Il nostro tempo fa emergere una paradossale contraddizione: da una parte mostra un’enorme ricchezza di mezzi, di tecnologia, di progresso scientifico; da un’altra parte rivela, sul piano dei rapporti umani, un crescente impoverimento, che, spesso, si traduce in indifferenza, in comportamenti che denotano una forte crisi dei valori etici.
Da dove nasce tale contrasto drammatico, che connota l’esistenza dell’uomo contemporaneo? A questo interrogativo ha cercato di rispondere Adriano Fabris, docente di Filosofia della morale, presso l’Università di Pisa, nella sua conferenza dal titolo “Siamo tutti indifferenti? La relazione nell’epoca del social network”, organizzata dalla CCDC, nella Sala Bevilacqua dei padri filippini della Pace, il 23 settembre scorso.
Secondo il relatore, la nostra epoca è alquanto complessa, per cui non è possibile comprenderla appieno nella filosofia. Allora, bisogna riflettere sul prorprio tempo, al fine di individuare percorsi di ricerca, che possono darci delle possibilità di crescita umana e culturale. Il punto di partenza è cercare di capire le cause del fenomeno dell’indifferenza. Senza dubbio, assistiamo all’egemonia della tecnica, in tutti i campi della nostra vita. Essa ha una sua “razionalità”, una sua logica, che non dipende del tutto da noi. Infatti, la tecnica ha, come sua essenza, la funzionalità, l’efficienza: nel suo mondo, tutto deve funzionare, essere efficiente; questo è il suo unico fine. L’uomo rischia proprio di diventare succube di questa logica, per cui i rapporti umani e l’etica rischiano di essere mortificati dalla fredda e asettica razionalità legata all’efficienza. Possiamo vedere tale tendenza in vari campi della nostra esperienza. I mass-media, ad esempio, al loro interno, mettono tutto sullo stesso piano, annullando le differenze e creando, quindi “in-differenza”. La televisione mette in onda, nello stesse programma, temi insulsi, osceni, con temi nobili, profondi, senza un criterio valoriale di giudizio. Lo stesso Internet, che sta diventando uno dei principali mezzi di comunicazione, si basa su un appiattimento di temi, per cui, navigando, è possibile trovare siti seri, culturali, insieme con siti che offendono la dignità delle persone. Si parla dell’epoca del “web partecipato”, in cui sono protagonisti i giovani. A questo riguardo, ricorda Fabris, la comunicazione svolta su internet rischia di cancellare la differenza tra il reale e il virtuale, in una dimensione in cui tutto diventa indifferente e in cui si perdono le vere identità personali.
La tecnica, di conseguenza, impone all’uomo la sua logica impersonale, caratterizzata dalla funzionalità, dall’efficienza fine a se stessa. Cosa possiamo fare? La tecnica è un mezzo, quindi può essere usato in modo negativo e in modo positivo. Noi dobbiamo cercare di cogliere le opportunità del nostro tempo, i lati positivi della tecnica, come la possibilità di comunicare, senza, però, diventare schiavi dei mezzi che abbiamo creato. L’uomo deve continuare a coltivare se stesso, la parte migliore di sé: esso deve dialogare con il prossimo, pensare, fantasticare, studiare, cercare le risposte ai problemi della vita. Solo in questo modo possiamo superare la crisi etica che ci tormenta. La filosofia, secondo Fabris, può aiutarci, non, come dice Hegel, come la civetta di Minerva, che spicca il volo sul far del tramonto, e che comprende il proprio tempo, ma come il ragno, che tesse la propria tela, aprendo dei percorsi di ricerca, che restano aperti all’infinito, in quel cammino mai esaurito che ha come fine la verità.
Articolo pubblicato sulla Voce del Popolo del 1° ottobre 2010.