Il Mediterraneo separa il continente europeo da quello africano, eppure li unisce, insieme al continente asiatico, essendo una “strada”, acquea naturalmente, per raggiungerli. Proprio tale caratteristica ha fatto del Mediterraneo un luogo in cui mondi vicini nello spazio, ma anche lontani dal punto di vista culturale, religioso, civile, sociale ed economico sono entrati in relazione, grazie pure ai migranti o itineranti internazionali che hanno stabilito nuovi legami ed interazioni tra Paesi di partenza e di arrivo.
Subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, le migrazioni interessarono più i Paesi del bordo nord del Mediterraneo (Italia, Spagna, l’allora Iugoslavia, Grecia, Turchia) dai quali partivano considerevoli contingenti di manodopera a buon mercato verso le regioni dell’Europa soprattutto nord-occidentale con penuria di lavoratori braccianti. La successiva crisi energetica degli anni ’70, insieme a ragioni legate all’economia, ha poi diminuito considerevolmente il flusso di lavoratori migranti da detti Paesi, scoraggiato anche da politiche migratorie che si facevano restrittive.
Così, a partire dagli anni ’70, numerosi furono i ritorni in Italia, Spagna e Grecia, con tendenza a superare il numero delle partenze. Poi, caduta la cortina di ferro e disgregata l’URSS, prese lena il movimento migratorio dagli Stati dell’Est europeo che si diresse anche verso il Sud dell’Europa. Aumentò così il movimento nella zona mediterranea. Diventarono anche più evidenti i flussi dalle coste meridionali del Mediterraneo e, successivamente, dalle regioni più lontane e interne di Africa e Asia, verso la stessa meta.
Purtroppo le notizie al riguardo hanno fomentato un quasi panico per una presunta “invasione” di immigrati, dai quali si sentono posti in stato di insicurezza molti cittadini autoctoni. Ci sono anzi coloro che ritengono poste in pericolo identità nazionali. Vi è inoltre chi teme che la spesa pubblica a favore degli immigrati risulti svantaggiosa per la popolazione locale. Gli attacchi terroristici, poi, a New York e a Madrid, per non parlare di altri, hanno fatto aumentare le preoccupazioni per la sicurezza nazionale e poste in evidenza le frontiere. In questo contesto, le migrazioni irregolari sono ormai percepite come fenomeno che è segno della loro porosità, per cui, di conseguenza, è stata sentita la necessità di una maggiore sorveglianza. La migrazione è dunque associata fortemente al terrorismo, considerato quasi come l’altra faccia della medaglia della presenza di chi è senza documenti.
In realtà tale tendenza a rafforzare la sicurezza accompagnava già la faticosa costruzione dell’Unione Europea. Lo stesso accordo di Schengen, che mirava ad abbattere le frontiere tra i Paesi membri dell’Unione, al tempo stesso voleva garantire la sicurezza proprio dello “spazio Schengen” con sua protezione dalle minacce esterne (terroristi, criminali che oltrepassano le frontiere, o immigrati irregolari). Di conseguenza i cittadini dei Paesi terzi extra Schengen sono concretamente considerati potenziali pericoli per la propria sicurezza europea, per cui si inaspriscono i controlli alle frontiere esterne dell’Unione a loro riguardo, ritenuti una garanzia necessaria per la sicurezza interna.
Dopo l’attacco alle Torri Gemelli, si può affermare dunque che la minaccia alla sicurezza è meno percepita come possibile scontro bellico con un altro Paese, ma considerata piuttosto come una serie di pericoli di tipo sociale e transnazionale, frequentemente rappresentati, secondo comuni stereotipi, da un musulmano, o da un bruno o da un nero. Infatti nello “spazio Schengen” non si ritengono “nemici” gli Stati, ma si valutano come una “minaccia” i Paesi considerati di origine o di transito delle migrazioni irregolari.
Migrazioni irregolari
È comunque vero che ogni anno decine di migliaia di persone cercano di eludere i rigidi controlli alle frontiere terrestri e marittime e rischiano magari la vita in sovraffollate carrette del mare per raggiungere le sponde dell’Europa meridionale. E si dice implicitamente: è mare nostro! In effetti, dato che Paesi europei hanno molto limitato, se non addirittura soppresso, le possibilità di entrare legalmente nei loro territori, è rimasta, per chi vuole emigrare, la via del traffico o del contrabbando di esseri umani. Ma dobbiamo subito chiarire che in realtà coloro che riescono ad arrivare in Europa irregolarmente, via mare, sono molto meno numerosi rispetto agli altri che giungono per via terra. Circa tre-quarti degli immigrati in situazione irregolare arrivano di fatto con un visto o permesso d’ingresso valido, e poi rimangono nel Paese scelto dopo la sua scadenza. Una conferma viene dai dati in nostro possesso relativi a Italia e Spagna, principali Paesi di prima destinazione in Europa mediterranea.
Paesi di origine, transito e destinazione
Si può pensare che molti migranti e richiedenti asilo che cercano di entrare in Europa varcando il Mediterraneo provengano da Paesi Mediterranei (Marocco, Algeria e Tunisia, ed Egitto). Anche i cittadini turchi trovano ingresso nei Paesi europei attraverso il mare nostro, ma assieme a loro ecco chi arriva ai suoi lidi meridionali dal Corno d’Africa (Somalia ed Eritrea), dall’Africa Subsahariana (Sudan, Sierra Leone, Senegal, Ghana, Nigeria, ecc), e persino dall’Asia (Afghanistan, Pakistan, India, Bangladesh, Sri Lanka e finanche Cina).
Le traversate partono dal Marocco (verso l’Andalusia), dalla Tunisia e dalla Libia (in direzione di Malta, Sicilia e isole minori) e dall’Egitto (specialmente verso Creta) direttamente o attraverso la Libia. Così fanno anche molti migranti e richiedenti asilo, provenienti da altri Paesi africani, che arrivano in Egitto, soprattutto dopo l’arresto dei movimenti migratori dall’Asia attraverso il Canale di Suez e il Mar Rosso.
Dal canto suo, dunque, la Libia è Paese importante di ultima sosta per arrivare in Europa, ma anche come destinazione finale dell’emigrazione. In effetti in tale Nazione – si calcola – gli immigrati sono circa due milioni, ma solo pochi, relativamente, intendono partire per l’Europa. Comunque la maggioranza degli arrivi irregolari alle coste italiane provengono o provenivano proprio da tale Paese.
La Tunisia e il Marocco, invece, – come dicevamo – sono tradizionali Paesi di emigrazione. Infatti centinaia di migliaia di tunisini e marocchini si sono stabiliti in un qualche Paese europeo nel corso degli ultimi decenni e migliaia di persone continuano ancora ad emigrare da quelle coste mediterranee, anche se recentemente Tunisia e Marocco sono diventati pure Paesi di immigrazione, oltre che di transito. Sono aumentati altresì gli stranieri provenienti dai Paesi subsahariani, che vi si sono stabiliti, soprattutto nelle grandi città.
Anche l’Algeria è un tradizionale Paese di emigrazione, pur senza essere di ultimo transito, visto che gli algerini attraversano il Mare nostrum, per giungere in Europa, partendo piuttosto da Marocco, Tunisia e Libia. Comunque molti africani passano il deserto del Sahara, un altro mare, ma di sabbia, per entrare poi in altri Paesi del Nordafrica, da cui intendono partire per l’Europa.
La prima destinazione europea, degli emigranti e richiedenti asilo che attraversano il Mare Mediterraneo, sono pertanto i Paesi del bordo nord di tale bacino (Spagna, Italia, Grecia), con Malta e Cipro. La Spagna, Isole Canarie comprese, è invece meta piuttosto di imbarcazioni dal Marocco, dal Senegal e dalla Mauritania. L’Italia è o era raggiunta da imbarcazioni in genere provenienti dalla Libia e dalla Tunisia, ma le carrette del mare dalla Libia arrivano anche a Malta, mentre in Grecia giungono soprattutto imbarcazioni che portano cittadini turchi, e alcuni egiziani. Cipro invece risulta essere principalmente meta di libanesi e, raramente, anche di qualche egiziano. Naturalmente questi dati devono essere continuamente aggiornati anche perché i “viaggi della speranza” cambiano. Per fare un esempio, in Italia i nuovi “approdi” sono Tarvisio, Salento, Sardegna e … Malpensa, un aeroporto cioè, sempre porto, ma di aerei!
Pericoli durante il viaggio marittimo
Il fatto tragico è che non tutti coloro che partono dalle coste nordafricane, e affidano il loro destino al Mediterraneo, arrivano alla sognata Europa. A migliaia, infatti, sono stati trovati senza vita o dichiarati dispersi in acque, diciamo così, spagnole, italiane, maltesi, tunisine e libiche. Questo senza contare coloro che si sono inabissati, insieme alla loro “navicella della speranza”, nel Mediterraneo o nell’Atlantico senza lasciare traccia. Conosciamo bene, poi, i fatti tragici collegati ai controlli più rigidi nello stretto di Gibilterra e a Ceuta e Melilla, che hanno fatto spostare la meta dei futuri immigrati dal Sud della Spagna, o dai territori spagnoli, in Africa, alle Isole Canarie. I punti di partenza si sono altresì spostati dal Mediterraneo all’Atlantico, prima nel Sahara occidentale, poi in Mauritania, e alla fine in Senegal, con una rotta sempre più difficile e sempre più pericolosa. Per chi poi viene da più lontano, occorre attraversare il gran mare di sabbia prima ancora di poter tentare l’affidamento a quello acqueo. Anche il deserto ha inghiottito centinaia di corpi senza nome, o li ha dati in pasto agli uccelli del cielo e agli animali della terra. Ma consideriamo ora il
Partenariato Euro-Mediterraneo
Con firma a Barcellona, nel 1995, esso ha sempre considerato la migrazione irregolare una delle questioni fondamentali da affrontare. Il cosiddetto “processo di Barcellona” ha infatti lo scopo di approfondire i rapporti politici, economici e culturali tra Paesi membri dell’Unione Europea e quelli sulle sponde meridionali e orientali del Mediterraneo. Membri del Partenariato – come si sa – sono i 27 Stati dell’Unione Europea e 16 Paesi partner (Albania, Algeria, Bosnia ed Erzegovina, Croazia, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Libia, Mauritania, Monaco, Montenegro, Marocco, Siria, Tunisia e Territori Palestinesi). In diversi incontri di partenariato si è sottolineata l’importanza di collaborare nella lotta contro l’immigrazione irregolare, incoraggiandosi la promozione di accordi di riammissione nei Paesi di partenza. Va comunque ricordato che tali accordi devono rispettare la Convenzione di Ginevra del 1951, e il relativo Protocollo del 1967, sullo status dei rifugiati, i trattati interni sulla estradizione, transito e riammissione di cittadini stranieri e asilo (in modo particolare la Convenzione di Dublino del 1990) e quella del 1950 sui Diritti Umani. Perciò nessuno può essere trasferito, espulso o estradato verso uno Stato dove esiste il serio pericolo che la persona sarà condannata a morte, torturata o sottoposta ad altre forme di punizione o trattamento degradante o disumano. Cominciamo dunque qui già a intravedere il Mare dei diritti.
Alcuni esempi significativi
Il Governo italiano, nel 2003, facilitava alle autorità egiziane voli charter per rimpatriare migranti srilankesi fermati sul Canale di Suez, mentre puntavano verso l’Italia. Si confiscavano le “barche” e i “passeggeri” erano riportati al loro Paese. E che ne risultò? Gli emigrati di Sri Lanka ora seguono la strada tracciata prima di loro da Pakistani e da gente dal Bangladesh. Si arriva, prima, in un Paese dell’Africa subsahariana e poi si tenta la traversata del Mediterraneo dal Marocco, oppure si naviga l’Atlantico, sempre dal Marocco o da Mauritania o Senegal. Oltre ad essere, così, più lungo, il viaggio risulta decisamente più costoso e più pericoloso.
Nel passato mese di settembre un rapporto del “Human Rights Watch” (2009) denunciava l’intercettazione da parte delle guardie costiere italiane di migranti e richiedenti asilo africani che navigavano nel Mediterraneo, Mare dei diritti per il titolo di questo nostro intervento, respingendoli forzatamente in Libia, come previsto da un accordo bilaterale con quel Governo, e ciò senza valutare la possibilità che vi fossero fra di loro rifugiati o persone in qualche modo vulnerabili. In Libia però esistono centri di detenzione e di rimpatrio dove le condizioni variano da accettabili a disumane e degradanti. E l’accesso a questi centri è difficile per cui è arduo monitorare il rispetto in essi dei diritti umani, tenendo poi conto che tale Paese non ha aderito alla Convenzione di Ginevra del 1951, né al relativo Protocollo del 1967, e non riconosce l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati.
Un altro accordo di riammissione esiste tra Spagna e Marocco. Negli ultimi anni sono stati denunciati diversi casi di presunte irregolarità alla frontiera tra i due Paesi. Gli eventi più drammatici ebbero luogo nell’ottobre del 2005, quando centinaia di persone cercarono di scavalcare l’alto recinto a protezione di Ceuta e Melilla. Il Governo spagnolo immediatamente fermò, deportò o restituì al Marocco più di 70 persone che erano riuscite ad entrare nel suo territorio, anche se molte organizzazioni, l’UNHCR incluso, ritenevano che vi fossero tra essi richiedenti asilo. In passato, ci furono già diversi casi di respingimento in Marocco di marocchini ed africani subsahariani da Ceuta e Melilla, senza che essi avessero la possibilità di presentare una legittima domanda di asilo.
MARE NOSTRUM, MARE DEI DIRITTI UMANI?
I diritti dei migranti, dei richiedenti asilo e dei rifugiati
La Corte Europea dei Diritti Umani ha affermato che “Gli Stati hanno l’innegabile diritto sovrano di controllare l’ingresso di forestieri e la residenza di essi nel loro territorio … [ma] tale diritto deve essere attuato secondo le disposizioni della Convenzione [Europea sui Diritti Umani e sulle Libertà Fondamentali]”. Anche la Corte Interamericana di Diritti Umani riafferma lo stesso principio e attesta che decisioni sovrane riguardanti la politica sulle immigrazioni devono essere compatibili con le norme che proteggono i diritti umani.
Gli Stati che hanno aderito a vari trattati internazionali sui diritti umani sono dunque tenuti a garantirli a tutti, tenendo altresì in considerazione che, stando alla dichiarazione della stessa Commissione Europea per i diritti umani, “gli agenti autorizzati di uno Stato non soltanto rimangono sotto la sua giurisdizione anche quando sono all’estero, ma portano sotto la giurisdizione dello Stato in parola qualunque altra persona sulla quale esercitano autorità. Nella misura in cui gli atti o le omissioni dello Stato toccano tali persone, la responsabilità dello Stato ne è coinvolta” . Lo stesso criterio del resto è adottato anche dal Comitato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani quando afferma che il Patto internazionale sui diritti civili e politici (art. 2) obbliga gli Stati a rispettare e garantire i diritti di tutti gli individui che si trovano nel proprio territorio e soggetti alla sua giurisdizione, con attenzione al fatto che la giurisdizione non si limita al territorio geografico, per cui lo Stato in parola è tenuto responsabile per le violazioni dei diritti contenuti nel Patto che i suoi agenti commettono sul territorio di un altro Stato, con il consenso o in opposizione al volere di quest’ultimo.
Alla luce di quanto ho qui affermato, cerchiamo di considerare brevissimamente la prassi e le normative dei Paesi Mediterranei, in un settore ormai indicativo, quello relativo al tentativo di imbarcazioni straniere di approdare alle loro sponde.
In effetti c’è una tendenza, tra i Paesi europei, di delocalizzare i controlli delle frontiere, incoraggiando i loro partner delle coste meridionale del Mare nostro, Mare dei diritti, ad effettuare controlli più rigidi sui migranti, ma dando loro la possibilità di chiedervi asilo. Ci sono però serie questioni umanitarie connesse a tale tendenza, anche per la situazione concreta di vari Paesi. E qui subito c’è da rilevare il fatto che le intercettazioni e i decentramenti operati dalle “autorità europee” in molti casi rende impossibile a migliaia di persone di raggiungere la costa nord del Mediterraneo, o persino di lasciare il loro Paese di origine o di transito. Per avere un’idea della gravità della questione basti pensare che il diritto a emigrare è incluso nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948 (art. 13§2), anche senza ricorrere alla dottrina sociale della Chiesa, che pure è esplicita in materia. Sorge dunque la questione chiamiamola FRONTEX, in genere, che non posso affrontare qui, limitandomi a considerare il respingimento di possibili richiedenti asilo. Il fatto paradossale è che molti Paesi europei riconoscono come rifugiati persone che sono arrivati nel loro territorio per via non marittima, ma provenienti dagli stessi Paesi da cui giungono i migranti intercettati e respinti nel mare nostro, nel mare dei diritti.
Confermo così la mia posizione di condanna a chi non osserva il principio di non refoulement, che sta alla base del trattamento da farsi a quanti fuggono da persecuzione. E mi domando se in tempo di pace non si riesce a far rispettare tale principio fondamentale del diritto internazionale umanitario, come si farà a richiederne l’osservanza in tempo di guerra. La domanda si può estendere alla questione della protezione dei civili durante i conflitti, che viene così indebolita nella sua radice, comune, umanitaria.
Un altro diritto violato nell’atto di intercettare e respingere i migranti sulle coste africane del Mediterraneo è quello al “giusto processo”, che comprende il diritto a difendersi, a essere ascoltato, a fare appello contro una decisione amministrativa, il diritto ad ottenere una decisione motivata, e quello di essere informati sui fatti su cui si basa la sentenza, il diritto ad una corte indipendente ed imparziale. Le summenzionate intercettazioni addirittura vanno contro – mi pare – allo stesso “Codice frontiere Schengen” (n. 3), dove si dichiara che tutte le persone alle quali è stato negato l’ingresso al territorio avranno il diritto di appello. Esso dovrà essere onorato secondo la legge nazionale, mentre lo straniero riceverà per iscritto indicazioni su dove attingere informazioni per trovare persona competente che potrebbe rappresentarlo. Orbene le persone respinte non hanno possibilità di esercitare questo diritto d’appello, non sono informate su dove e come esercitare questo diritto, e ancor più, non esiste per loro nemmeno un atto amministrativo che proibisca ad essi di proseguire nel loro viaggio di disperazione per raggiungere acque internazionali e che disponga il ritorno al luogo di partenza o ad un altro destino sulla costa africana.
Altri diritti violati sono quelli all’integrità fisica, alla dignità umana e persino alla vita, e li possiamo qui solo elencare perché il tempo ci è tiranno.
Conclusione
Nella Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie si legge quanto segue: “i problemi umani che comportano le migrazioni sono ancora più gravi nei casi di migrazioni irregolari” (Preambolo), e perciò in essa si incoraggiano “misure appropriate al fine di prevenire ed eliminare i movimenti clandestini, nonché il traffico dei lavoratori migranti, assicurando allo stesso tempo la protezione dei diritti fondamentali di questi ultimi” (ibid.). L’azione che così si propone però è diretta, più che ai migranti irregolari, a coloro che causano il fenomeno. Nella Convenzione si raccomandano infatti “misure appropriate contro la diffusione di informazioni ingannatorie concernenti l’emigrazione e l’immigrazione” e si richiede di “infliggere sanzioni efficaci a persone e a gruppi o entità che li organizzano, li assicurano o aiutano ad organizzarli e ad assicurarli [i movimenti legali o clandestini dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie]”, o “che sono ricorsi alla violenza, alla minaccia o all’intimidazione contro lavoratori migranti o membri della loro famiglia in situazione irregolare” (art. 68). Si incoraggia invece in tale Strumento internazionale l’ampio riconoscimento dei “diritti fondamentali di tutti i lavoratori migranti” (Preambolo).
Sottolineo dunque, a conclusione, che alla base del nostro dire e dei diritti vi è la dignità della persona umana, come avviene del resto anche nella nostra Istruzione Erga migrantes caritas Christi (PCPMI 2004: n. 27), che è stata recentemente “ricevuta” (e l’aggettivo è qui teologico) dall’Enciclica Caritas in veritate (Benedetto XVI 2009: n. 62). E ciò fa parte della perenne tradizione della Chiesa, insieme alla difesa dei diritti di ogni uomo e donna, vecchio o giovane, anche nel caso dei migranti irregolari e dei richiedenti asilo che navigano nel Mare nostrum.
È mare dei diritti? Pongo così la mia domande finale. A voi l’”ardua sentenza”, che però, dopo quel che abbiamo fin qui detto, non è poi così “ardua”.
Bibliografia
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Incontro promosso dalla Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura – Brescia, 3 novembre 2010, testo rivisto dall’Autore.