiano per eccellenza, attraverso il quale, grazie anche all’aiuto di Simpliciano, il suo spirito si aprì al mistero del Verbo che si fa carne e passò «dalla presunzione alla confessione». Simpliciano fu a fianco di Agostino in questo passaggio e gli fece intuire la necessità di raccordare la forza dell’intelligenza, che dissipa ormai le nebbie e gli errori dottrinali, all’umiltà di Cristo. C’è anche un’esperienza esemplare per Agostino: la vicenda di Mario Vittorino, anch’egli retore e africano, anch’egli conquistato dalla verità e dalla bellezza del Cristo dei Vangeli,, ma cristiano a pieno titolo realmente solo quando scopre il dovere e la gioia di unirsi agli altri fratelli nella Chiesa di Cristo. La crisi drammatica che esplode nel «giardino» sul finire dell’agosto 386 scioglie i nodi residui e supera il contrasto fra la consuetudine che ischiavisce e la libertà di un dono totale di sé a Dio e ai fratelli.
L’inizio di una nuova vita dà i suoi splendidi frutti nel ritiro di Cassiciàcum, dove prega, discute, scrive, lavora manualmente con i familiari e i discepoli che gli sono intorno, tra il novembre del 386 e l’epifania del 387, giorno in cui nella Chiesa milanese si accoglievano le iscrizioni dei “competentes”, cioè dei catecumeni che intendevano ricevere il Battesimo nella Pasqua successiva. Del battesimo, ricevuto per mano di Ambrogio nella notte tra il 24 e il 25 aprile, insieme al figlio Adeodato e all’amico del cuore, Alipio, Agostino dice solo: «E fummo battezzati e si dileguò da noi l’inquietudine della vita passata» (Conf. IX, 6, 14). Ma l’epigrafica essenzialità di Agostino non autorizza alcuno a pensare – come pure si è fatto – che egli si sia convertito al neoplatonismo e non al Cristianesimo, come se il Battesimo fosse una scelta provvisoria e un rito irrilevante nella vita del santo dottore e non l’approdo di un tormentoso percorso. Il Battesimo concludeva il suo rapporto diretto – come ha ricordato il prof. Caprioli – con la Chiesa milanese. Un mese dopo Agostino si metteva sulla via di Roma, per imbarcarsi alla volta della sua Africa. E tuttavia era a Milano che egli aveva trovato secondo una sua felice espressione la sua stella polare, il punto Nord (“septentrio”), ciò che doveva per sempre orientare la sua vita. Milano significava per lui Ambrogio e Simpliciano, la riscoperta della parola di Dio, la ripresa di un cercare fiducioso, la conversione e il Battesimo. Nei ricordi indelebili di Agostino sarà sempre presente l’immagine della Chiesa di Ambrogio, della dignità e del coraggio dei cattolici milanesi, della loro pietà e del loro senso ecclesiale. Quando Agostino avrà da portare anch’egli la sarcina episcopalis, dinnanzi ai suoi occhi, per la sua esplicita ammissione, brillerà l’esempio di Ambrogio e della Chiesa ambrosiana: una Chiesa che sapeva offrire un reale nutrimento all’intelligenza e al cuore dei dotti e dei semplici.
I partecipanti al Colloquio internazionale hanno avuto il privilegio di sostare dinnanzi al battistero in cui Agostino ricevette l’acqua della rigenerazione, sotto l’attuale Duomo, nel giorno stesso in cui quell’evento si verificò sedici secoli fa, e avendo a guida l’artefice numero uno di quella scoperta, il prof. Mario Mirabella Roberti. Alla prof. Maria L. Gatti Perer è toccato, invece, lumeggiare la «Iconografia agostiniana», dominata dalla costante associazione dei due santi dottori della Chiesa, Ambrogio e Agostino, sulla bocca dei quali sono posti i versetti iniziali di uno dei più venerandi inni, il “Te Deum laudamus”.
A suggello delle tre intense giornate di lavoro, il successore di Ambrogio, il cardinale Carlo Maria Martini, ha ripercorso il cammino che porta Agostino dal rifiuto all’accoglienza commossa della Scrittura, «accessibile a tutti, benché pochissimi possano penetrarla a fondo». Colui che sarebbe stato l’instancabile esegeta e annunciatore della Parola, fece di essa il nutrimento della sua anima, perché solo l’amore orante della Verità che si è fatta persona, l’intelligenza che non si stanca di cercarla e il più intenso raccoglimento spiegano come sia possibile un servizio disinteressato ed eroico, colmo di attenzione per l’uomo. Come quello reso all’umanità e alla Chiesa da Agostino.
Studium, maggio-giugno 1987.