Popper sicuramente è un maestro del secolo scorso. Potremmo fare diversi percorsi per studiare Popper. La prima domanda da farsi quando si vuole studiare un autore, dopo ovviamente averne letto i testi, è la seguente: l’abito con cui questo autore è solito presentarsi, il modo con cui lui si pensa, è corretto rispetto alla sua stessa produzione intellettuale? Questa domanda, nel caso di Popper, è particolarmente feconda perché ci permette di capire molte movenze del suo pensiero, che comunque rimane un pensiero di grande importanza.
Popper è noto soprattutto per essere un epistemologo, uno dei principali esponenti di quella corrente che lui stesso ha fondato (per la verità già teorizzata, anticipata e discussa nel Medioevo). Sicuramente nel Novecento Popper è colui il quale ha rilanciato con più forza il programma del falsificazionismo.
Ma Popper non è solo un epistemologo, perché la sua fama maggiore è legata a due opere di filosofia della politica, che sono La miseria e lo storicismo e La società aperta e i suoi nemici. Ecco, basterebbe farsi una domanda un po’ filologica e chiedersi: quando Popper inizia a pubblicare queste sue opere importanti?
Il suo capolavoro epistemologico viene stampato nel 1934-35 (esce in realtà nel 1934 ma la copia del libro porta la data del 1935) ed è La logica della scoperta scientifica. Esce in una collana del Circolo di Vienna, la grande scuola che ha dato avvio a quella fecondissima tradizione che è la tradizione del neopositivismo. Popper, però, in un suo libro molto bello che è l’autobiografia, La ricerca non ha fine, auto-qualifica se stesso come il killer del neopositivismo, cioè colui il quale avrebbe ucciso il neopositivismo. Naturalmente, ogni autore quando parla della sua opera è anche guidato dall’amor proprio. Quindi, se si va a vedere la storia del neopositivismo, si vede che nasce nella seconda metà degli anni Venti a Vienna, la grande Vienna di Freud, di Musil, della musica, di Schönberg, degli artisti, dell’architettura. Si pone allora il problema del perché proprio lì, in quegli anni, c’è questa grande esplosione culturale. Dentro questa grande esplosione di cultura straordinaria, che è ovviamente legata alla crisi che l’impero austro-ungarico ha subito essendo uscito sconfitto dalla prima guerra mondiale, Popper si forma e il suo capolavoro viene pubblicato nella collana del Circolo di Vienna, che aveva allora come suo esponente il fondatore Moritz Schlick. Schlick, che ha letto il manoscritto di Popper, ha deciso di pubblicarlo.
Ora è curioso questo fatto, perché se Popper dice che lui è stato il killer del neopositivismo, il neopositivismo non se ne è accorto, ha pubblicato l’opera del proprio assassino. Vedremo che c’è un aspetto anche un po’ giallistico da questo punto di vista, per capire bene questo problema.
Popper però diventa noto e il suo nome inizia a circolare e diventare un punto di riferimento quando pubblica le altre due opere che abbiamo ricordato, cioè le opere di filosofia della politica. Le pubblica subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, e sono opere dove Popper svolge una difesa della società aperta, da un lato, e dall’altro lato effettua una critica abbastanza serrata di quello che ritiene l’espressione di una società chiusa, in modo particolare della tradizione di pensiero che faceva capo a quello che lui indicava come storicismo, che identificava con il marxismo. All’indomani della seconda guerra mondiale, che ha visto sconfitto il nazismo da parte di un’alleanza tra i Paesi Occidentali e l’Unione Sovietica, Popper diventa molto noto in questo contesto, perché è l’autore che la tradizione liberale può opporre alla tradizione marxista. Questo sicuramente ha facilitato la fama di Popper, tanto è vero che il suo capolavoro da filosofo della scienza verrà tradotto in inglese dal suo assistente, Feyerabend, solo nel 1959. E allora questo ci dice una cosa molto semplice: è il successo di Popper come filosofo politico che trascina con sé la notorietà anche del filosofo della scienza.
Noi però faremo un percorso inverso, partiremo dal filosofo della scienza per capire anche il filosofo della politica. Mi sembra il percorso più corretto, perché in primo luogo rispetta l’andamento della sua evoluzione intellettuale e le tappe del suo pensiero.
Il contesto in cui è nato Popper è quindi quello della grande Vienna e del grande dibattito suscitato dal programma neopositivista, noto anche come programma dell’empirismo logico. Se noi lo chiamiamo in questo secondo modo, subito possiamo capire qual è il punto centrale di questa tradizione di pensiero. Empirismo logico è un pensiero che ovviamente guarda alla grande tradizione dell’empirismo, che è stato presente nel pensiero antico, nel pensiero medievale e anche nel pensiero moderno.
Qual è il sogno epistemico dell’empirismo? Se teniamo presente la grande lezione di Hume, è molto chiaro. Hume esordisce nel suo Trattato, che concepì all’età di diciannove anni e scrisse all’età di ventuno anni, dicendo che la nostra conoscenza è formata da sensazioni, poi queste sensazioni lasciano spazio a qualcos’altro che lui chiama “idee”. Le idee sono sensazioni a cui è stata tolta la vivacità della sensazione. La sensazione, per esempio, del fuoco, poi l’idea del fuoco che è un ricordo di qual è la sensazione del fuoco. Dentro questo paradigma sviluppa il suo empirismo. In termini epistemologici, il sogno dell’empirismo è che se io mi chiedo perché la conoscenza è vera, perché è valida, l’empirismo dice: perché le affermazioni teoriche si possono ricondurre, con un percorso che può essere più o meno lungo, al piano dell’esperienza. Il criterio empiristico è proprio questo: tu mi dai un enunciato teorico, se questo enunciato teorico riesco a ricondurlo all’esperienza allora vuol dire che questo enunciato mi parla del mondo ed è corretto; se non si riesce a fare questa operazione, questo enunciato non mi da nessuna conoscenza.
Questo principio epistemico dell’empirismo sta al cuore anche del progetto dell’empirismo logico viennese. Certo, è un empirismo logico, nel senso che è un empirismo agguerrito che vuole usare le armi della logica matematica ma per conseguire il medesimo obiettivo. Infatti, qual è il cuore teoretico del neopositivismo e empirismo logico viennese? É il principio di verificazione, che afferma che il significato di un qualunque enunciato coincide con il metodo della sua verifica. Se, ad esempio, io prendo il terzo principio della dinamica di Newton, F = m x a, e chiedo a un empirista logico cosa vuol dire che la forza è uguale al prodotto della massa per l’accelerazione, l’empirista logica mi dice che quella è una formula universale, quindi vale per tutti i casi, in qualunque punto della terra, in qualunque momento storico, vale indipendentemente dalla nazionalità, dal paese, dai nostri credi religiosi, dai nostri gusti politici, dalle nostre simpatie, dalle nostre componenti personali. Ma quell’enunciato universale non è altro che una sintesi, una raccolta dalla portata universale di un numero enorme di esperienze che confermano quel principio. Insomma, detto in altri termini ancora, l’idea che sta dietro all’empirismo logico è l’idea che la conoscenza scientifica è tale proprio perché è una generalizzazione dell’esperienza. Questa è l’idea che ha fatto propria il senso comune. Se io esco da questa stanza e chiedo all’uomo che passa per la strada perché la scienza è vera, al novantanove per cento la risposta è questa: la scienza è vera perché si basa sui fatti. Per dirla con la battuta che è propria della mentalità degli ingegneri, noi siamo persone serie perché ci occupiamo di fatti non di parole, mentre i filosofi si occupano di parole, quindi sono più svolazzanti. Questo è il cuore della tradizione dell’empirismo logico.
Popper, che si forma in quella Vienna dove è dominante questa tendenza, ha invece una idea molto originale, e qui Popper è veramente lontano dall’empirismo logico. Popper ha capito qualcosa che l’immagine baconiana della scienza, cioè l’immagine empirista, non riesce a rendere. Quando è nata la scienza moderna, come è nata? Popper capisce che la scienza moderna è nata perché a un certo punto si è compreso che per conoscere il mondo non è sufficiente osservarlo attentamente; cioè apriamo le finestre, ci mettiamo a osservare bene il mondo, lo descriviamo prendendo nota di tutto ciò che osserviamo. Per conoscere il mondo, dice Popper, e dice molto bene, bisogna avere delle idee con cui guardiamo il mondo. Se non abbiamo delle idee con cui guardare il mondo, se non abbiamo delle teorie, se non abbiamo la propensione teorica, non possiamo capire il mondo. Questo è il punto fondamentale.
La scienza moderna con Galileo nel 1600 è nata esattamente su questo punto. Se andiamo a riprendere i testi del dibattito scientifico del tempo, troveremo nel carteggio di Galileo proprio questo. Quando Galileo pubblica nel 1638 i Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze (dove appunto una delle due nuove scienze è la scienza del moto, la dinamica del moto), introduce il principio di inerzia, e allora riceve delle lettere da fisici aristotelici, in modo particolare una bellissima lettera di un fisico aristotelico genovese, Valiani, che gli dice: ma caro Galileo il principio di inerzia io non lo trovo nell’esperienza. Infatti, il principio di inerzia dice che esisterebbe una equivalenza fisica tra lo stato di quiete o di moto rettilineo infinito. Ora, se si ragiona con la mentalità aristotelica, questa equivalenza tra lo stato di quiete e il moto rettilineo uniforme infinito è qualcosa di scandaloso, perché noi nella strada non vediamo un mobile che si muova di moto uniforme in modo infinito, sappiamo che se non si applica una forza quel mobile si ferma. Questa era l’obiezione degli aristotelici. E Galileo come risponde? Risponde con la mossa che Popper mette in evidenza: ho prima definito in modo arbitrario, convenzionale – Galileo usa l’espressione ex suppositione, cioè per convenzione – il principio di inerzia, da quello ho ricavato una serie di conseguenze che poi andrò a mettere in relazione non con l’esperienza dei cinque sensi, del senso comune, ma con quella sperimentale del laboratorio. Allora, i momenti del ragionamento scientifico di Galileo, che da lì in poi saranno sempre confermati, sono questi: punto di partenza teorico avere un’idea, che introduco ex suppositione, per convenzione, da lì ricavo con la logica matematica tutte le deduzioni in modo rigoroso e poi devo mettere in relazione le conseguenze che ho ricavato con la dimensione sperimentale.
C’è una bella espressione che troviamo nel capolavoro di Popper, il quale ci dice: «Cosa sono le teorie scientifiche? Le teorie sono reti gettate per catturare quello che noi chiamiamo il mondo, ovvero per razionalizzarlo, per spiegarlo e per dominarlo». Nell’esergo del libro del 1934, La logica della scoperta scientifica, Popper mise un verso del poeta romantico Novalis, per il quale le teorie sono reti che noi gettiamo sul mondo per pescare i fatti-pesci che rispondono alle nostre reti.
Popper questo l’ha capito molto bene ma si è fatta una domanda ulteriore, si è chiesto: il principio di verificazione degli empiristi funziona veramente? Torniamo al nostro esempio. Se noi abbiamo a che fare con un enunciato universale, per verificarlo cosa dovremo fare? Dovrò fare una raccolta di fatti che verifichi quell’enunciato, ma poiché l’enunciato è universale la raccolta di fatti dovrà essere infinita, ma questo urta con un’impossibilità perché noi vivendo in un tempo finito non possiamo raccogliere un numero infinito di prove. Ecco che allora Popper dice che sarebbe più intelligente ribaltare il criterio: non basarci su un principio di verificazione ma invertire e dire che quell’enunciato non sarà vero se noi troviamo un solo fatto che neghi, contraddica quanto affermato dall’enunciato universale. Ad esempio, se io dico che tutti i cigni sono neri, mi basta trovarne uno bianco e ho falsificato il mio enunciato, se io dico che tutti i corpi sono neri, per falsificarlo deve trovare almeno un corpo bianco, finché non l’ho trovato devo ritenere che questo enunciato pare avere una sua base empirica abbastanza ampia. Quando Popper fa questo ragionamento si accorge di una cosa che è veramente impressionante. Popper ha ragione rispetto a tutta la tradizione della filosofia soprattutto di lingua inglese del Novecento. Popper infatti dice che in fondo il criterio che usano i neopositivisti, il principio di verificazione, in ultima analisi è un criterio di significanza, perché se non si trova un’esperienza che corrisponde a ciò che è affermato nell’enunciato, quell’enunciato lo considererò un enunciato metafisico, cioè un enunciato non conoscitivo. Ma Popper si chiede: possiamo noi capire la natura della conoscenza scientifica alla luce di un criterio di significanza così ristretto? E a questo proposito fa un’osservazione nel libro che veramente è una freccia lanciata al cuore del Circolo di Vienna: «I positivisti, nella loro ansia di distruggere la metafisica, non si accorgono che distruggono con essa la loro amatissima scienza». Perché Popper dice che le teorie scientifiche si basano su enunciati universali che non possono essere verificati. Quindi, se io dico che la metafisica va buttata nel cestino dei rifiuti perché non posso verificarla, non solo butterò via la l’odiata metafisica ma sarò costretto a buttare via anche l’amatissima scienza, perché anche la scienza si basa su enunciati universali non mai verificabili. Allora, il problema non è di stabilire un criterio di significanza ma è stabilire un criterio di demarcazione, che mi permetta di dire cosa è scienza e cosa non è scienza, che non è più un problema di significato.
Fermiamoci un attimo su questo punto. La filosofia cosa dev’essere? Se noi seguiamo la prima impostazione, c’è il rischio – che nel Novecento ha costituito un fiume che ha dato risultati pure importanti – di ridurre la filosofia allo studio, alla considerazione, all’analisi del linguaggio. Ora, il linguaggio va studiato e sempre considerato con grande attenzione, perché quando io uso un linguaggio eredito una tradizione, una cultura, delle categorie, delle topiche di ragionamento, quindi devo sottoporre il linguaggio che uso per parlare, per pensare, a un’analisi critica rigorosa. Però, la filosofia si riduce alle questioni di parole? Popper dice con grande coraggio: no, la filosofia non si occupa di parole, la filosofia si occupa di problemi che sono al di là del linguaggio ma che naturalmente noi possiamo poi esprimere solo in un determinato linguaggio. Questa è una mossa interessante di Popper, perché riporta la filosofia a occuparsi di problemi, di cose, non solo di parole.
Per affrontare allora il problema della conoscenza Popper avanza il suo famoso criterio di falsificazione, e qui cambia anche un atteggiamento etico. Infatti, qual è l’atteggiamento etico del neopositivista? É dire: questa teoria è vera perché io ti posso mostrare i fatti che la rendono tale, per cui le parole hanno un peso se e solo se ci sono dietro i fatti. Invece, Popper si rende conto che il gioco è più complesso. Una teoria, dice Popper, non è scientifica se può esibire i fatti che la supportano ma se utilizza un’altra strategia. Per capire bene come Popper è arrivato a questo ragionamento, possiamo anche seguire la sua stessa testimonianza autobiografica, anche se taluni critici pensano che Popper nel ricostruire come gli sia venuta l’idea del falsificazionismo sia stato un po’ troppo generoso con se stesso. Popper dice che a diciassette anni ha assistito a una conferenza di Einstein a Vienna – cosa possibile – e che, , uscito da questa conferenza, gli è venuta questa idea. Cosa ha detto Einstein in questa conferenza di Vienna? Ha illustrato ovviamente la sua teoria della relatività. Su cosa si basa la teoria della relatività? Si basa su una formula notissima: E = mc2. Qual è lo scandalo fisico di quella formula? É che rispetto a tutta la tradizione newtoniana che aveva dominato per due secoli, Einstein afferma che esiste un’equivalenza tra l’energia e la materia, la massa, anzi che questa equivalenza è tale che noi possiamo trattare l’energia come massa e la massa come energia. Allora, per esempio, se io parto da questo assunto e considero un raggio di luce che passa vicino a un campo gravitazionale forte, come quello determinato da un pianeta, la teoria di Einstein, che si basa sull’equivalenza tra energia e massa, mi fa una predizione, cioè mi dice che se quel raggio luminoso passa vicino a un campo gravitazionale forte come quello determinato da un pianeta, necessariamente quel raggio di luce dev’essere curvato secondo il campo gravitazionale, perché se l’energia è equivalente alla massa il raggio di luce, per quanto abbia la massa molto piccola, ha una sua massa, allora io posso applicare la formula della gravitazione universale di Newton al rapporto tra la massa del raggio di luce e la massa gravitazionale del pianeta e calcolando, applicando appunto questa formula, devo trovare come risultato che il campo gravitazionale più forte attira verso di sé il campo gravitazionale più piccolo, quello del raggio di luce. Ora, la teoria di Einstein risale al 1905 e nel 1919 gli astronomi, nell’occasione di un’eclissi di sole, effettivamente osservarono in due punti diversi della Terra che questa predizione della teoria di Einstein era confermata, il raggio di luce passando in un campo gravitazionale determinato da un pianeta s’incurvava. Allora, Popper dice: ecco quello che deve fare una teoria, una teoria scientifica deve sapere fare delle predizioni, poi noi andremo a controllare se queste predizioni sono verificate o falsificate dall’esperienza; se sono falsificate, diremo che la teoria non ha portata conoscitiva, se sono verificate, cioè se si verifica ciò che la teoria ha predetto, diremo non che la teoria è vera ma diremo – introduce un termine nuovo – che la teoria è “corroborata”, cioè non ancora falsificata. Allora, dice Popper, riflettendo su questo fatto mi è venuta l’idea del falsificazionismo. Cosa chiede il falsificazionismo nella teoria scientifica? Di vietare alcune situazioni di fatto. Una teoria è scientifica non quando esibisce le prove che la giustificano ma quando ci dice cosa non deve succedere perché la teoria sia vera. Allora, la scientificità per Popper coincide col carattere predittivo delle teorie, col carattere che una teoria ha di vietare alcune situazioni empiriche.
Naturalmente, la scientificità di una teoria può essere controllata anche da questo punto di vista. Gli esempi che Popper ha fatto lungo tutto il corso della sua vita ci aiutano a capire anche perché Popper abbia fatto il passaggio dall’epistemologia alla filosofia politica. Popper diceva infatti che due discipline si presentano come scienze ma in realtà sono delle pseudoscienze: una è la dottrina del marxismo e l’altra quella della psicoanalisi. Prendiamo il caso del marxismo. Il marxismo si presenta come teoria scientifica della società. Che predizioni ha fatto Marx? Marx ha fatto una serie di predizioni sullo sviluppo storico futuro. Ha predetto, a partire dal Manifesto fino al Capitale, che la rivoluzione comunista si sarebbe realizzata nei paesi a sviluppo industriale più avanzato, prima predizione. Seconda predizione. Ha predetto che le nostre società, quelle capitalistiche, si sarebbero caratterizzate per una polarità sociale, sarebbe scomparso il ceto medio, si sarebbe formata una grande classe operaia, formata dalla stragrande maggioranza della popolazione, e una piccola classe di detentori dei capitali. Allora, dice Popper, finché Marx fa queste predizioni, lavora come lavorano tutti gli scienziati, costruisce una teoria, che è la teoria marxista basata sul plusvalore – esposta nel Capitale nella sua forma più matura – e poi succede qualcosa che ci dice che il marxismo non è una teoria scientifica, perché la storia ci dice che queste due predizioni sono state clamorosamente smentite. Primo, dove sono scoppiate tutte le rivoluzioni comuniste? Non nei paesi più sviluppati ma nei paesi più arretrati, in Russia, in Cina, e via declinando. Secondo, le nostre società non hanno registrato questa polarizzazione, anzi abbiamo assistito a un fenomeno assolutamente inverso. Se teniamo presente quel bellissimo libro di Paolo Sylos Labini, Saggio sulle classi medie in Italia (uscito nel 1976 ma poi riedito circa trent’anni dopo con un adeguamento), vediamo che ha fotografato la situazione italiana a partire dagli anni Settanta in poi mostrando che il ceto medio si è dilatato, ormai la classe operaia è la minoranza rispetto ai ceti produttivi (mentre la composizione della proprietà del capitale si è molto ristretta) e non c’è stata quella polarizzazione predetta dal marxismo. Cosa hanno fatto i marxisti di fronte a queste due predizioni fallite del marxismo? Invece di prendere atto che la loro teoria aveva fatto delle predizioni e che è successo esattamente l’opposto, hanno spiegato perché quello che è successo è successo, era giusto che fosse successo così. Invece di anticipare i fatti, dice Popper, li hanno inseguiti. Allora, dice sempre Popper, il criterio della scientificità è questo: una teoria deve anticipare i fatti, non deve inseguirli, una teoria scientifica ci deve dire prima che le cose succedano cosa succede, se una teoria fa una predizione e sbaglia quella teoria ha sbagliato, è stata falsificata dall’esperienza, in questo caso dall’esperienza storica. Questo è l’orizzonte dell’epistemologia di Popper. Quindi possiamo dire con le parole di Popper che «Da una teoria scientifica o da un sistema scientifico non esigerò che sia capace di essere scelto in senso positivo una volta per tutte ma esigerò, invece, che la sua forma logica sia tale che possa essere messa in evidenza per mezzo di controlli empirici in senso negativo. Insomma, un sistema scientifico deve poter essere confutato dall’esperienza». Questo però si lega con l’altro aspetto, perché se un sistema teorico deve poter essere confutato dall’esperienza, abbiamo visto che il punto di partenza di Popper sono le teorie, le idee. Ecco allora lo slogan che bene raffigura la teoria di Popper, è il titolo di uno dei suoi libri più belli, Congetture e confutazioni. La scienza, secondo Popper, lavora così: ardite congetture e spietate confutazioni. Tra l’altro, Popper non solo era un grande filosofo, era un grande titolista, anche nella storia del pensiero filosofico è difficile trovare un autore, un filosofo come Popper, che sia riuscito a indicare nel titolo di una sua opera il cuore teoretico del suo pensiero. Questo libro, Congetture e confutazioni, fa questo, il titolo è esattamente il cuore della teoria del falsificazionismo di Popper.
Ora, potremmo aggiungere altri dettagli, però mi preme mettere in evidenza due aspetti e poi su questi andiamo a concludere. Primo aspetto. Allora si capisce perché Popper in modo profondo, intimo, a un certo punto da epistemologo si è posto il problema della forma della società, perché che immagine ha Popper del sapere scientifico? É un sapere congetturale che dev’essere sottoposto a controlli continui, possiamo noi pensare di aver conseguito la verità una volta per tutte secondo questa prospettiva? Marcello Pera ha scritto un bel libro su Popper, La scienza su palafitte, ed ebbe modo su incarico della Rai di fare una famosa intervista a Popper, mandata poi in onda su Rai Uno. In questa intervista Pera poneva una domanda a Popper: mi dia una immagine che renda bene la sua idea della conoscenza scientifica. Popper rispose con questa immagine felice. Proviamo a immaginare un uomo in una stanza buia senza la possibilità di accendere la luce, che debba cercare un cappello. Come procederà quest’uomo? Procederà a tastoni, cioè cercherà di girare la stanza per vedere se ci sono ostacoli, sedie, tavoli, lampade e quant’altro. Ecco, diceva Popper, la mia immagine della conoscenza scientifica è questa, noi siamo nella condizione di quell’uomo, procediamo a tastoni, cioè con congetture, e non è detto che in quella stanza ci sia il cappello. Questa immagine è potente. A quale filosofo dell’antichità fa pensare questa immagine? A un grande filosofo, che in genere è ricordato per un suo frammento relativo alla critica dell’immagine antropomorfica di Dio, ma è un filosofo che ha regalato un frammento straordinario. É Senofane, il quale a un certo punto dice: cos’è la conoscenza umana? E ci dà questa bellissima immagine, una ragnatela di ipotesi, di congetture, e poi aggiunge, e se anche l’uomo per caso cogliesse la verità non lo saprebbe, sarebbe sempre in una ragnatela di congetture. L’ultimo grande libro di Popper era dedicato ai filosofi presocratici dell’antichità greca, ed è Il mondo di Parmenide. Li si trova un capitolo straordinario dedicato a Senofane, anche con un lapsus freudiano, perché quando parla di Senofane a un certo punto Popper scrive quanto segue: «C’è un filosofo dell’antichità greca che ha anticipato le mie teorie». Una forzatura perché se mai è Popper che ha ripreso le teorie di Senofane.
Se Popper ha questa immagine della conoscenza congetturale, si capisce perché a un certo punto abbia difeso la società aperta. Quando nasce la società aperta? La risposta di Popper penso sia difficilmente contestabile. Nasce quando nella modernità sono nate le prime società che hanno istituito un parlamento, la rivoluzione inglese con il primo parlamento e poi la rivoluzione francese, poi la forma parlamentare è diventata un punto di riferimento della società aperta. Non possiamo esercitare una democrazia diretta per società complesse, possiamo come dice la nostra Costituzione esercitarla secondo le modalità istituzionali previste e il luogo principe di questo esercizio della democrazia è il parlamento ma nel parlamento, come dice il nome stesso, cosa si fa o si dovrebbe fare? Parlare. Noi siamo abituati a un’immagine non in linea con queste riflessioni di Popper. Il parlamento dovrebbe essere invece il luogo dove si va e si parla, cercando d’individuare quella che è la situazione migliore per il bene comune. Idealmente il parlamento dovrebbe essere il luogo dove si discute, ci si confronta, perché è nella discussione che io vedo i limiti e i vantaggi della mia posizione e cerco di far mia l’osservazione anche critica dell’avversario, perché devo spiegare dal mio punto di vista i suoi punti di forza. Insomma, Popper pensa che il parlamento sia il luogo dove i rappresentanti del popolo riescono a trovare quella sintesi che è la soluzione migliore. Noi abbiamo un testo che rappresenta bene questa funzione del parlamento, la Costituzione che è riuscita a sintetizzare in modo – che è anche criticabile, perché ovviamente è storicamente datato – mirabile le varie anime civili, politiche e culturali che erano presenti in quel contesto. Però, dal punto di vista teorico, dice Popper, i parlamenti sono i luoghi dove si parla, perché nessuno di coloro i quali intervengono a parlare ha la verità in tasca, ognuno avanza una teoria congetturale, nessuno ha il cappello e sono tutti nella stanza nera, e allora parlando, unendo e ponendo in tensione critica anche le teorie diverse, possono trovare non la verità vera ma la soluzione migliore. Ecco che allora Popper nella Miseria dello storicismo si dimostra un filosofo della politica, che non guarda ovviamente alla rivoluzione, a un cambiamento radicale della società, ma guarda a un processo di continue, infinite rettifiche. É un riformista che pensa che la società si può migliorare rettificandola pian piano, esattamente come si fa nella scienza. Ecco perché allora Popper difende le società aperte, perché le società aperte devono essere sviluppate secondo quello spirito che anima la scienza. Qui Popper dice una cosa veramente importante, perché ci dice che il punto fondamentale della conoscenza scientifica è il sapere critico. La differenza tra la scienza e tutte le altre tradizioni è questa. Nella scienza non ha posto il principio di autorità. Si insegna una teoria perché su questo problema allo stato attuale non si è trovata nessuna argomentazione migliore. Questa affermazione non è proprio di Popper, ma di John Stuart Mill, che nel suo saggio del 1859, On liberty, da esattamente questa risposta. Però è nel solco della tradizione liberale a cui guarda Popper, e Mill è stato un grande liberale.
Una osservazione critica: in tutto questo discorso che abbiamo fatto, ci sono due grandi assenti. In primo luogo, la filosofia della scienza di Popper è una filosofia della scienza teoreticista, che guarda alla scienza con un occhio solo. Oggi per noi la scienza non sono più e non sono solo le teorie scientifiche: la componente della tecnica, della tecnologia è altrettanto rilevante, al punto che oggi il dibattito epistemologico parla di tecno-scienze, perché le due dimensioni sono diventate così legate che non riusciamo più a distinguerle. Se io vado al CERN, al centro di ricerca di fisica quantistica di Ginevra, e vado a vedere come è stato fatto un esperimento mi trovo di fronte a questa dimensione di tecno-scienza, gli esperimenti di Rubbia sono fatti utilizzando un centinaio di ingegneri, duecento fisici, una quantità infinita di informatici, per cui non posso più distinguere l’aspetto teorico dall’aspetto tecnologico, sono un tutt’uno. Popper non vede l’aspetto della tecnica, ha una visione teoreticista della scienza.
Il secondo grande assente è il tema della dimensione storica. La falsificazione come si esercita? Si esercita in un contesto storico, come lo stesso Popper riconosce. Lo scienziato in genere non lavora secondo il modello epistemologico di Popper, che è un modello un po’ ideale. La falsificazione si esercita sempre in un contesto storico. Qui Popper risente proprio il clima del neopositivismo, perché questo rilievo di mancanza di senso storico vale anche per i neopositivisti. L’ideale di questi pensatori era infatti di poter individuare una volta per tutte l’essenza della scientificità ma questo è molto problematico, perché la natura e lo statuto della scientificità si gioca da sempre in una cultura che è inevitabilmente legata alle tradizioni, alla storia, e quindi è più complessa.
Chiudo con un episodio emblematico del 1934, raccontato da Popper nella sua autobiografia. La Logica della scoperta scientifica era un testo originariamente di circa seicento pagine. Popper non aveva ancora pubblicato nulla, esercitava la professione di maestro e poi di psicologo. Aveva uno zio cui era molto legato che legge questo libro e gliene taglia la metà, lo riduce a circa trecento pagine. Popper però quelle trecento pagine tagliate dallo zio le ha prese, le ha messe nel cassetto e le ripubblicherà in tre volumi in tarda età: è il Poscritto alla logica della scoperta scientifica, e nell’Introduzione, Popper ci spiega il suo atteggiamento verso la storia che conferma quanto abbiamo detto. Afferma infatti che non nutre interesse per la storia: io sono un epistemologo e vado a prendere i casi della storia che confermano la mia teoria. Questo non è propriamente un uso che rispetta la storia della scienza, è un uso appunto un po’ strumentale. Quando lo zio ha tagliato questo testo, Popper è andato da Schlick e glielo ha consegnato. Schilck lo legge, richiama Popper e gli comunica che lo avrebbe pubblicato nella collana del Circolo di Vienna. Intanto questo ci fa fare una piccola riflessione: il Circolo di Vienna era una scuola molto aperta che accettava di pubblicare anche testi esattamente opposti alla sua impostazione (onore e gloria al Circolo di Vienna che era esattamente così). Però, quando Popper è andato da Schlick, è possibile che Schlick si sia limitato a dire solo questo o avrà detto qualcos’altro? Teniamo presente che l’opera vuole essere una critica frontale della scuola di Schlick. Non è credibile che Schlick non gli abbia detto nulla, gli avrà probabilmente rivolto pressappoco le seguenti parole: ho letto il libro, è un grande libro, lo approvo, quindi glielo pubblico, ma avrà aggiunto qualcosa, avrà aggiunto ciò che lui pensava della tesi di fondo, perché in caso contrario sarebbe stato un direttore di collana un po’ miope. Deve avergli esposto la contro-obiezione che lui faceva al falsificazionismo, è abbastanza credibile. Quando il libro viene pubblicato, non escono recensioni. La prima recensione in assoluto è uscita in Italia sulla Rivista di Filosofia di Piero Martinetti, nell’annata del 1935, a cura di un allora giovanissimo Ludovico Geymonat. Perché Geymonat? Perché Geymonat, che era nato nel 1908 e si era laureato in filosofia nel 1930 a Torino e nel 1932 in matematica, era andato nel semestre invernale del 1934-1935 a Vienna per studiare le idee del Circolo di Vienna e lì aveva conosciuto Schlick, Carnap, Waismann, tutti gli esponenti del Circolo di Vienna, e anche Popper. C’è una piccola differenza: questo giovane laureato viene ammesso nel Circolo di Vienna, conosce Popper a Vienna ma non lo conosce al Circolo, che si riuniva il giovedì pomeriggio, in un seminario tenuto da Schlick al quale si accedeva solo su invito. Perché questo giovane italiano ignoto fu ammesso in questo seminario molto elitario e Popper no? È un piccolo giallo che cercherò di risolvere. L’opera di Popper Logica della scoperta scientifica è passata abbastanza inosservata, non è stata letta e anche da chi è stata letta non è stata capita. Citiamo solo un dato, se noi prendiamo i Nuovi principi di epistemologia di Alberto Pasquinelli (che è stato un allievo di Geymonat), libro pubblicato nei primi anni Sessanta da Feltrinelli, troveremo un nota molto curiosa, perché Pasquinelli scrive che Popper apparterrebbe alla tradizione neopositivista. La traduzione inglese del libro di Popper è solo del 1959.
La mia ipotesi è questa: Schilck, quando ha detto a Popper che gli avrebbe pubblicato il libro, gli ha comunicato anche una critica. Allora, poniamoci questa domanda: se io mi metto dal punto di vista verificazionista, come posso criticare il falsificazionismo? Ripetiamo, però con una sensibilità verificazionista, le tesi del falsificazionismo. Abbiamo detto che per Popper una teoria per essere scientifica dev’essere in grado di vietare delle condizioni empiriche, deve dire ciò che succederà fra le predizioni e poi sottoporre il collo di se stessa alla mannaia dell’esperienza sperimentale. Ma se io gioco questa immagine falsificazionista sulla storia del pensiero scientifico, di cosa mi rendo conto? Mi rendo conto che emerge una domanda difficile. La falsificazione per funzionare non deve essere immunizzata. Facciamo l’esempio di Popper: il marxismo non è scientifico, perché aveva predetto che la classe media sarebbe scomparsa e invece la classe media è cresciuta. Come possiamo immunizzare questa apparente falsificazione? Ad esempio, dicendo che il marxismo non è stata solo una teoria che ha predetto, è stato anche una teoria che ha formato dei movimenti. Se il marxismo ha inciso socialmente la realtà e quindi ha organizzato delle lotte per migliorare la condizione sociale degli operai, è chiaro che la società non si è sviluppata secondo quella predizione neutra, perché c’è stata una lotta sociale che ha migliorato le condizioni della classe operaia e a un certo punto era naturale, fisiologico, che l’operaio desiderasse per i suoi figli che stessero meglio di lui (forse oggi noi siamo per la prima volta in una fase storica molto critica perché i figli iniziano a non avere più davanti un futuro migliore di quello dei padri). Allora, l’obiezione che Schlick avrà fatto a Popper sul piano teorico potrebbe essere stata questa: ma tu come fai a garantirmi che la falsificazione non sia immunizzata da una ipotesi ad hoc? Cioè, quel dato sperimentale che può urtare contro la teoria può essere immunizzato, reso non urtante, introducendo una ipotesi che mi giustifica quello che è successo. Facciamo un esempio scientifico: stiamo osservando l’orbita di un pianeta e a un certo punto questo pianeta si comporta male rispetto alla teoria newtoniana, ha un’orbita anomala. É già un caso storico. L’anomalia delle orbite del perielio di Marte è appunto un’anomalia che i newtoniani non sapevano spiegare. Allora, loro applicavano la formula di Newton e la traiettoria non era esattamente quella prevista. Cosa hanno fatto storicamente gli scienziati newtoniani? Hanno cercato di risolvere il problema, poiché non riuscivano a risolverlo a un certo punto hanno detto: prima o poi lo risolveremo; il problema è finito negli scaffali polverosi degli archivi e lì è rimasto finché non è nata una teoria completamente diversa, quella di Einstein, che ha spiegato perché c’era questa anomalia del perielio. Non era un problema marginale, è il problema su cui la teoria di Newton paradossalmente crollava.
Facciamo da filosofi un esperimento mentale: immaginiamo che un giovane scienziato newtoniano un po’ cocciuto dica di voler risolvere questo problema. Poniamo di essere in una situazione tecnologicamente avanzata. Allora, questo giovane scienziato dice che quel pianeta ha un’orbita anomala perché in realtà c’è un altro pianeta, che non vediamo con il cannocchiale, con i telescopi, il quale però esercita un’influenza su questo pianeta, per cui combinando da un punto di vista newtoniano le due masse gravitazionali si spiega l’anomalia dell’orbita. Allora, lui calcola in questo modo la massa del pianeta e calcola anche la posizione. Poi dice: adesso puntiamo il telescopio e dobbiamo trovare questo pianeta che determina l’anomalia dell’orbita. Punta il telescopio e non vede nulla. Dice: sì, non si vede nulla perché introduco un’ipotesi ad hoc, perché tra noi sulla terra e questo pianeta c’è una nebbia cosmica che ci impedisce di vedere oltre un certo limite. Allora, io chiedo al CNR di darmi i fondi per lanciare nello spazio, in orbita, un razzo con su un satellite, su questo satellite ci monto un telescopio, lo faccio andare oltre questa nebbia cosmica e allora il pianeta si vedrà. Una volta arrivati i dati di questo telescopio del pianeta non c’è traccia. Noi diciamo: ecco la falsificazione. No, introduco un’altra ipotesi ad hoc: dietro la nebbia cosmica ci potrebbe essere un campo magnetico che distorce e allora mi faccio dare un altro finanziamento più grosso per mandare in orbita un altro razzo con un altro satellite con un telescopio e con un dispositivo atto a non essere disturbato dal campo magnetico. Così, il gioco può andare avanti ovviamente all’infinito.
A questo punto possiamo introdurre la domanda fondamentale: chi stabilisce quando un’ipotesi è ad hoc o no? La risposta ce la dà uno storico della scienza americano come Thomas Kuhn: sono i paradigmi dominanti. Finché c’è un paradigma dominante, il sistema di Popper funziona, ma se siamo in un momento di crisi rivoluzionaria, di passaggio da una teoria come quella tolemaica a quella copernicana, quella che a me sembrerà ipotesi ad hoc per un altro non sarà ipotesi ad hoc. É esattamente il caso di Galileo del Dialogo, quello che per Galileo è un’ipotesi euristica per Simplicio semplicemente non ha nessun fondamento. Andiamo a leggere cosa dice Popper nel 1959 nell’Introduzione della versione inglese del suo libro. Popper con grande onestà passa in rassegna le varie critiche che si potrebbero fare al suo sistema e, ad un certo punto, cita la critica secondo la quale la falsificazione può essere immunizzata da un’ipotesi ad hoc: «Devo ammettere che questa critica è giusta ma non per questo è necessario che io ritiri la mia proposta di adottare la falsificabilità come criterio di demarcazione… Nel paragrafo venti e in quelli seguenti proporrò infatti che il metodo empirico venga caratterizzato come un metodo che esclude precisamente quei modi di sfuggire alla falsificazione che, come giustamente insiste il mio critico immaginario, sono logicamente ammissibili. Secondo la mia proposta, ciò che caratterizza il metodo empirico è infatti la maniera in cui esso espone alla falsificazione in ogni modo concepibile il sistema che si deve controllare. Il suo scopo dunque non è quello di salvare la vita a sistemi insostenibili ma, al contrario, quello di scegliere il sistema che al paragone si rivela più adatto dopo averli esposti tutti alla più feroce lotta per la sopravvivenza». Quindi Popper ci dice: la mia risposta a questa critica è una norma deontologica, gli scienziati non devono ricorrere a un’ipotesi ad hoc. Ma è chiaro che questa risposta è debole, perché funziona, a mio parere, solo in periodi di scienza normale. Quando io leggo questa espressione, «come giustamente insiste il mio critico immaginario», a me viene il sospetto che questo critico immaginario in realtà esiste, ed è Moritz Schlick. Questo pensavo quando ho scritto Il flauto di Popper. Anni dopo, mettendo a posto delle carte dell’archivio di Ludovico Geymonat, ho trovato una lettera di Schlick del 1935 in cui scrive al giovane Geymonat esattamente questa critica. Allora, se Schlick la comunica al giovane Geymonat, a maggior ragione l’avrà comunicata al giovane Popper. Penso che questo giallo sia quindi risolto.
NOTA: Trascrizione non rivista dall’Autore della lezione tenuta a Brescia nel salone Bevilacqua dei Padri Filippini della Pace il 15 aprile 2011 su invito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura.