Su iniziativa dei Padri filippini della Pace e della Ccdc martedì 17 maggio alle ore 20,45 nella Sala Bevilacqua di via Pace 10 a Brescia il card. José Saraiva Martins, già Prefetto della Congregazione per le cause dei santi, ha parlerà su “John Henry Newman, un cristiano inquieto”.
Il 19 settembre dello scorso anno veniva beatificato dal Papa a Birmingham l’oratoriano card. John Henry Newman, un grande testimone di verità ancora troppo poco conosciuto.
Chi fu, Newman, e quale messaggio ci lascia?
John Henry Newman nacque a Londra il 21 febbraio del 1801. Dopo un’inquieta adolescenza si riavvicinò alla religione anglicana, di cui diventò pastore nel 1825. Fu nominato parroco presso la Chiesa di St. Mary a Oxford, dove per quindici anni tenne i suoi famosi sermoni e introdusse nella liturgia alcuni particolari tipici del rito romano. Con alcuni giovani fondò il Movimento di Oxford, per riformare la Chiesa anglicana e difendere l’indipendenza di questa dalle interferenze statali. Anche grazie alle attività del Movimento e agli studi intrapresi sulle origini del cristianesimo si avvicinò alla Chiesa cattolica, nella quale fece la sua professione di fede nel 1845. Due anni dopo, a Roma, venne ordinato sacerdote. Portò a Birmingham l’Oratorio filippino che gli assicurava, in assenza di voti religiosi, una maggiore libertà di azione pastorale. Nel 1879 venne nominato cardinale da Papa Leone XIII. Morì sempre a Birmingham nell’agosto del 1890.
Il Beato Newman, nella storia del pensiero cristiano, appare come uno dei grandi maestri del cambiamento, del non-fissismo che caratterizza l’uomo nella sua incessante ricerca della verità. Di tale ricerca, incessante perché mai esaurita, egli fu coerente e affidabile testimone con la sua vicenda personale che lo portò dall’anglicanesimo al cattolicesimo, da ministro della Chiesa anglicana a fondatore, in Inghilterra, dell’Oratorio di san Filippo Neri. Un passaggio non facile, operato unicamente in obbedienza a un imperativo della sua coscienza personale. La verità, insegna Newman, va accolta in profondità e va vissuta nelle sue esigenze senza compromessi.
Newman è un profeta della coscienza personale, di un “io” irrinunciabile, che però va vissuto non in modo individualistico ed egocentrico. Agostinianamente è una luce spirituale che portiamo dentro ma che nasce e ci viene proposta dall’alto. “Interior intimo meo, superior summo meo” (Confessioni III 6. 11): Dio più presente in me di quanto io possa mai essere a me stesso e infinitamente a me superiore.
È noto, a questo proposito, un suo brindisi fatto da prete cattolico che metteva al primo posto – al di sopra di tutto e di tutti – l’imperativo della coscienza personale. Questa era per lui paragonata a “un monarca nei suoi decreti e nei suoi divieti, un sacerdote nelle sue benedizioni e nei suoi anatemi”.
John Henry Newman insegna oggi anche a noi il modo cristiano di dire “io” al di là di troppo facili sicurezze, lasciando adito a fecondi dubbi autocritici, all’unità di un responsabile percorso che porta l’uomo, toccato dall’Assoluto, dalla soggettività alla verità trascendente. Si tratta, insegna sempre il Nostro, di obbedire allo Spirito, di “non peccare contro lo Spirito”.
Il suo indimenticabile motto cardinalizio “cor ad cor loquitur” suggerisce nei rapporti interpersonali ed ecumenici un qualche cosa che va oltre le strettezze di un freddo dialogo, qualche cosa di più fraterno, autentico e creativo.
Articolo pubblicato dal Giornale di Brescia il 13.5.2011