Il Novecento è uno dei secoli più tragici della storia: esso è attraversato da due guerre mondiali, persecuzioni razziali, genocidi immani, nazionalismi distruttivi, totalitarismi. Il “secolo breve”, secondo la definizione di Hobsbawm, che inizia con la Prima Guerra mondiale e si conclude con la caduta del muro di Berlino, nei suoi momenti cruciali, ha commesso l’errore tragico di voler assolutizzare ciò che è umano. In questo modo, l’uomo è andato incontro a derive letali, perdendo di vista se stesso, la Verità, i veri valori dell’esistenza. Le tragedie del Novecento nascono proprio dalla volontà folle di sostituirsi a Dio, di realizzare una società “perfetta”, “pura”, di eletti che devono guidare il mondo.
Tra gli esempi più significativi di tale quadro storico, c’è la vicenda delle foibe, alla fine della seconda Guerra mondiale. Questo argomento è stato approfondito durante un incontro presso la Sala Bevilacqua dei Padri Filippini della Pace, organizzato dalla Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura, il 13 maggio scorso. Il moderatore è stato il giornalista Valerio Di Donato, i relatori sono stati Fulvio Salimbeni, docente di Storia contemporanea presso l’Università di Udine, e Milan Rakovac, scrittore e traduttore croato.
L’obiettivo dell’iniziativa è stato quello di creare un’occasione di dialogo tra due culture, due popoli, per capire meglio gli avvenimenti storici, cercando di superare diffidenze reciproche e incomprensioni, che ancora oggi lacerano le coscienze degli esuli italiani, dei croati e degli sloveni.
Certo, l’argomento è complesso, molti aspetti storici restano non chiariti, molti dubbi non risultano sciolti, tuttavia questa volontà di dialogo è preziosa, può essere l’inizio di un nuovo percorso di pace e di fratellanza tra i popoli interessati. Come sottolinea Salimbeni, nella storia nulla è definitivo: Francia e Germania hanno insanguinato l’Europa per secoli, eppure oggi sono l’asse portante dell’Unione europea.
La tragedia nasce alla fine della Seconda Guerra mondiale, quando l’Italia firma l’armistizio, l’8 settembre del 1943. In Istria e in Dalmazia, a questo punto, si scatena una serie di rappresaglie contro coloro che non accettano l’annessione alla Jugoslavia del maresciallo Tito. Dal 1943 al 1945, migliaia di persone, forse cinque o seimila, vengono uccise dalle truppe jugoslave: molti di questi sono gettati nelle foibe, cavità carsiche profonde, che rappresentano il simbolo di tale immane tragedia. Inoltre, quando, nel 1947, l’Istria e la Dalmazia sono cedute alla Jugoslavia, più di trecentomila persone diventano esuli, fuggono da quelle terre e si rifugiano in Italia, dove incontrano molte difficoltà. Qui si aggiunge un altro dramma, quello degli esuli che non possiedono più una casa, che sono visti con sospetto, per la loro origine, spesso accusati di essere “fascisti”.
In seguito, questa pagina oscura della storia viene quasi dimenticata, a volte per motivi ideologici, a volte per diffidenze reciproche tra i popoli coinvolti. Solo negli ultimi anni, essa è stata in parte recuperata: sono nate commissioni di studio, come quella italo-slovena e quella italo-croata, è stata istituita la giornata della memoria, il 10 febbraio del 2005; lo stesso Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano ha voluto riprendere il filo della memoria, in un suo discorso del 2007.
Certo, molte ferite restano ancora aperte, come ha sottolineato Milan Racovac, però è fondamentale rafforzare la volontà di dialogare, di capire insieme, di approfondire i fatti con uno spirito di verità, non di rancore. Lo stesso scrittore ha ricordato come per secoli italiani, croati, dalmati abbiano convissuto in armonia, sotto la Repubblica di Venezia. A partire dall’Ottocento, a causa dei nazionalismi, emergono divisioni, spinte espansionistiche. Il Novecento, secondo Salimbeni, con il suo bagaglio di ideologie totalitarie, fa esplodere odi, rivalità, revanchismi esiziali, che causano solo morte e disperazione. Proprio l’area geo-politica della Jugoslavia conosce gli esiti peggiori di questo processo: la questione di Fiume, il Trattato di Rapallo, con cui nel 1920 Croazia e Slovenia sono annesse all’Italia, il regime fascista, che controlla questi territori, imponendo una politica di italianizzazione forzata, così alimentando sentimenti di vendetta, infine l’espansione della Jugoslavia di Tito.
Come si può vedere, il veleno del nazionalismo e del totalitarismo è penetrato nell’animo di popoli nobili, causando il “sonno della ragione”. In questo modo, un territorio pacifico, ricco di cultura, dove varie civiltà hanno sempre dialogato, si è trasformato in una delle aree più violente d’Europa.
Nella logica totalitaria, al vertice della scala dei valori ci sono lo Stato, il partito, la Nazione; la persona umana, che è la vera fonte di ogni diritto e di ogni valore, come affermano le Costituzioni moderne, passa in secondo piano, viene mortificata, considerata come un elemento di un sistema più ampio. Le foibe istriane e dalmate sono uno degli esempi più significativi di un’unica, immane tragedia europea, che ha avvelenato gli animi di milioni di persone, sotto il vessillo dei vari totalitarismi.
Allora si tratta di ripartire dalla persona umana, che è prioritaria rispetto a tutto: solo in questo modo ci può essere dialogo tra popoli, si può tornare a quello spirito di armonia, che per secoli ha caratterizzato l’area della ex Jugoslavia, si possono seppellire definitivamente rancori e odi, per avviare un cammino di civiltà.
La Voce de Popolo, 11.6.2010